Settlement City
di Tim Franks - 02/10/2009
Si tratta di uno dei più grandi concetti geo-politici tra tutti quelli mai formalizzati… il Processo di Pace in Medio Oriente. Ma i suoi attuali progressi, o la loro assenza, dipendono da qualcosa di decisamente più piccolo – ossia se Israele è pronto, per qualche mese, a smettere di concedere nuovi permessi per costruire colonie in Cisgiordania. Dani Dayan, il presidente del Consiglio dei coloni, ritiene che non si tratti di una cosa così banale come sembra. "Sono due le pandemie che minacciano il mondo – dice - La prima è la febbre suina, la seconda è la 'psicosi delle colonie'". "La Corea del Nord e l’Iran stanno costruendo armi nucleari – continua - e tutto il mondo si preoccupa se mia figlia si costruisce la casa vicino a me". Moshe Affen concorda. Ha 34 anni ed è padre di cinque bambini. È uno delle circa 40 mila persone che vivono nel più grosso insediamento della Cisgiordania, Modiin Illit. Si tratta di un posto degno di nota, proprio oltre il confine israeliano, all’interno della Cisgiordania. È una “new town” – profondamente sgradevole dal punto di vista architettonico – riempita, quasi esclusivamente, da haredim, ebrei ultra-ortodossi. Affen, docente di un seminario ebraico, è uno di loro. Ci siamo incontrati in un negozio di ferramenta. Gli ho chiesto cosa pensasse degli annunci del governo che intende consentire la costruzione di altri 84 appartamenti a Modiin Illit. "Ridicolo - dice Affen - Ogni famiglia ha dieci bambini, e ogni anno ci sono migliaia di nuove coppie che hanno bisogno di una casa". Si ritiene che ciò serva a spianare la strada per la pace, no? Affen scuote la testa. "Non sono di destra - mi dice - Ma gli arabi non ci vogliono qui. Non è questione di questo luogo, loro vogliono Tel Aviv e Haifa e Gerusalemme". Allora qual è la risposta? "Non lo so – dice - Bisogna chiedere a Dio. Devi intervistare Dio". Richiesta di case Nelle colonie, ci si lamenta del fatto che al momento non vi siano abbastanza abitazioni per far fronte alle richieste della popolazione, che cresce tre volte più velocemente di quello che avviene all’interno di Israele. Ma ci sono ancora un sacco di costruzioni. Molti dei nuovi blocchi di appartamenti sono costruiti dai palestinesi dei villaggi vicini. A Modiin Illit, gli operai edili scrollano le spalle: "E’ un lavoro - dicono - Abbiamo delle famiglie da mantenere". Ci sono due grossi motivi per cui la leadership palestinese è contraria all’espansione delle colonie. Il primo è politico: dicono che mina la Road Map che Israele ha firmato sei anni fa. Il secondo è di ordine pratico: gli insediamenti minacciano la vitalità di uno Stato palestinese che abbia un senso dal punto di vista geografico. Il sindaco haredi, Yaakov Guterman, dice che i discorsi su un congelamento delle colonie sono particolarmente inappropriati nel caso di Modiin Illit. Non è solo il fatto che ogni settimana nascano 60 bambini, dice. Egli non vuole in nessun modo accettare il fatto che si tratti di un insediamento – con tutti i connotati di illegalità dal punto di vista del diritto internazionale. Tutti sanno – dice – che con una risoluzione finale i confini verranno ridisegnati, in modo che Modiin Illit finisca all’interno dello Stato di Israele. Ripeto – mi dice – non è una colonia, è una città. Anche se, adesso, è quasi impossibile immaginare che questi 40 mila haredim vengano rimossi e reinsediati, Modiin Illit, tuttavia, resta un insediamento. Ai suoi margini c’è un esempio del perché le accese discussioni sulla domande di costruzione, e i numeri e il temporaneo congelamento (delle colonie) sono tutti piuttosto collegati. Non appena si lascia l’autostrada per entrare nell’insediamento, dietro un po’ di filo spinato piuttosto malmesso, vi è un gruppo di capannoni e cabine temporanee. Ospitano la caserma dei vigili del fuoco, la stazione della polizia e l’ufficio della sicurezza. Secondo l’archivio del ministero della Difesa – una parte del quale è stato reso pubblico in virtù della libertà di informazione – e secondo le mappe del governo, la caserma dei vigili del fuoco, la stazione di polizia e l’ufficio della sicurezza si trovano tutti al di fuori dei confini ufficiali dell’insediamento, su terreno privato di proprietà palestinese. Un alto ufficiale dei vigili del fuoco ci ha detto di aver sentito che la stazione dei pompieri era fuori dai confini. Il sindaco, Yaakov Guterman, ha negato. "Non ho mai detto questo - ha insistito - Nessuno me ne ha parlato”. Abbiamo dato diversi giorni all’amministrazione civile – l’autorità ufficiale israeliana che supervisiona la Cisgiordania – per fornirci una risposta in merito al posizionamento apparentemente illegale (dal punto di vista della legge israeliana) della stazione di polizia. La loro risposta è stata: "La questione è attualmente oggetto di indagine". Da un certo punto di vista questa, naturalmente, è una questione di poco conto… se una stazione di polizia o una caserma dei pompieri sia di pochi metri al di qua o al di là di una linea che segna quello che, a sua volta, solo un Paese - Israele – ritiene un confine ufficiale. Ma questo, sembra, è il livello sul quale stiamo operando in questo momento. Anche nella più piccola zona della Cisgiordania, ci sono migliaia di dispute e dio sa quante apparenti violazioni della stessa legge israeliana. Parlare adesso di limiti e congelamenti equivale a parlare di un obiettivo del tutto traballante. E queste discussioni – va ricordato – mirano semplicemente a riportarci al punto in cui i negoziati possano iniziare a tentare di risolvere il tutto. (Traduzione di Carlo M. Miele per Osservatorio Iraq) |

