Siccità in Siria, la storia di Turkya
di Pierpaolo Ciancio* - 17/10/2009
Il villaggio di Mjebre nel nord-est siriano aspetta da tre anni la pioggia. Storicamente lussureggiante, la regione è oggi in ginocchio per una siccità lunga almeno due anni. Il terreno appare desertico, non c'è più vita per i pascoli e per le altre attività agricole che permettevano il sostentamento della popolazione, costretta ad emigrare. Turkya è una delle ultime abitanti di Mjebre. Intervistata dalla Bbc, ricorda che nel 1984 quando diede alla luce Marouf, il suo primogenito, aveva cento pecore; nel 2005 era costretta ad acquistare il latte per la sua ultima figlia, Sabrine, dai vicini, e oggi nemmeno loro hanno più nulla. Stime dell'Onu quantificano in un milione e trecentomila i rifugiati dell'acqua nella sola Siria, ma il fenomeno riguarda anche i Paesi confinanti, parte della Turchia, Libano, Iraq e Giordania. Povertà, denutrizione e malattie sono in aumento, ha avvertito l'Onu; ma nonostante le reiterate richieste di aiuti urgenti per il nord-est del Paese, la risposta internazionale è stentata. All'impasse della Croce Rossa e dell'Onu, che considerano la crisi troppo grande per qualsiasi governo, ha cercato di porre rimedio il governo siriano, distribuendo cibo, aiuti ed introducendo agevolazioni fiscali e nuovi prestiti per gli agricoltori. La dieta di Turkya e dei suoi figli si limita da mesi a sole lenticchie e pasta, e i risparmi raccolti vendendo le pecore si stanno dissolvendo per acquistare acqua potabile. La regione dispone di un sistema di canali per l'irrigazione, adibiti in questi ultimi anni al trasporto di acqua potabile prelevata dalle falde. Il livello delle acque è però oggi troppo basso anche per quest'uso: l'acqua ristagnante è ad alto rischio di contaminazione. “Perché la comunità internazionale interviene solo quando è troppo tardi?” si chiede Abdullah Bin Yehia, rappresentante siriano della Fao. “Se noi interveniamo adesso, possiamo ridurre sia la sofferenza che i costi dell'operazione. Intervenire all'ultimo minuto comporta un alto costo di vite umane, di spesa economica e, moralmente, è semplicemente sbagliato” conclude Bin Yehia. A causa della malnutrizione la piccola Sabrine ha perso i capelli ed un suo fratello non è stato accettato a scuola perché privo della divisa obbligatoria (del costo di 11 dollari Usa), che non rientra nel budget di Turkya. Marouf, il maggiore, ha contribuito all'aumento dei rifugiati dell'acqua, partendo con la moglie e i due figli. Hanno una tenda in uno dei tanti campi sorti attorno alle grandi città (Damasco, Aleppo e Homs) e quando è il giorno fortunato, Marouf lavora in una vicina azienda per 5 dollari Usa al giorno. La sua famiglia non ha beneficiato di alcun aiuto, e la prospettiva di un inverno in tenda è tragica. Il desiderio di rientrare nel paese di origine è forte, ma Marouf è cosciente dell'impossibilità di vivere oggi a Mjebre. La provincia più toccata dalla grave siccità è Hasake, ed è l'esempio di come l'emigrazione sia solo una delle conseguenze cui si va incontro: la povertà divampa ed i bambini sono strappati dalle scuole per andare a lavorare. La Siria ha una forte dipendenza in termini di approvvigionamenti idrici dalla Turchia, da cui nascono i fiumi che irrigano il Paese, ma la Turchia sta soffrendo a sua volta la carestia, e per questo trattiene più acqua, il che aggrava la situazione. Le relazioni fra i due Paesi giocano in quest'ottica un ruolo di prima importanza, e i rapporti più distesi fra Damasco e Ankara visti in questi ultimi tempi lasciano spazio per una auspicabile collaborazione in tema di risorse idriche che allenti quanto più possibile la morsa della siccità. * per Osservatorio Iraq (fonte: Bbc News)
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