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Gaza: quando la coscienza sporca non fa dormire

di Giordano Alimonti - 25/10/2009

Fonte: katechon


 
Degli insediamenti israeliani in Palestina e della questione israelo-palestinese, più in genere, abbiamo  già scritto  in diverse occasioni, ma questa volta vogliamo portare alla vostra attenzione un particolare fenomeno che si  va espandendo tra le file stesse dell’esercito israeliano.  Un’organizzazione di soldati israeliani dal nome “Breaking the Silence” [Rompere il Silenzio,ndr ], ha raccolto testimonianze anonime di militari che, prestando servizio durante la Seconda Intifada all’interno dei Territori Occupati in Cisgiordania e Gaza, le due parti separate che compongono la Palestina oltre Gerusalemme Est, hanno raccontato di esperienze devastanti per il senso di umanità. Saccheggi, abusi sui palestinesi, distruzione di intere proprietà ed altre pratiche giustificate dalle autorità militari come casi unici ed estremi oppure come necessità militari.

Il portavoce di Breaking the Silence ha spiegato che l’associazione “si è costituita per portare allo scoperto una realtà scomoda”, con l’obiettivo di “richiedere un’assunzione di responsabilità riguardo le azioni militari nei Territori Occupati perpetrate da noi e nel nostro nome” ed ha continuato che loro ritengono inoltre necessario denunciare “la profondità della corruzione che si sta diffondendo nell’esercito israeliano” sulla quale la stessa società israeliana e la maggior parte degli osservatori occidentali chiudono non un occhio ma entrambi. Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak ed i comandanti delle forze armate israeliane hanno respinto le accuse e declinato ogni sorta di responsabilità definendo le affermazioni avanzate come prive di fondamento, ma l’organizzazione non governativa israeliana B’Tselem, che tra l’altro funziona anche come centro d’informazione, ha reso noto che i militari israeliani “hanno rifiutato di aprire indagini serie ed imparziali” anche quando in possesso di informazioni dettagliate, tra cui i nomi delle vittime, le date esatte e i luoghi precisi degli incidenti. Intanto da parte sua, B’Tselem ha raccolto testimonianze tra i residenti di Gaza, secondo i quali negli ultimi incidenti nella zona sono stati uccisi 70 civili palestinesi, di cui più della metà bambini.

Le fonti militari israeliane si sono dimostrate restie oltre ogni misura , tranne che per riconoscere l’acquisizione di alcune isolate informazioni e niente altro, tacendo anche sull’ipotesi che qualche seria inchiesta sia stata svolta. Chi, come lo scrivente, si occupa da tanti anni di Vicino Oriente, non era mai incappato in una descrizione così dettagliata delle atrocità commesse sul popolo palestinese: la  nuova pubblicazione di “Breaking the Silence” include, infatti, 54 testimonianze, vere e proprie denunce, da parte di 30 soldati israeliani, a proposito delle loro esperienze nell’operazione “Cast Lead” [Piombo Fuso,ndr], detta anche Guerra di Gaza, svoltasi dal 27 dicembre 2008 al 21 gennaio 2009. Questi militari raccontano quello che il governo con l’ausilio dei media ufficiali hanno nascosto con commenti del tipo “sembrate ragazzini che guardano con una lente d’ingrandimento le formiche, mentre le bruciano”. Un altro di questi commenti governativi recitava “non sappiamo granché a proposito dei civili innocenti”, facendo rientrare tutto e tutti in un “giusto gioco”, con tanti saluti alle leggi ed alle convenzioni di guerra. Risparmiando ai lettori, per decoro e per rispetto alle vittime, le atroci immagini che ci sono pervenute dalla stampa locale di Ramallah , riportiamo alcune delle testimonianze raccolte da “Breaking the Silence”: in esse  troviamo resoconti di distruzioni sfrenate e immotivate, raccolti sradicati, massacri di esseri umani, donne e bambini uccisi a sangue freddo, uso di armi illegali e di civili come scudi umani, ordini di far fuoco ad altezza d’uomo e sparare per uccidere chiunque e qualunque cosa si muovesse.

Ricordiamo che le testimonianze sono anonime per proteggere i soldati da recriminazioni. Alla vigilia delle prime operazioni, un sergente capo della unità Nachal ha raccontato dei carri armati israeliani che entrando in un villaggio della West Bank  in Cisgiordania hanno distrutto un’automobile calpestandola. “Si, l’ho visto - ha detto - dall’APC [armoured personnel carrier, veicolo per il trasporto delle truppe,ndr] all’interno del quale eravamo. Ho sbirciato fuori. All’improvviso sentimmo il rumore di un’auto che viene schiacciata … non riesco a capire perché un carro armato debba camminare sopra una macchina quando la strada è libera. Non è stato un incidente isolato. Succede spesso, distruzione sfrenata fine a sé stessa” . Poi ha continuato: “Quando siamo tornati dall’operazione, avevamo un bottino, per dirla così ... c’erano documenti confiscati, uniformi, kalashnikov. Per l’intelligence dell’esercito.” Un altro sergente capo dell’unità Nachal ha affermato che le missioni erano mirate esplicitamente a molestare la gente. “Si entrava nelle case, si facevano arresti. Mentre ci si avvicinava alle case, gli ufficiali davano istruzioni per aprire il fuoco che variavano a seconda del contesto. Quando l’intera casa era circondata, ed i gruppi posizionati tutt’intorno, il ragazzo che correva fuori dalla casa era considerato un “fuggitivo” e doveva essere fermato. Se usciva correndo in modo sospetto bisognava sparargli e ucciderlo. Sparargli per fermarlo: in altre parole, sparare per uccidere. Quando si entrava in un villaggio, in alcuni casi, i poliziotti palestinesi armati  erano considerati truppe nemiche, perciò dovevamo sparar loro se ne vedevamo qualcuno. Gli ordini erano, nel dubbio, di sparare”.

Nel descrivere l’atmosfera e gli ordini dei comandanti, i soldati israeliani ricordano: “Uccidete, uccidete, uccidete, uccidete! Vogliamo vedere cadaveri.” Uno dei militari ha aggiunto a proposito delle modalità di comportamento apprese durante il suo addestramento “anti-terrorismo”: “’Terrorista in vista!’, così si doveva urlare quando si correva per entrare in un edificio - è una specie di codice -, quindi si raggiungeva il presunto ‘terrorista’ e si confermava l’avvenuto assassinio. Se non lo si confermava voleva dire che si stava comunicando che il ragazzo era stato neutralizzato. In ogni caso nessuna possibilità di un suo fermo perché gli si doveva sparare alla testa … sempre. Questo per confermare che era stato neutralizzato”. Un sergente del personale del 401 Armor ha descritto il ritorno della sua unità: “Ci piaceva buttare sfollagente e granate-fumogeni all’interno delle panetterie che aprivano tra le 4 e le 5 del mattino perché la gente nei villaggi lanciava pietre ... una volta ho sparato oltre 1500 proiettili da una mitragliatrice alle case in città, a nessuno fregava niente, tanto erano solo palestinesi”. Un sergente capo dei Corpi Blindati ha raccontato che le prime operazioni a Gaza ed in West Bank avevano “lo scopo principale di demolire le case dei presunti terroristi o di neutralizzare i loro mortai, o altra roba del genere ... oppure potevi avanzare e distruggere tutto quello che vedevi: a volte, gli ordini erano di far fuoco su ogni persona che individuavi in strada … ucciderla ... sparare per uccidere. Non importa se aveva o non aveva un fucile con lui.”

Sempre a proposito dell’Operazione Piombo Fuso, un altro soldato ha affermato: “..Durante l’addestramento impari che il fosforo bianco non viene usato, ti insegnano che non è umano, ti fanno vedere film e vedi cosa fa alla gente che ne viene colpita, poi vai in operazione  e dici: Ecco, lo stiamo facendo anche noi. Non è quello che mi aspettavo di vedere. Fino a quel momento avevo pensato che facevo parte dell’esercito più umano al mondo.” Altri testimoni descrivono l’uso del fosforo bianco all’interno di quartieri densamente popolati, uccisioni sfrenate e distruzioni “senza alcun collegamento con una reale minaccia per le forze israeliane, e regole di ingaggio permissive che hanno portato all’uccisione di innocenti”. Alcuni militari israeliani impegnati nell’offensiva condotta Striscia di Gaza hanno testimoniato di aver utilizzato dei palestinesi come scudi umani, senza fare distinzioni fra miliziani e popolazione civile e senza altre regole di ingaggio se non quella di minimizzare le proprie perdite.

Il militare ha affermato che la sua unità utilizzava una variante di questa pratica [proibita nel 2005 dall’Alta Corte Israeliana, ndr] denominata “procedura del vicino” e nei rastrellamenti casa per casa era previsto che fosse un civile a bussare alle porte delle abitazioni per accertare se vi fosse qualcuno dentro. In altri casi ai civili sarebbero stati consegnate delle mazze o dei martelli pneumatici perché abbattessero i muri della case per far entrare i soldati, dato che i militari temevano che le porte fossero minate. Si ricorse alla massiccia demolizione di edifici, non solo di quelli che potevano nascondere miliziani, arsenali o tunnel, ma anche seguendo la tattica del “giorno dopo”: ovvero, lasciarsi alle spalle una zona sterile perché, alla fine delle operazioni, le unità potessero ritirarsi con una zona di ampia visibilità e angolo di fuoco. Un altro militare ricorda di aver visto, di notte, avvicinarsi un palestinese con in mano una torcia, apparentemente disarmato: il suo superiore vietò di sparare i normali colpi di avvertimento e quando fu vicino fece aprire il fuoco contro di lui: “Non lo dimenticherò finché vivo, afferma, tutti sparavano e l’uomo gridava. Quando fu giorno spedimmo fuori un cane per controllare se vi fossero esplosivi, ma non portava nulla, solo la torcia”. L’ufficiale giustificò l’accaduto con queste parole: “era di notte, era un terrorista”.

Molti altri racconti del genere rivelano il deterioramento morale dell’esercito ebraico sottoposto al diffondersi ormai sistemico di disvalori nazionalisti e razzisti all’interno della società israeliana. Una corruzione morale che sta investendo perfino il rabbinato, il quale ha benedetto il massacro e la distruzione di massa prima delle operazioni  ed ha distribuito nelle file dell’esercito dei volantini di contenuto politico fondamentalista redatti in termini apocalittici, in cui i militari israeliani venivano descritti come “figli della luce” mentre i palestinesi erano “figli dell’oscurità”, senza che venisse fatta alcuna distinzione fra miliziani e civili. La briglia di terrore dell’Operazione Piombo Fuso è stata  il diretto risultato della politiche delle IDF (Israel Difense Forces) e specialmente delle sue regole d’ingaggio che sanciscono “spara prima e non fare domande”. Il portavoce di “Breaking The Silence”, intervistato dal giornalista americano Stephen Lendman ,ha concluso che l’associazione ha pubblicato queste testimonianze come “un richiamo rivolto alla società israeliana ed ai suoi leader, affinché smaltiscano la sbornia ed indaghino di nuovo sui risultati delle nostre azioni la cui causa è tutta nel viscido degrado morale che ha colpito loro e rischia di avvelenare a livello globale l’anima di tutti gli ebrei”