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"Pensavamo che Lula avrebbe cambiato il Brasile"

di Nikolas Bass Kallmorgen - 29/03/2006

Fonte: peacereporter.net

Le promesse mancate
La delusione della gente di Bahia: "Pensavamo che Lula avrebbe cambiato il Brasile"

 
 
Il ministro dell'Economia, Antonio Palocci,  uomo forte del governo Lula, si è dimesso. Le accuse di corruzione che lo inseguono da tempo hanno avuto la meglio sulla sua pazienza. Al suo posto il presidente ha già nominato Guido Mantega, titolare del Banco nazionale di sviluppo sociale. In meno di un anno, Lula affronta la seconda crisi di governo. Intanto in autunno ci saranno le presidenziali, ma Lula non ha ancora deciso se ricandidarsi. Nonostante tutto, nonostante i tanti delusi, i sondaggi sulle intenzioni di voto dei brasiliani lo danno comunque al primo posto.  
Bambini del Movimento dei Senza TerraIl sole è già caldo, nonostante i suoi raggi siano ancora in diagonale. Attraverso il villaggio lungo gli stretti sentieri secondari, passando per la favela dell’isola, dove le pareti di bambù delle case concedono un po’ d’ombra. C’è uno strano silenzio da queste parti, che però sparisce nei pressi del porticciolo.
È appena giunta la barca che fa la spola da Valença, la città continentale sulla strada per Salvador. Al molo la vita ferve. Schivo sacchi di riso e casse di birra, ceste di fagioli neri e moleques che spingono carriole contenenti frutta d’ogni guisa. È tutto uno sfilare di abacaxi, melao, umbu, seringuela, maracujà, açaì, goiaba, manga, melancia, cupuaçu, limao, papaya e altre varietà di frutti colorati e dai nomi difficili. C’è anche un carretto contenente almeno una decina di jacas grandi come due palloni da calcio ciascuna.
È una sfilata a ritmo lento, come ogni cosa a Bahia, e approfitto dell’attesa per salutare chi dopo pochi giorni mi tratta già come un vecchio amico. In un piccolo bar incontro alcune di queste persone, che subito insistono perché io beva una birra con loro, ma, vista l’ora, e la ressaca (malessere dopo la bornia Ndr.) per le caipifrutas di ieri, opto per l’acqua di cocco.
 
Rabbia e delusione. La chiacchierata mattutina si trasforma in una complessa e articolata disquisizione politica, con tanto di urla e pugni sul tavolo, e non pochi ne approfittano per sfogarsi con chi, ai loro occhi, vive in uno di quei posti dove si decidono le cose.
“Pensavamo che avrebbe cambiato il Brasile”.
“Pensavamo che sarebbe entrato nella storia come un grande Presidente”.
“Pensavamo che i nostri figli avrebbero letto il suo nome nei libri di storia brasiliana”.
Queste sono solo alcune delle frasi che mi sono state rivolte da gente di ogni estrazione sociale, nel Sudest – già tradizionalmente ostile alla sinistra – come nel Nordest, dove Lula e il Pt (Partito dei Lavoratori) “giocano in casa”. Proprio le alte aspettative che lui stesso è stato in grado di creare acuiscono le conseguenze della disfatta, ma ciò non è certo sufficiente a giustificare la delusione.
Alla vigilia delle elezioni presidenziali, il Pt non ha ancora mantenuto le sue promesse: ha rinviato  la Riforma Agraria, indicata all’inizio del mandato come la principale azione da intraprendere per iniziare a risolvere gli enormi problemi di un Paese che è un Continente cominciando proprio dai più poveri, da chi – contadino senza mezzi – non possiede nemmeno della terra da coltivare.
 
Ma c’è di peggio. Da un lato, uno dei meriti di Lula è stato proprio quello di risvegliare la passione politica in un popolo ad essa tradizionalmente indifferente, se non ostile, per l’enorme distanza dal Potere. Una distanza fisica, perché tutta la vita politica si svolge a Brasilia, nell’interno desertico, mentre quella economica è concentrata a Sao Paulo, una metropoli che di brasiliano ha solo paradossi e contraddizioni, palazzi di cristallo e distese di favelas, colletti bianchi e mendicanti, sguardi puntati al successo e schiene ricurve, mani protese a mendicare mentre altre rubano per mangiare. Ma una distanza anche e soprattutto etica, perché il popolo sa che la fine della dittatura militare negli anni ’80 non ha portato con sé quella della corruzione e dei favori tra amici, fenomeni tipici dell’epoca ma rivisti e rivissuti con tutti i Presidenti della storia della Repubblica, da Collor a Cardoso. Dall’altro lato, il Pt sembrava inespugnabile proprio da questo punto di vista: la sua integrità morale aveva infuso speranza nel popolo. Speranza e voglia di riscatto, di giustizia, di parità, di opportunità o almeno di una riduzione della distanza tra ricchi e poveri.
 
La vera sconfitta. Ma pare che proprio in campo etico si sia concretizzato il fallimento. I casi provati di corruzione di parlamentari dell’opposizione, di cui tuttora Lula si dichiara ignaro, indignato e tradito, hanno dimostrato al popolo il fallimento non solo di un progetto politico, ma della Politica come strumento per cambiare la propria condizione. È questa la sconfitta più grave per il Pt, nonostante non sia da escludere una sua rielezione, per caratteristiche storiche della politica brasiliana e per l’inesistenza di valide alternative, oltre che per gli indubbi risultati raggiunti da Lula sul piano della credibilità internazionale. Il rischio è però che perda l’appoggio delle classi sociali più povere che aveva conquistato in 20 anni di duro e onesto lavoro da sindacalista.
Il Nuovo Capitolo della storia brasiliana resta quindi da scrivere e il fallimento di Lula non si esaurisce nel fatto che il popolo non creda più in lui, bensì nel timore che arrivi a non sperare più in questo Nuovo Capitolo.
Anderson, l’interlocutore alla terza birra, conclude così: “Non sono tutti uguali i politici. Ma quando arrivano lassù, tutti vogliono una cosa sola: più denaro e più potere”.