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I cowboys di Kabul

di Daniel Schulman - 16/09/2009

 

Come una coppia di nonni texani falliti trae guadagno dalla miniera degli appalti in Afghanistan

Era il marzo del 2002, e Del e Barbara Spier erano completamente al verde. La coppia texana, nonni di cinque nipoti e proprietari di una piccola ditta di investigazioni private con sede a Houston, si ritrovava con un debito superiore ai 260.000 dollari. Avevano esposizioni fino a 18.600 dollari su oltre una dozzina di carte di credito ed erano zavorrati di scoperti su prestiti bancari per 80.000 dollari e su mutui per altri 95.000. Nella pratica di fallimento, la ditta degli Spier, fondata nel 1987 e denominata “Agenzia per Servizi di Investigazione e di Protezione”, veniva giudicata di “nessun valore di mercato”.
Benché le circostanze apparissero disastrose, gli Spier erano in procinto di diventare milionari. A maggio, Barbara Spier aveva svolto le pratiche per costituire una nuova azienda chiamata US Protection and Investigations (USPI). Presto, grazie alla fonte inesauribile di contratti che era la guerra in Afghanistan, ella stava firmando un accordo di 8,4 milioni di dollari con il Louis Berger Group. La società multinazionale di costruzione e progettazione aveva ottenuto un contratto di 214 milioni per ricostruire le infrastrutture dell’Afghanistan – strade, impianti idrici e di depurazione, centrali elettriche e dighe – dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale statunitense (USAID). Il compito dell’USPI era quello di fornire sicurezza ai lavoratori che riparavano una strada di 300 miglia che collega Kabul a Kandahar.
Molto del lavoro doveva essere svolto in un territorio remoto e pericoloso, soggetto a sporadici attacchi dei Talebani ed afflitto dalla presenza di bombe e mine inesplose risalenti all’epoca dell’invasione sovietica. “Alcuni tratti della strada sono soggetti a sequestri, rapine ed assassinii” riconosceva il Berger nei termini contrattuali. “Gruppi terroristici organizzati operano nei dintorni del corridoio stradale, ed alcuni stranieri sono stati intenzionalmente presi di mira in recenti incidenti”. Salvaguardare le centinaia di lavoratori all’opera lungo la strada, avvertiva il gruppo costruttore, sarebbe stato “una sfida”.
Dati i rischi del progetto – importante nello sforzo di stabilizzare l’Afghanistan – l’USPI rappresentava una strana scelta. Il Berger avrebbe potuto rivolgersi ad un agenzia per la sicurezza consolidata con forte esperienza nelle zone di conflitto. Invece, affidò un contratto senza bando di gara ad una ditta con nessuna reputazione sulla piazza e con un gruppo dirigente di fresca bancarotta.
Per gli Spier, il colpo di fortuna con il Berger rappresentò una svolta nella loro vita. Ed essi, da allora, avrebbero potuto vivere felicemente per sempre, eccetto per una cosa: stavano truffando il governo, secondo il Dipartimento di Giustizia, emettendo ricevute fasulle e fatturando per impiegati fantasma al fine di frodare milioni di dollari dai programmi finalizzati alla ricostruzione dell’infrastruttura afghana distrutta dalla guerra. Le loro presunte imprese, molto delle quali non sono mai state precedentemente descritte, offrono una delle più vivide immagini mai emerse della miniera degli appalti nel Selvaggio West afghano.
(…)
La storia della rapida trasformazione dell’USPI da azienda familiare a gigante della sicurezza inizia nel 2002, prima che le venga ancora affidato un singolo contratto. Quell’anno, il Berger prese Del Spier come suo direttore della sicurezza in Afghanistan. “Al dirigente del programma per Berger del tempo, Jim Myers, piaceva il modo in cui Del lavorava e lo portò dentro” dice un ex marine che lavorava per l’USPI. Un altro ex impiegato spiega come l’USPI entrò nel giro: “Quando si misero a cercare un operatore di sicurezza a tempo pieno, Del fu la scelta naturale. Egli stava già lavorando per il Berger. Era l’uomo giusto. Così il Berger gli disse: “Non abbiamo intenzione di bandire una gara d’appalto. Daremo a te un contratto intra-aziendale”.
Un uomo tranquillo con un contegno aspro, con una forte pronuncia texana e gli stivali da cowboy per fare il paio, Del, che ora ha 73 anni, raccontava al suo personale di aver lavorato come operatore d’intelligence durante la guerra in Vietnam per l’Air America, la compagnia aerea gestita dalla CIA. Nei primi anni novanta, quando conduceva una società chiamata “Del Spier & Associates”, lavorava in Algeria per la Bechtel, per proteggere gli impiegati di quest’ultima dagli attacchi dei militanti islamisti.
Barbara, che ha 59 anni, ha sempre gestito la parte amministrativa degli affari.
Era una molto presente a Houston, attiva nelle organizzazioni professionali locali. Una volta fu presidente della Federazione delle Donne Professioniste di Houston; l’Associazione Nazionale delle Imprenditrici la nominò anche Imprenditrice dell’Anno nella sua città. In Afghanistan, prese uno smanioso interesse circa le difficoltà delle donne afghane.
Il contratto dell’USPI obbligava la compagnia a proteggere pezzi di terreno così vasti che sarebbe stato troppo costoso assumere personale statunitense o di altri Paesi stranieri in misura sufficiente per il lavoro. Ma Del aveva una soluzione. Egli concluse un accordo con il Ministro degli Interni afghano, che acconsentì a prestare all’USPI centinaia di uomini delle sue truppe – un sodalizio di poco rispettabili miliziani sotto il comando di un famigerato signore della guerra che risponde al nome di generale Din Mohammad Jurat. Accusato di una serie di attività criminali (compreso l’assassinio di un uomo la cui donna desiderava per sé), Jurat è stato descritto a Human Rights Watch nel 2003 come un “maniaco” e “pericoloso”. Nel 2007, l’allora procuratore generale dell’Afghanistan, Abdul Jabar Sabet, accusò Jurat ed i suoi guardiaspalla di averlo attaccato con un abborracciato tentativo di omicidio. “La sua devozione era rivolta soltanto ad una cosa ed una cosa soltanto” dice un ex dipendente dell’USPI che ebbe a che fare con Jurat. “Quella cosa sono i dollari americani”.
In una transizione che avrebbe poi avuto conseguenze a lungo termine, l’USPI si associò sostanzialmente con l’ex comandante dell’Alleanza del Nord, pagando i suoi soldati 5 dollari al giorno per svolgere compiti di sorveglianza. Secondo diverse fonti a conoscenza delle operazioni dell’USPI, quest’ultima continuò a concludere accordi similari con i vari potentati presenti nel Paese – fondamentalmente comprando la lealtà dei capi tribali e funzionari provinciali mano a mano che i lavori per la costruzione della strada passavano attraverso il territorio sotto il loro controllo. “Se vuoi sicurezza, devi pagare il signore della guerra o chiunque controlli quella determinata regione” dice l’ex funzionario del Berger. In alcuni casi – egli aggiunge – i comandanti delle milizie erano pagati semplicemente per assicurare “che non ci fossero attacchi”.
Ed aggiunge: “C’era un detto a Kabul: “La lealtà è a pagamento””. E veniva aggiudicata al miglior offerente.
Le reclute afghane della compagnia erano male allenate ed imprevedibili, secondo un ex coordinatore per la sicurezza dell’USPI. “In caso di scontro a fuoco, ci avrebbero lasciato in braghe di tela” egli afferma. “Molti di loro erano davvero ragazzini. Ricordo di quando cercavo di insegnare loro come sparare e non avevano alcuna idea di come maneggiare un kalashnikov”. “Altri – aggiunge – erano ex talebani, od ancora talebani, ma il fatto che non venissimo attaccati da loro lungo la strada… qualunque cosa lavorasse in nostro favore ci andava bene.”
Utilizzare guardie afghane poteva aver risolto il problema della manodopera. Ma aveva anche funzionato contro uno degli obiettivi cruciali della comunità internazionale: smilitarizzare le fazioni armate. Nel 2005, l’International Crisi Group riferì che le prassi di assunzione dell’USPI avevano effettivamente contribuito a rafforzare i comandanti delle milizie “politicamente, militarmente ed economicamente”. Molte degli uomini dell’USPI – diceva l’ong – hanno “usato la loro autorità per svolgere attività criminale, incluso il traffico di droga”. Un ex supervisore dell’USPI mi ha raccontato di alcune guardie che come attività collaterale erigevano blocchi stradali in alcuni punti della strada che avrebbero dovuto proteggere, estorcendo denaro a coloro che vi passavano. L’ex funzionario del Berger descrive la situazione come un circolo vizioso. “Se non li paghi, uccidono gli addetti alla sicurezza ed i lavoratori” sostiene. “Se li paghi, peggiora il problema per il futuro”.
Per quanto questa relazione potesse sembrare rischiosa, l’impiego di guardie afghane supervisionate dai coordinatori per la sicurezza statunitensi ed internazionali assunti dall’USPI, diventò il modello operativo dell’agenzia, ed un modello redditizio. A partire dal suo legame con il Berger, l’USPI stipulò contratti con la Banca Mondiale, l’Agenzia per la Cooperazione Internazionale del Giappone (la versione giapponese di USAID), le Nazioni Unite, ed una serie di aziende private, inclusi banche ed alberghi locali. Nel settembre 2004, vinse un altro subappalto dell’USAID, attraverso il Berger, per un valore superiore ai 20 milioni di dollari. Praticamente, l’USPI forniva sicurezza per tutti i lavori che il Berger svolgeva in Afghanistan.
Nel 2006, l’USPI dichiarava di impiegare più di 3.000 guardie afghane, oltre a 160 addetti statunitensi e stranieri, e di avere una significativa presenza in tutto il Paese, soprattutto a Kabul, dove le guardiole contrassegnate con il suo stemma erano una visione comune. “Praticamente diventò un mostro” dice l’ex funzionario del Berger. Sul suo sito internet, la compagnia si descrive come “la principale compagnia privata di sicurezza che lavora a sostegno dell’operazione Enduring Freedom in Afghanistan”. Il suo scopo dichiarato? “Agevolare il cambiamento ed il miglioramento per il popolo dell’Afghanistan”.
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Il 28 agosto 2007, la polizia afghana, agenti del FBI e USAID, e personale Blackwater, calarono negli uffici USPI di Kabul, armi alla mano. “Avete mai visto un ingresso dinamico, di persone che perquisiscono le stanze con le armi pronte e cariche e sospingendo una pistola verso la tua faccia? Questo fu il modo in cui Blackwater fece il suo ingresso dentro la casa” afferma un ex supervisore dell’USPI. Gli agenti requisirono computer ed armi di contrabbando, e portarono via borse piene di registri della ditta. Nel frattempo, le autorità federali stavano eseguendo un mandato di perquisizione presso la sede texana dell’USPI. A partire dal 2005, gli investigatori federali avevano via via raccolto evidenza che l’USPI aveva frodato il governo statunitense insieme ai suoi subappaltatori USAID. Adesso stavano facendo la loro mossa.
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Una copia della richiesta di mandato di perquisizione, chiedendo l’autorizzazione a svolgere la ricerca nella sede texana, notava come il contratto iniziale fra USPI ed il Berger, aggiudicato nel giugno 2003 per 8,4 milioni di dollari, si fosse gonfiato fino ad arrivare a 36 milioni nel agosto 2005 – e riportava uno stuolo di accuse circa la potenziale causa di alcuni di questi incrementi. Gli investigatori dicevano di “aver ottenuto evidenza che l’USPI emetteva deliberatamente e sistematicamente ricevute e fatture fasulle atte a giustificare spese milionarie per le quali non possedeva documentazione a sostegno”.
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C’era di più: un altro impiegato dell’USPI “ha dichiarato che soltanto circa la metà delle guardie per le quali l’azienda emetteva fatture al Berger esisteva davvero” e che Del Spier sovrafatturava regolarmente in tema di personale. Non solo c’erano registri dei lavoratori creati dal nulla, dice questa fonte, ma il vice di Del, un afghano di nome Behzad Mehr, di consuetudine produceva fatture false da inesistenti società per il carburante ed i veicoli. Secondo un informatore dell’USPI, Bill Dupre – il dirigente responsabile della gestione dell’azienda in Afghanistan – insegnava ai nuovi impiegati come gonfiare i costi per coprire spese quali forniture per l’ufficio, munizioni ed altri articoli.”Dovevi mettere in busta paga dieci o quindici guardie che in realtà non esistevano”. Il governo sosteneva che “Del Spier fosse al corrente di tutte queste attività”. Ed anche che Barbara fosse anch’ella coinvolta nella truffa, e che sia stata anche colta nel tentativo di ingannare un ispettore federale circa la fatturazione al Berger per un lavoratore che non operava più per l’azienda.
Dopo le perquisizioni a Kabul ed in Texas, l’inchiesta è rimasta a lievitare per più di un anno. Poi, ad inizio dell’ottobre 2008, i federali sono piombati in picchiata, arrestando i coniugi Spier in Texas e Bill Dupre in California. Fra i denunciati compare anche il nome di Behzad Mehr, benché una nota rilasciata dall’USAID sosteneva che il braccio destro di Del “rimanesse contumace”. (Diverse fonti mi hanno riferito che Mehr era invece in prigione a Kabul al tempo, e che vi rimane ancora oggi.) I quattro hanno sul groppone svariate accuse di frode, addebiti che nel complesso possono condurre a condanne carcerarie fino a 35 anni e multe fino ad un milione e mezzo di dollari.
L’atto d’accusa cita altre prove della truffa, incluso un messaggio di posta elettronica del 29 maggio 2005 in cui Mehr chiedeva il permesso di Del per inserire indirizzi e numeri di telefono nelle fatture false. Non solo Del glielo diede, afferma l’atto, ma gli disse anche “di ricavare spazio in ufficio qualora il Berger chiedesse di vedere gli uffici aziendali”. Secondo le fonti giudiziarie, i caratteri di stampa usati per creare le fatture false sono stati trovati nei computer di Mehr e di Barbara Spier. Vi sono stati anche scoperti i files grafici contenenti le firme digitalizzate dei funzionari del Ministero degli Interni afghano, presumibilmente utilizzate per rendere verosimiglianti le fatture.
“Si facevano fatturazioni doppie e triple per i soldati e si raddoppiavano i costi per il noleggio delle automobili” mi ha raccontato un ex impiegato dell’USPI. “Se veniva noleggiata un’auto per 750 dollari, ne fatturavano 1.500 ad USAID. Se avevano 1.000 soldati al lavoro, imprimevano sui fogli di paga 3.000 impronte digitali del pollice e li mandavano per l’incasso”. E aggiunge: “Questo era il genere di cose che facevano”.
C’erano tanti segnali di avvertimento, dice Steve Appleton. Colonnello dell’esercito canadese in pensione, Appleton nel giugno 2005 diventò responsabile dei progetti per la costruzione delle strade in Afghanistan per conto dell’Ufficio per i Servizi di Progettazione dell’ONU (UNOPS). L’UNOPS aveva ricevuto da USAID uno stanziamento di 35 milioni di dollari per costruire una rete di strade secondarie in tutto il Paese. Questo appalto poteva andare al Berger, se i suoi progetti non fossero andati abbondantemente fuori bilancio. (Il tetto di prezzo del suo contratto da 214 milioni ultimamente ha superato i 700.) “Non c’era più l’intenzione” di rendere il Berger primo appaltatore, mi ha detto recentemente Appleton da Kabul, ma ancora una volta USAID assicurò al Berger un pezzo dell’affare. L’agenzia stabilì che l’UNOPS dovesse subappaltare gli aspetti progettuali del lavoro al Berger. E con il Berger arrivò l’USPI.
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Nel settembre 2005, uno degli addetti americani dell’USPI ammazzò con un colpo di pistola alla testa un afghano, un trentasettenne di nome Noor Ahmed che lavorava per l’azienda come traduttore. Benché l’incidente avesse brevemente portato la compagnia alla ribalta delle cronache, l’identità dello sparatore non è mai stata resa nota finora. Due ex lavoratori dell’USPI mi hanno riferito che si trattava di un ex marine di nome Todd Rhodes. (Egli fu ucciso in Iraq nell’agosto 2006 mentre lavorava per l’agenzia privata di sicurezza Cochise.) L’ex supervisore dell’USPI insisteva nel dire che lo sparo fosse giustificato, che Ahmed “si era posto in una posizione per far fuoco contro di lui e Todd gli aveva sparato per autodifesa”. Rimangono ancora aperte le domande sulle circostanze dello sparo e se siano state pienamente indagate. Mentre l’ex supervisore dell’USPI dice che il Ministero degli Interni afghano “svolse un’indagine veloce” e scagionò Rhodes da qualsiasi illecito, la compagnia lo fece uscire di nascosto dal Paese prima che potesse essere intrapresa un’inchiesta formale. Il capo della polizia provinciale ha affermato di aver mandato una squadra presso la cittadella dell’USPI per indagare ma che le guardie della compagnia non permisero loro di entrare.
Bastò l’incidente ad alimentare le preoccupazioni di Appleton. Egli decise di darsi da fare per tagliare il rapporto dell’USPI con l’UNOPS – comunque, il contratto sarebbe terminato non più tardi dell’estate. L’USPI poteva concorrere nuovamente per l’appalto, ma Appleton era determinato a trovare la compagnia meglio attrezzata per difendere i lavoratori. Alla fine, egli dice – “USAID si tirò indietro”, convincendolo ad estendere il contratto di UNOPS per altri tre mesi in cui la situazione della sicurezza sarebbe stata rivista. (USAID non ha risposto ad una dettagliata richiesta di commento in merito.)
“Nel frattempo subivamo pesanti danni in termini di incidenti e morti violente nell’ambito del progetto sulle strade”, afferma Appleton. “Penso che nessuno abbia mai chiarito quali fossero i numeri. Avevamo più perdite dei soldati statunitensi in Afghanistan nel 2005 e 2006. Venivamo scremati. Avevamo coordinatori stranieri per la sicurezza dell’USPI che erano decapitati. Lavoratori turchi che venivano eliminati. Guardie afghane al servizio dell’USPI che erano fatte fuori. Andava così male che condussi un gruppo con rappresentanti del Berger a prendere contatto con l’ambasciata statunitense per dire: “Dovete armarci meglio perché là fuori noi veniamo massacrati”. Ed aggiunge: “L’USPI aveva adottato un approccio in stile cowboy, ‘Avanti con loro. Costruiremo la pace semplicemente ammazzandone abbastanza’”.
Appleton tentò ancora di cancellare il contratto. Finalmente diverse compagnie per la sicurezza – inclusa l’Aegis, una ditta britannica di buona reputazione – vennero sondate circa l’eventualità di prendere in carico l’incombenza. Ma subito il Berger fece resistenza.
Nel giugno 2006 Fred Chace, allora vice dirigente per le operazioni del Berger in Afghanistan, mandò ad Appleton una memoria nella quale si raccomandava di non rimuovere l’USPI dal progetto.
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Appleton aveva colpito un muro di mattoni. Era sconcertato. “Era solo un’azienda a conduzione familiare fuori dal Texas” egli dice. “Queste persone erano dilettanti. Si trattava di una cosa completamente priva di senso.”
Ma Appleton crede di aver finalmente scoperto perché i funzionari del Berger fossero così riluttanti a mettere in discussione il contratto con l’USPI – e perché Del Spier e la sua azienda avevano potuto piombare per primi sull’appalto. Una volta, Appleton chiese ai funzionari del Berger perché fosse stata incaricata l’USPI. “Mi risposero che Jim Myers e Del se la filavano” egli dice. Myers era il progettista responsabile delle attività afghane del Berger, ed il funzionario che lavorava più in contatto con l’USPI. “Jim Myers era un sostenitore incondizionato dell’USPI e di Del” spiega l’ex funzionario del Berger. “Egli non avrebbe accettato critiche al loro riguardo. Non si sarebbe mai sognato – mai, mai – di rimuovere l’USPI. Mai, a dispetto di nulla. Nessuno aveva a che fare con il loro contratto.” E continua: “Si era ben capito che ci doveva essere stato un rapporto tra l’USPI e qualcuno al Berger, o Jim. Così andavano le cose. Era l’unico motivo logico per cui accadesse ciò… Si trattava di una questione di conoscenza.”
Altre fonti mi hanno riferito che Myers e Del Spier erano amici di lunga data. “Era tutto veramente incestuoso” afferma un ex impiegato dell’USPI. “Avevano un rapporto molto stretto” conferma l’ex supervisore.
(…)
Adesso, per Del e Barbara Spier i nodi sono venuti al pettine. Sono usciti dal fallimento ritrovandosi ricchi, solo per ricadere nel rischio di perdere tutto un’altra volta. A febbraio, il Dipartimento della Giustizia ha avviato la procedura per sequestrare la casa di Hempstead, nel Texas, dal valore di mezzo milione di dollari, comprata nel 2005 in parte con i profitti della truffa descritta. Sono stati loro tolti i passaporti, e per lasciare il Texas hanno bisogno di un permesso. L’USPI ha esaurito i suoi ultimi subappalti con USAID lo scorso inverno, subito dopo essere stata inserita nella Lista degli Interlocutori Esclusi elaborata dal governo federale. Questa designazione preclude la società dal ricevere ulteriori incarichi governativi in pendenza del procedimento penale, che andrà in giudizio a fine settembre. (Gli Spier ed i loro avvocati hanno declinato le richieste di intervista.)
Ma l’USPI rimane veramente molto attiva in Afghanistan, con gli Spier che comandano dal Texas. Un visitatore recente di Kabul mi ha raccontato di aver visto le guardie dell’USPI appostate nei pressi di vari ristoranti ed attività locali. “Più le cose diventano pericolose, più fanno affari” dice l’ex marine che lavorava per l’USPI e che rimane in contatto con Del Spier. Ma Appleton, che adesso dirige una sua ditta di consulenza incentrata sul rafforzamento dell’economia afghana, dice che l’USPI non è più la controparte di una volta. “Adesso svolgono lavori da poco, un ristorante qui ed uno là. Non sono certamente diffusi.”

Da Mother Jones. 

Traduzione di F. Roberti