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L’era dell’energia fossile e la sua crisi

di Philippe Bovet - 16/09/2009

Fonte: cartografareilpresente

Nel Medioevo, l’energia si riassumeva in un unico combustibile: il legno. Il legno, d’altra parte, era sufficiente per fare tutto : attrezzi, imbarcazioni, carretti, botti per il vino, presse per l’uva, riscaldarsi, soddisfare le esigenze dell’artigianato, ecc. La supremazia del legno è durata a lungo. Sebbene il carbone fosse conosciuto da tempo, il suo sviluppo è recente. Certo, nel Medioevo si sapeva già come utilizzare il carbone: ad esempio, nel XIII secolo, a Londra, quando era difficile trovare legna da ardere, le classi più povere si riscaldavano con carbone di bassa qualità. Tuttavia, è solo a partire dal XVII secolo che, grazie a rilevanti progressi nelle tecniche di estrazione, il carbone riesce a prevalere sul legno.

Alla fine del XIX secolo, fa la sua comparsa una nuova fonte di energia : il petrolio. L’utilizzo del petrolio, che risale all’era precristiana, era già conosciuto, ma solo a livello aneddotico. E’ nel 1859 che la carriera del petrolio comincia davvero, quando il «colonnello» Edwin Drake realizza, in Pennsylvania, la prima trivellazione commerciale. In poco tempo, due nomi si associano alla storia del petrolio: la famiglia Rockfeller, che acquista pozzi e raffina il greggio per conto della Standard Oil, e il ramo francese della famiglia Rothschild, legata all’ambiente bancario. In questa sede, non s’intende ricostruire la storia delle due famiglie, ma è importante sottolineare che, da un lato, i loro nomi ci sono ancora familiari e, dall’altro lato, che la storia del petrolio è stata pressoché interamente gestita da poche persone o grandi gruppi. Il principio di concentrazione, infatti, influenzerà l’economia delle energie fossili nel suo insieme: esso s’incarna innanzitutto nel cartello delle sette sorelle, le sette imprese petrolifere che, fino all’avvento dell’ OPEC, hanno dominato il mercato mondiale del petrolio. Nel 1949, Exxon, Chevron, Mobil, Gulf, Texaco, BP e Shell possedevano i quattro quinti delle riserve di petrolio ubicate al di fuori degli USA e dell’URSS, controllavano i nove decimi della produzione, i tre quarti delle capacità di raffinazione, i due terzi delle navi cisterna e quasi tutti gli oleodotti.

Fino alla rivoluzione industriale, il consumo mondiale di energia può definirsi modesto, stabile e basato su risorse rinnovabili: il legno, il vento e l’acqua, attraverso i mulini a vento e ad acqua. Il massiccio sviluppo del sistema di produzione industriale, i cambiamenti dello stile di vita e dei consumi hanno, poi, modificato la situazione. Oggi, tutte le nostre azioni quotidiane si fondano sulla grande disponibilità di energia a buon mercato, di cui ci poniamo troppo raramente la questione dell’origine.

Come si accennava prima, il mondo dell’energia è caratterizzato da una forte concentrazione. Il petrolio, infatti, è distribuito in modo ineguale sul pianeta: il 60% delle riserve si trovano in Medio Oriente, mentre il resto, il 40%, si ripartisce tra poche altre nazioni. Il mercato del petrolio è gestito da un ristretto numero di attori, soprattutto a causa degli ingenti investimenti necessari per individuarlo, estrarlo, trasportarlo, raffinarlo, distribuirlo ecc. Lo stesso schema monopolistico domina la produzione di energia che utilizza centrali termiche a forte potenza, reti di distribuzione a stella, ecc. Sebbene sia il petrolio a dominare il mondo dell’energia, anche i settori del gas, del carbone e del nucleare presentano un sistema oligopolistico.

Il petrolio ha dominato il nostro mondo perché è un’energia strabiliante. Presentandosi in forma liquida, esso può essere trasportato e stoccato con facilità. Si trasforma sia in energia meccanica sia in energia elettrica. Si tratta, insomma, di un’energia flessibile ed è per questo che è così difficile rinunciarvi. Il petrolio, inoltre, è una molecola eccezionale anche per la chimica. Tuttavia, il petrolio tende ad esaurirsi e non ha senso bruciare questa molecola di qualità per produrre acqua calda sanitaria (potendolo fare anche con il sole) o per riscaldare un’abitazione privata (potendolo fare anche con le nuove tecnologie legate al legno).

Malgrado i problemi ambientali connessi alla produzione di energia, l’immenso serbatoio delle economie energetiche e il potenziale dell’energia pulita, la domanda mondiale di watt continua a crescere ad un ritmo del 2% l’anno. Oggi, la principale sfida del sistema energetico mondiale è di tipo logistico e consiste nell’assicurare al mondo intero la fornitura di petrolio, gas e uranio a partire da pochi paesi d’estrazione, utilizzando imponenti reti di trasporto. Quali problemi potrebbero spingerci a rimettere in discussione il nostro modello energetico, centralizzato e vulnerabile ?

Se ne possono individuare almeno tre.

Le tre grandi questioni energetiche all’inizio del XXI secolo

  • La limitatezza delle risorse

    Secondo alcuni esperti, le energie fossili (carbone, petrolio e gas) ci garantirebbero 260 GigaTEP (miliardi di tonnellate di equivalente petrolio) di risorsa, ovvero, al ritmo attuale con cui cresce il consumo energetico mondiale, 50 anni di consumo. Secondo altri esperti, se si aggiungono a questo potenziale le cosiddette risorse alternative (come le sabbie bituminose, da cui si può estrarre il petrolio a costi elevati), avremmo circa 115 anni di riserve davanti a noi. La realtà si situa a metà strada tra queste due cifre, ovvero tra i 60 e i 70 anni di riserve fossili – ma solo se non cambieremo nulla nel modo di utilizzarle. Forse, l’unica cosa certa è che l’era del petrolio a buon mercato è finita [1].

  • Il contesto geopolitico

    Gli idrocarburi sembrano spingere i paesi dominanti, che rifiutano di cambiare il loro stile di vita, a condurre guerre di conquista, con il solo obiettivo di assicurarsi la disponibilità di questa risorsa a prezzi accettabili. La guerra in Iraq ne è un esempio. Infatti, è proprio in Iraq che, oggi, sono localizzate le maggiori risorse mondiali di petrolio; qui, il greggio è facilmente accessibile e di ottima qualità. Con il pretesto della questione nucleare o del finanziamento del terrorismo, altri paesi, come l’Iran e l’Arabia Saudita, potrebbero subire la stessa sorte dell’Iraq.

Alcuni tra i popoli più poveri del pianeta rischiano di essere colpiti dai cambiamenti climatici. Il graduale innalzamento degli oceani potrebbe inondare una parte del Bangladesh. Precipitazioni troppo violente e carestie troppo intense obbligheranno i popoli a migrare. Questi spostamenti di popolazioni, ancora chiamati guerre dei poveri, non saranno privi di conseguenze. L’ONU ha stimato che le migrazioni motivate da cause ambientali coinvolgeranno, nel 2010, 110 milioni di persone.

A queste guerre rischiano di aggiungersi anche lotte economiche tra l’Europa, la Cina e gli Stati Uniti, conflitti che non provocheranno scontri armati, ma miseria.

  • Le cause ambientali

    Sembra che il riscaldamento climatico comporterà, alla fine del secolo, un aumento medio delle temperature di circa 5 gradi, persino di 8 gradi se fonderà il ghiaccio della calotta polare. Un innalzamento delle temperature di tali proporzioni non implicherebbe soltanto un cambiamento nel modo di vestire, non significherebbe semplicemente un po’ più di spiaggia in estate e un po’ meno riscaldamento in inverno, bensì l’ingresso in una nuova era climatica. Per fare un confronto, basti pensare che 20.000 anni fa, con 5 gradi di meno, l’oceano era più basso di 120 metri rispetto ad oggi e la Manica si attraversava a piedi. Alcuni specialisti potrebbero confutare l’esattezza di queste cifre, ma nessuno mette in dubbio il principio sottostante.

Non si tratta, qui, di allarmismo, ma di realismo. Se non verrà fatto nulla per ridurre e ripensare i nostri bisogni energetici, rischiamo di pagare a caro prezzo la nostra pigrizia. E questo soltanto perché saremo stati così deboli da rimandare gli investimenti necessari, o perché non avremo avuto il coraggio di far evolvere i nostri stili di vita. Un vero peccato, soprattutto se si considera che ci sono numerose soluzioni a portata di mano [2].

Le soluzioni esistono

In Francia, le emissioni di CO2 si ripartiscono come segue: trasporti 28%, abitazioni private e terziario 24%, industria 20%. Sempre in Francia, nel 2002, il settore immobiliare (inclusi gli uffici) ha consumato il 43,4% dell’energia. Gli altri settori sono l’industria con il 23,3%, l’agricoltura con l’1,9%, i trasporti con il 31,4%.

Poiché, con l’inasprimento delle normative ambientali, il settore industriale ha ridotto in modo significativo, nel corso degli anni, le emissioni di diossido di carbonio e il consumo energetico, esso non più essere considerato il settore maggiormente inquinante. Oggi, è soprattutto al livello del comportamento individuale che è necessario intervenire.

Ciascuno di noi emette CO2 ed agenti inquinanti in base a quattro tipi di bisogni: l’abitazione, i trasporti, l’alimentazione e i rifiuti. Per ciascuno di questi settori, è possibile ridurre significativamente la dipendenza energetica e, quindi, le emissioni ad essa legate [3].

Passiamo in rassegna questi 4 settori.

  • Le abitazioni

    In Francia, il parco immobiliare consuma in media 220 kWh/m2 all’anno, per il riscaldamento e l’acqua calda sanitaria. Un edificio nuovo consuma circa 100 kWh/m2 all’anno. Un edificio vecchio ed isolato in modo inadeguato consuma circa 400 kWh/m2 all’anno. Per migliorare la situazione, è necessario rendere più severe le normative sull’isolamento termico, soprattutto per gli edifici nuovi. In Germania, ad esempio, si costruiscono sia i cosiddetti edifici passivi, che consumano appena 15 kWh/m2 all’anno, sia edifici ad energia positiva, che, ogni anno, producono mediamente più energia di quanta non ne consumino.

Per quanto riguarda il rinnovamento del parco immobiliare esistente, è indispensabile migliorarne l’isolamento termico. In Francia, numerosi rapporti parlamentari evidenziano la necessità di ridurne il consumo a 50 kWh/m2 all’anno. Lo studio francese Enertech, specializzato in questo settore, ha sottolineato che, ogni anno, più di 400.000 edifici cambiano proprietario e che bisognerebbe approfittare delle vendite per riadattarli. Il rinnovamento completo del parco immobiliare francese esistente è possibile: esso richiederebbe circa 20 anni di lavoro ed occuperebbe 100.000 persone.

In Inghilterra, l’architetto Bill Dunster ha promosso, insieme ad altri, la costruzione di edifici chiamati “BedZED” (Beddington Zero Energy Development). Questo edificio, molto economico in termini energetici, funziona senza mai ricorrere ad energie fossili. Lo stesso architetto ha sviluppato il progetto “Flower Tower”, una torre, autonoma al 100% in materia energetica, che funziona grazie alle sole energie rinnovabili [4].

  • I trasporti

Le soluzioni per rendere il trasporto di persone e merci meno dispendioso in termini energetici sono ben note: si tratta di sviluppare i trasporti in comune, passare dal trasporto su strada al trasporto ferroviario o fluviale, vietare le automobili in città, ritornare alle produzioni locali, ecc.

La Confederazione Elvetica costituisce un ottimo esempio per i trasporti di persone e merci. Infatti, per quanto riguarda il trasporto di merci, il 60% delle lettere e dei colli postali sono trasportati su ferrovia, contro lo 0,5% della Francia. In questo campo, i cambiamenti dipendono più che in altri settori dalla volontà politica? Certo, ma anche il settore privato può apportarvi un contributo determinante, effettuando modifiche e presentandosi come esempio cui ispirarsi o da imitare. E il cambiamento è possibile. A Londra, la torre Gherkin, di 40 piani, inaugurata nel 2004 e costruita dall’architetto Norman Foster, è di proprietà della Swiss Re, il più importante istituto assicurativo del mondo. Questo grattacielo è un modello di architettura (i dati sul consumo energetico dovranno provarlo, ma l’edificio dovrebbe essere molto economico in energia, quindi poco costoso da gestire): esso è stato costruito vicino ad una stazione della metropolitana e vi lavorano circa 4000 persone; un solo piano è adibito a parcheggio ed è riservato alle consegne, non alle automobili degli impiegati! I posti per le biciclette, invece, sono di tre volte superiori alla norma e gli impiegati ciclisti possono usufruire di apposite docce!

Ripensare i trasporti significa anche adottare soluzioni logistiche più semplici. La consegna a domicilio dei colli postali, alle imprese e ai privati, costa molto ed implica continui spostamenti (il destinatario è assente e bisogna ritornare, andare di porta in porta richiede tempo e denaro). Gli esperti di logistica parlano con terrore del « costo dell’ultimo chilometro ». Per porvi rimedio, ecco alcuni esempi di distribuzione centralizzata: i siti Post24 e Tower24.. [5].

Venezia è l’esempio per eccellenza della città senza auto. Le consegne vengono effettuate in gran parte a piedi, le barche non si fermano davanti ad ogni casa e questo viene accettato, perché è Venezia. Sipotrebbe fare lo stesso in un’atra città. Il camion potrebbe fermarsi a 900 metri dagli uffici in cui effettuare le consegne, il conducente potrebbe fare tutto a piedi…

  • L’alimentazione

    Nel campo dell’alimentazione, le emissioni di CO2 dipendono da ciò che compriamo e dalla provenienza di tali prodotti. Quando fu pubblicato, nel corso degli anni Novanta, il libro Fattore 4 aveva sconvolto l’opinione pubblica, dimostrando quanto fosse « energetivoro » il nostro stile di vita. Soprattutto, in ambito alimentare, aveva impressionato i lettori l’esempio del barattolo di yogurt alla fragola: secondo uno studio dell’Istituto di Wuppertal, i suoi ingredienti e il suo contenitore in vetro totalizzavano almeno 3500 Km di trasporto prima di arrivare sulla tavola del consumatore. Il saggio sottolineava anche che le nostre abitudini potevano essere facilmente rese meno dispendiose in termini energetici. Perché continuare a consumare succo d’arancia prodotto con frutti importati, quando il succo di ribes nero contiene più vitamine ed è di produzione locale? [6]

E se non è possibile rinunciare alla carne, bisogna ricordare che la carne bianca è preferibile alla carne rossa, perché il regime alimentare dei volatili non emette metano ed è il meno « energetivoro ». Produrre un kg di carne di vitello comporta l’emissione di circa 14 kg di CO2, circa 4 kg di CO2 per la carne di manzo, 1 kg di CO2 per la carne di maiale e 0,3 kg di CO2 per il pollame. Mangiare 200 g di carne di vitello equivale a percorrere 50 km in macchina: il vitello è, quindi, l’alimento peggiore dal punto di vista del carbonio e del contenuto energetico (animali nutriti con l’insilamento di mais, cereali e panelli di soia, spesso brasiliani). Perché il pollo è la carne meno « energetivora »? Perché è un animale che si consuma giovane e che tollera (anche quando è allevato all’aperto) una buona densità al suolo. Un bue, invece, può attendere anche due anni prima della macellazione.

La carne rappresenta dal 70% al 75% del contenuto di carbonio della nostra alimentazione. Per sopravvivere alla minaccia del riscaldamento climatico, quindi, non basterà isolare le abitazioni, ma bisognerà rivedere integralmente la nostra alimentazione, ridurre in modo drastico il consumo di carne e mangiare più verdura. Per secoli, la nostra alimentazione è stata di tipo vegetale e solo gradualmente è stata integrata con carne, pesce e latticini. La situazione, poi, si è capovolta. In meno di un secolo, il consumo di carne è quadruplicato. Basti pensare a quanto accade al ristorante: la carne è l’elemento centrale del piatto, circondata di verdure. Un cambiamento di abitudini, d’altra parte, è nel nostro interesse: è risaputo che mangiare troppa carne è dannoso per la salute.

Ancora due serie di cifre sull’agricoltura:

  • Il libro Fattore 4 ricorda anche che « L’agricoltura meccanizzata, grande consumatrice di energia, fertilizzanti e pesticidi, ha bisogno, per nutrire una persona, di 4,5 ettari per un regime alimentare basato sulla carne e di 1 ettaro per un regime alimentare vegetariano ». In definitiva, un regime alimentare vegetariano o con un ridotto consumo di carne consuma meno spazio rurale e permette di sfamare più persone.
  • Globalmente, l’agricoltura consuma molta energia, ancora più energia di quanto non sia stato suggerito sino ad ora, perché devono essere considerate anche le attività connesse all’agricoltura e le attività di trasporto. Sul piano energetico, poi, è da citare anche la catena del freddo (celle frigorifere industriali, congelatori di grandi dimensioni, congelatori dei privati, ecc.), che, in Francia, occupa il primo posto, dopo il riscaldamento, nel consumo di elettricità.

L’agricoltura biologica e l’agricoltura locale sono molto meno « energetivore » dell’agricoltura classica. Ad esempio, le emissioni di CO2 connesse all’agricoltura sono molto elevate nel Regno Unito, un paese che ha perso la maggior parte dei suoi insediamenti agricoli. Qualche decennio fa, l’Inghilterra contava 186.000 acri di frutteti, ma questa cifra è scesa a 44.000 acri e, oggi, il Regno Unito importa circa l’80% dei frutti e delle verdure che consuma dalla penisola iberica. Per incentivare il ritorno, nei paesi occidentali, ad un’agricoltura locale, possono essere sviluppati schemi volontaristi, come l’AMAP (Association pour le maintien de l’agriculture paysanne), i Jardins de Cocagne o gli orti urbani, ancora chiamati orti condivisi [7]. Alcuni edifici costruiti di recente, come il sito londinese di BedZED, comprendono un orto per ciascun residente.

  • I rifiuti

Le emissioni di CO2 dovute ai rifiuti dipendono da diversi fattori: quanti rifiuti produco, cosa ne faccio, li trito, li utilizzo come fertilizzante, ecc.? Su questo punto, anche gli industriali e i politici sono chiamati a svolgere un ruolo importante. Da qualche anno, in Germania è tornata ad essere obbligatoria la riconsegna delle bottiglie di vetro e di plastica. La restituzione è possibile perché i tragitti da percorrere per riportare le bottiglie verso i luoghi del loro riutilizzo sono brevi. Se la Germania conta numerosi semi-grossisti di bibite, del tutto diversa è la situazione della Francia. La Francia, infatti, privilegia il recupero del vetro rotto, attraverso appositi raccoglitori posizionati sulle strade: il vetro rotto è una materia prima che ha un suo prezzo e che si esporta in tutta Europa. Il modello francese, distante mille miglia dalle strutture locali tedesche, deve essere integralmente ripensato! In Danimarca, i produttori di birra hanno accettato di utilizzare tutti gli stessi tipi di bottiglie, personalizzandole soltanto con l’etichetta e il tappo. In tal modo, ciascuno può recuperare le bottiglie di altri produttori ed integrarle nella propria produzione.

Un’altra questione sottovalutata: l’utilizzo degli sciacquoni, oggi, crea più problemi di quanti non ne risolva. Il litro e mezzo di urina e il mezzo litro di materia fecale che ciascuno produce ogni giorno si trasformano in un volume d’acqua utilizzata 30 volte superiore, acqua che è poi necessario trattare, a costi molto elevati [8].

La Scozia, un esempio di impegno

All’inizio degli anni Ottanta, la Scozia non ha creduto nello sviluppo dell’eolico terrestre. Nel frattempo, i danesi (e, in misura minore, i tedeschi) sono diventati i leader mondiali in questo settore. Con una produzione di petrolio e gas in declino, la Scozia intende, ora, impegnarsi nello sviluppo delle energie marine, ovvero l’eolico off-shore (diverso dall’eolico terrestre), l’energia delle onde e delle maree. Questo paese possiede, infatti, il 25% del potenziale eolico europeo e alcuni tra i siti migliori per le energie marine.

Oggi, le competenze tecniche scozzesi in materia energetica sono legate all’industria del petrolio. La tecnologia delle trivellazioni aiuterà l’eolico off-shore ad installarsi in mare aperto. Nel 2006, a 23 Km dalle coste e non lontano dalla piattaforma petrolifera Béatrice, è stata installata, nell’ambito del programma europeo Downvind (Distant off-shore windfarms with no visual impact in deepwater), una prima turbina di 5 MW. Una seconda turbina sarà installata prossimamente [9]. Questi due mulini a vento giganti forniranno energia alle piattaforme petrolifere. Se queste iniziative avranno successo, ne seguiranno altre. Gradualmente, le piattaforme petrolifere, dotate di mulini a vento e di impianti a moto ondoso (di cui si parlerà più avanti), trasmetteranno sulla terraferma, per intero o in parte, la loro importante produzione elettrica. In definitiva, anche se i giacimenti scozzesi di gas e petrolio si esauriranno, i siti di trivellazione continueranno a contribuire alla produzione energetica.

La Scozia sta testando anche i mulini ad acqua, mulini collocati sott’acqua che funzionano grazie alle correnti marine. Alla rete elettrica scozzese, inoltre, sono state connessi diversi impianti a moto ondoso, serpenti marini che trasformano in corrente le oscillazioni delle onde. Uno di questi, il Pelamis [10], che produce 750 kW, è stato venduto in numerosi esemplari alle autorità portoghesi. Un altro tipo di impianto a moto ondoso, diverso dal Pelamis, si trova sull’isola di Islay [11], un’isola della Scozia occidentale che intende funzionare al 100% con energie rinnovabili, con grande vantaggio per le sue distillerie di whisky, rinomate al livello mondiale.

La Scozia comincia, quindi, ad esportare le tecnologie in cui crede : nel 2010, intende produrre il 18% dell’energia che consuma a partire da risorse pulite, il 40% nel 2020.

Il modello svedese

Nel febbraio 2006, la Svezia ha annunciato che, nel 2020, si presenterà come il primo paese al mondo interamente indipendente dal petrolio [12]. Una commissione, nominata dal governo e battezzata « la commissione contro la dipendenza dal petrolio », ha consultato esperti e steso il suo rapporto: questa scelta è praticabile. Nel 2020, la Svezia funzionerà senza petrolio, anche per il settore dei trasporti, continuando ad utilizzare la biomassa (il legno, i rifiuti vegetali da cui trarre biogas, ecc.), sviluppando o importando biocarburanti. La scelta di rendersi indipendente dal petrolio è anche connessa all’abbandono del nucleare, deciso da un referendum nel 1980 e previsto per il 2010.

L’energia solare e l’industria

Per soddisfare determinate esigenze dell’industria, è spesso necessario raggiungere alte temperature. Con appositi forni a legna, si possono raggiungere più di 1200 gradi, ma temperature ancora superiori possono essere ottenute bruciando biogas, che ha qualità simili al gas naturale, e soprattutto ricorrendo ai sistemi solari « a concentrazione ». Due di queste tecniche sono state sviluppate negli anni Settanta in Francia, nei Pirenei: nel sito di Odeillo, con il forno solare da 1000 KW, e, 10 Km più lontano, a Targassonne, con la centrale a concentrazione Themis, da 2,5 MW (questi due siti, messi a riposo alla metà degli anni 80, hanno evitato la distruzione e sembrano ritrovare un certo interesse). Oggi, queste tecniche vengono sviluppate negli Stati Uniti e in Spagna. Temperature così elevate si ottengono sia con la tecnica della centrale solare, che concentra l’intensità dell’irraggiamento di molteplici riflettori solari in un unico punto, sia con pannelli semicircolari o a forma di lente concava, in cui circola un liquido atto ad innalzare la temperatura [13].

La lotta tra due mondi

La Germania è un paese all’avanguardia in numerosi settori energetici ed ambientali, grazie sia alle strutture federali sia all’influenza dei movimenti antinucleari. Qui, il settore delle energie pulite ha già prodotto numerosi vantaggi:

  • Nel campo dell’occupazione: dal 2000, sono stati creati 170.000 impieghi nel settore energetico;
  • Nel campo dell’esportazione: l’80% dei pannelli solari termici installati in Francia sono di produzione tedesca;
  • Nel 2007, grandi fabbriche di pannelli solari fotovoltaici verranno aperte nell’est della Germania, dove si trovano già importanti unità produttive attorno alla città di Freiberg. Nel 2007, l’ex RDA sarà uno dei maggiori produttori al mondo di energia fotovoltaica.

Tuttavia, nemmeno in Germania la situazione è esente da contraddizioni. La Germania consuma ancora molto carbone, estratto dalle miniere tedesche. La situazione di questo paese simboleggia, quindi, la lotta tra due mondi energetici: quello vecchio, legato ad abitudini, lobby politiche ed industriali ancora molto forti, e quello nuovo, rivolto allo sviluppo delle energie rinnovabili. Il potenziale delle energie rinnovabili è enorme. Alcuni studi hanno dimostrato che la Baviera e l’intera Germania potrebbero funzionare unicamente con energie rinnovabili [14].

I contrasti

In Europa, i paesi più dinamici nel campo delle energie rinnovabili non sono sempre quelli che ci si aspetterebbe. La Svezia e l’Austria sono i leader nel settore della biomassa; L’Austria, la Grecia e l’Inghilterra nel settore del solare termico. E l’Italia? In Grecia, i pannelli solari termici sono 80 volte più numerosi che in Italia, eppure il sole non è 80 volte minore in Italia che in Grecia! Non sono le ragioni economiche che fanno la differenza, visto che il reddito medio greco è più basso di quello italiano. Analogamente, i mulini a vento sono 80 volte più numerosi in Germania che in Francia, sebbene la Francia abbia un potenziale eolico superiore a quello della Germania.

E l’Australia? Un paese immenso e molto soleggiato: quasi 8 milioni di km2 e 20 milioni di abitanti. Un sogno per chiunque desideri sviluppare tecniche solari e rinnovabili. L’Australia parla, invece, di centrali nucleari ed è il primo produttore mondiale di carbone, rifiutando di firmare gli accordi di Kyoto per preservare le proprie esportazioni.

Queste constatazioni sono, quindi, fortemente contraddittorie. Perché ci sono cose che accadono in un paese e non in un altro? Perché le energie rinnovabili si sviluppano in un luogo e restano ancora terra incognita altrove? E’ il quadro legislativo del paese che fa la differenza? In effetti, i paesi federali sono avvantaggiati, perché permettono politiche regionali e locali favorevoli alle energie rinnovabili. La Francia, paese altamente centralizzato, ne è il migliore contro-esempio e resta il campione mondiale del nucleare. Centralizzazione e nucleare vanno forse di pari passo?

Ci si potrebbe chiedere perché la Grecia non proceda oltre nello sviluppo del solare termico. In Grecia, è un’impresa nazionale che detiene il monopolio in materia energetica. Perché l’Italia non sviluppa anch’essa il solare termico? Anche in Italia è un’impresa nazionale, l’ENEL , che detiene il monopolio dell’energia. La stessa osservazione vale per la Francia, con l’EDF.

Il sistema energetico classico, fondato sul principio dell’illimitata disponibilità di energia e del tutto privo di autonomia, sta per tramontare. Per l’avvenire, bisognerà impostare un sistema autonomo e decentrato, che provveda alla gestione e allo stoccaggio delle risorse finite, essenzialmente risorse locali. I privati e gli industriali possono prendere in mano il loro futuro energetico e, spesso, hanno mostrato di desiderarlo, come è accaduto, ad esempio, nell’America settentrionale in seguito alle grandi interruzioni di corrente degli ultimi anni.

Per sviluppare le energie rinnovabili ed avanzare verso un nuovo mondo energetico, non ci sono soprattutto barriere strutturali, politiche e psicologiche, più che tecnologiche, da abbattere?


P.S.

Sebbene i dati qui riportati non siano tutti recenti, ma siano stati ricercati in precedenza, contestualmente alla realizzazione di altri articoli ed altri reportage, gli ordini di grandezza che essi riflettono hanno subito poche variazioni.

Una parte di questo testo è stata redatta grazie alle informazioni che mi sono state fornite da Olivier Sidler, uno dei massimi esperti francesi del settore energetico, in particolare del settore edile, e da Claude Aubert , co-fondatore del centro Terre Vivante e autore di numerose pubblicazioni sull’alimentazione ecologica. A loro desidero rivolgere i miei ringraziamenti, per la loro competenza e la loro pazienza.

Traduzione di Silvia Dotti

Su questo argomento

Leggi l’articolo: Storia ambientale globale nell’era dei combustibili fossili (1800-2007) di John R. McNeill

Bibliografia

  • Cochet, Y., Pétrole Apocalypse, Ed. Fayard, 2005.
  • Douthwaite, R., The Growth Illusion, How economic growth has enriched the few, impoverished the many and endangered the planet, Green Books, UK, 1992.
  • Heinberg, R., The party’s over, Oil, War and the Fate of Industrial Societies, New Society Publishers, Canada, 2003. Trad. it. La festa è finita: la scomparsa del petrolio, le nuove guerre, il futuro dell’energia, Roma, Fazi, 2004.
  • Scheer, H., Le solaire et l’économie mondiale, Ed. Actes Sud, 2001. Trad. it. Il solare e l’economia globale: energia rinnovabile per un futuro sostenibile, Milano, Ambiente, 2004.
  • Scheer, H., Energieautonomie. Eine neue Politik fuer erneubare Energien, Kunstmann Verlag, 2005. Trad. it. Autonomia energetica: ecologia, tecnologia e sociologia delle risorse rinnovabili, Milano, Ambiente, 2006.

Sitografia

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