Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Quando giornalismo, satira e letteratura fanno irritare i tiranni…

Quando giornalismo, satira e letteratura fanno irritare i tiranni…

di Fabrizio Legger - 27/10/2009

   Il Potere e il libero pensiero non sono mai andati d’accordo. Sin dall’antichità, chi ha scritto parole non gradite ai regimi dominanti, è stato perseguitato e ha rischiato la vita. Si potrebbe iniziare ricordando la celebre figura del filosofo ateniese Socrate, accusato di empietà nei confronti degli Dei e di corruzione dei giovani, e condannato a bere la cicuta; oppure il filosofo Seneca e il poeta Lucano, costretti al suicidio dall’imperatore romano Nerone con l’accusa di aver partecipato ad una congiura contro di lui. E poi ancora, nella storia, tanti martiri del libero pensiero, tanti poeti, filosofi, letterati, come il poeta iranico Farid Ad-Din Attar (massimo esponente della poesia sufi, ucciso a colpi di scimitarra nel 1234 dai cavalieri delle orde mongole che avevano invaso la Persia), oppure il poeta campano Niccolò Franco (fatto impiccare, nel 1570, a  Roma, per aver bestemmiato e scritto versi ingiuriosi contro il Papa), o, ancora, il grande filosofo nolano Giordano Bruno, fatto bruciare sul rogo, a Roma, nel 1600, per le sue dottrine panteistiche in disaccordo con i dogmi del Papato. E, purtroppo, si potrebbe continuare ancora con i nomi di Garcia Lorca, Isaak Babel, Ghassan Kanafani, Victor Jara, sino a giungere al celebre scrittore di etnia ogoni Ken Saro-Wiva, fatto impiccare dalla dittatura militare nigeriana nel 1985, per far tacere una voce scomoda che condannava il suo operato nefando. Ma non sono soltanto le dittature a risentirsi quando poeti o artisti le denunciano nelle loro opere: anche nelle liberali democrazie dell’Occidente si può incappare in denunce o querele quando si satireggia un potente.Per esempio, nel 1999, l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Massimo D’Alema, querelò il celebre vignettista satirico Giorgio Forattini, chiedendo la somma di ben tre miliardi delle vecchie lire come risarcimento per una vignetta riguardante il famigerato Dossier Mithrokin (che denunciava le connivenze dei comunisti d’Italia con la politica repressiva dei bolscevichi sovietici) disegnata dal “graffiante e mordace” Forattini, uno tra i maggiori artisti satirici italiani.In questo caso, l’artista italiano non ha rischiato la vita, ma ci sono paesi del mondo dove scrivere una poesia, allestire uno spettacolo teatrale o disegnare un murale in cui si critica il potere dominante, può costare davvero la vita.È quanto è accaduto allo scrittore anglo-indiano Sulman Rushdie, il quale, nel 1989, per avere pubblicato un romanzo intitolato I versi satanici, fu condannato con una fatwa (ovvero, sentenza di morte) dall’ayatollah Ruollah Khomeini, capo spirituale della Repubblica Islamica dell’Iran, il quale, con tale verdetto, intendeva punire la temeraria blasfemia dello scrittore, il quale, invece, in un’opera dio pura fantasia romanzesca, si era limitato ad immaginare che il Profeta Mohammad venisse tentato da Ebliss (il Satana islamico) con la dettatura di alcuni versetti che, ovviamente, non si trovano nel Corano. Insomma, tanto rumore per nulla, come direbbe il sommo Shakespeare. E invece, per quel suo romanzo (tra l’altro, anche abbastanza inconsistente anche dal punto di vista letterario), Rushdie si è beccato una condanna a morte che vale tuttora (in quanto, in base alla fatwa khomeinista, ogni zelante musulmano ha il dovere, se ci sono le condizioni per farlo, di uccidere Sulman Rushdie, ottenendone in cambio una lauta ricompensa) e che lo costringe a vivere nascosto e protetto da guardie del corpo.Ben peggio capitò, nel 1993, ad una compagnia di filodrammatici costituita da immigrati indiani, di religione induista, che lavoravano negli Emirati Arabi Uniti. Per passare il tempo libero, avevano dato vita ad una compagnia filodrammatica che metteva in scena testi satirici scritti da uno di loro. Una di queste commedie, intitolata grottescamente Le formiche che mangiano i cadaveri, testo estremamente poetico, caratterizzato da un linguaggio immaginoso, pieno di metafore e molto allegorico, fu rappresentata in un teatrino privato di Abu Dabi, al capitale degli Emirati. I personaggi principali della commedia erano i profeti delle grandi religioni mondiali, e cioè Zarathustra, Mosé, Buddha, Gesù, Krishna, Guru Nanak e, ovviamente, Mohammad, il Profeta dell’Islam. Nell’opera si deridevano i grandi fondatori di religioni in quanto impostori e dispensatori di menzogne fantastiche non comprovabili nella realtà quotidiana. Tanto bastò perché tale opera, ritenuta blasfema da alcuni musulmani venutine a conoscenza, fosse denunciata al Consiglio degli Ulema (i giudici religiosi incaricati di fare rispettare la Sharia, ovvero la Legge Coranica), i quali ordinarono l’arresto di tutti i membri della compagnia e condannarono l’autore della commedia e gli attori ad una pena consistente in venti frustate caduno e a dieci anni di carcere duro. Invano, per la difesa di questi artisti indiani, si mobilitarono, oltre all’ambasciatore indiano negli Emirati Arabi Uniti, anche molte associazioni umanitarie e per la difesa dei diritti umani: fu tutto inutile! Gli artisti dovettero scontare i dieci anni di carcere sino all’ultimo giorno, e furono rimessi in libertà soltanto nel 2003.  In seguito, avendo ricevuto minacce di morte da parte di organizzazioni radicali islamiche sunnite, dovettero abbandonare gli Emirati e fare ritorno in India.E tutto questo, a causa dell’intolleranza islamica nei confronti della poesia e della libertà di espressione che i poeti abitualmente si prendono, libertà che è vista, anche nel Corano, come una licenza farneticante, che può travisare e mistificare la verità rivelata, come è scritta negli ultimi versetti della Sura coranica XXVI, intitolata per l’appunto I poeti:                         Quanto ai poeti, che sono seguiti dai fuorviati,                        non vedi tu come vaghino per ogni valle,                        e dicano ciò che non fanno?                        Eccettuati quelli che credono, operano il bene,                        invocano Iddio e si difendono dopo essere stati offesi.                        Quanto agli offensori, sapranno su quale china rotoleranno.     Altrettanto terribili furono le vicende accadute a due artisti birmani: il pittore U Ba Thaw e il commediografo Zar Ga Naa, i quali ardirono criticare artisticamente la feroce dittatura militare dello SLORC (Consiglio Militare per il Mantenimento della Legge e dell’Ordine), che tiranneggia la Birmania (oggi Myanmar) sin dal 1989.U Ba Thaw, pittore assai famoso per i suoi dipinti satirici che ricordano un po’ quelli del colombiano Botero, fu arrestato nel 1990 a e condannato a dieci anni di carcere, nel corso dei quali ha subito sevizie e maltrattamenti di ogni genere (tra cui l’essere costretto a “verniciare” con i propri escrementi, e a mani nude, le pareti della sua cella!). La colpa di questo pittore? Aver dipinto un “murale” in cui raffigurava satiricamente, come vampiri assetati di sangue, i feroci generali della giunta birmana. Un classico esempio in cui la satira (in questo caso una vignetta) ha scatenato la furia repressiva di un regime dittatoriale che non tollera né critiche né derisioni sarcastiche al proprio iniquo e nefando operato.Zar Ga Naa, scrittore, autore di novelle e di commedie, simpatizzante della Lega Nazionale per la Democrazia fondata da Aung Sang Suu Ky, carismatica e affascinante leader dell’opposizione al regime dei generali, venne arrestato verso la fine del 1988, torturato e, infine, condannato anch’egli a dieci anni di carcere duro. Il suo reato? Quello di aver scritto una farsa (ispirata all’Ubu Roy di Alfred Jarry) che venne rappresentata da attori di strada e cui i protagonisti principali erano militari spacconi e arroganti, cioè ridicole e grottesche caricature dei membri della giunta militare di Yangoon. Tanto bastò perché il commediografo (già autore di sarcastiche novelle in cui condannava le infamie della dittatura militare e che, perciò, avevano una circolazione clandestina) fosse arrestato, rinchiuso nelle prigioni segrete del regime e sottoposto a sevizie spaventose, come la fustigazione delle piante dei piedi e l’introduzione di frutti spinosi e polvere di peperoncino dentro il retto). Scontate le loro lunghe pene, U Ba Thaw e Zar Ga Naa sono stati rilasciati, ma per poter continuare la loro attività artistica sono dovuti fuggire all’estero.Un altro paese terribile, in cui scrittori e giornalisti vengono perseguitati spietatamente, è il Nepal, dove vige la tirannia di re Gyanendra, un assolutista che non tollera alcun genere di critica al suo brutale sistema di potere, semifeudale e assolutistico. A partire dal 2001, dopo l’assassinio di re Birendra e dell’intera famiglia reale (in seguito a cui è salito al potere l’attuale re Gyarendra, cognato del monarca ucciso), un regio decreto vieta infatti la pubblicazione di ogni articolo di giornale o scritto letterario critico nei confronti del governo del re o della sua persona. Sedi di giornali, di case editrici, di emittenti televisive e radio private possono essere in qualunque momento perquisite dagli agenti delle regie milizie se sospettate di divulgare notizie o diffondere opinioni e pensieri apertamente critici nei confronti del re e della politica dispotica del suo governo.A causa di questo durissimo “giro di vite” imposto dal nuovo sovrano nei confronti del dissenso antimonarchico, il celebre romanziere nepalese Manjunshree Thapa, autore di libri e di articoli giornalistici in cui ha condannato senza mezzi termini l’assolutismo liberticida del regime feudale di Katmandu, ha dovuto fuggire dal Nepal e cercare scampo dapprima in India, e poi, pare, in Bangladesh, dove continua tuttora, con la sua penna mordace, l’opposizione al regime. Se fosse rimasto in patria, Thapa sarebbe stato senz’altro arrestato, incarcerato, condannato magari per lesa maestà e sottoposto ad un regime di carcere duro costellato di disumane e spaventose sevizie. E Thapa è certo il maggiore tra gli scrittori nepalesi: i suoi libri sono venduti anche in India e il suo nome è noto in tutta la regione himalayana. Eppure, nonostante la sua fama, il dispotismo monarchico che opprime il Nepal non avrebbe esitato a farlo incarcerare ed uccidere, solo perché infastidito dalle veritiere denunce antidispotiche contenute nei suoi scritti.Infine, a conclusione di questa lunga carrellata di orrori commessi dalle dittature nei confronti del libero pensiero e della creatività artistica, non si può non ricordare la disastrosa situazione del Marocco, paese in cui, prima sotto il re Hassan II, ed ora sotto il di lui figlio Mohammad VI, chi scrive criticamente contro il regime monarchico mette a serio rischio la propria vita. Emblematico è il caso del poeta e pittore marocchino Alì Idrissi Kaitouni, il quale, simpatizzante dell’ayatollah iraniano Ruollah Khomeini e della Rivoluzione Islamica da questi capeggiata in Iran, scrisse e fece pubblicare nel 1982, un libro di poesie intitolato Scintille, in cui condannava l’assolutismo reazionario della monarchia marocchina e auspicava una rivoluzione popolare che portasse alla nascita di una repubblica islamica anche in Marocco. Il libro fu stampato clandestinamente e fu fatto circolare altrettanto clandestinamente, ma tanto bastò perché una copia finisse nelle grinfie della onnipresente polizia del regime. Kaitouni fu arrestato e condannato a vent’anni di prigione per incitamenti alla ribellione tramite mezzo stampa. In carcere, il poeta-pittore ha subito sevizie e trattamenti inumani e degradanti di ogni genere, tanto che, quando ha finito di scontare la sua lunga pena, è uscito dal carcere irrimediabilmente prostrato nel corpo e nello spirito. Il codice legislativo marocchino è particolarmente spietato nei confronti di reati quali la lesa maestà, l’incitamento alla sovversione o la radicalizzazione dello scontro sociale: è sufficiente scrivere una poesia, una novella o un articolo di giornale critici nei confronti del regime, per essere arrestati, incarcerati e condannati ad un regime di carcere “duro” come quello che ha visto vittima Alì Idrissi Kaitouni.Un’altra vittima del brutale sistema repressivo marocchino è stato il giornalista Alì Lmrabet, il quale ha subito minacce, intimidazioni e censure di ogni sorta a causa dei suoi articoli estremamente critici nei confronti della monarchia di Rabat e della questione del Sahara Occidentale. Negli ultimi anni, Lmrabet è finito vittima di una campagna denigratoria (montata ad arte dal regime monarchico) a causa di articoli che il giornalista ha scritto e fatto pubblicare sul settimanale arabo Al Mustakil e sul quotidiano spagnolo El Mundo. In tale articoli, Lmrabet sosteneva che i civili di etnia saharawi rifugiati nel campo profughi di Tindouf, nell’Algeria sud-occidentale, non rientrano in Marocco perché non si sentono cittadini marocchini, in quanto Rabat non riconosce l’indipendenza del Sahara Occidentale, patria dei Saharawi (che occupa militarmente dal 1975). Tanto è bastato per scatenare una vera e propria campagna di denigrazione contro Lmrabet, il quale è stato accusato di “tradimento” e di “attività contrarie agli interessi nazionali del Marocco”. In questo caso, soltanto la grande notorietà del giornalista marocchino ha impedito che venisse arrestato, torturato e rinchiuso nelle regie carceri per chissà quanto tempo…Purtroppo, la critica, la satira e il libero pensiero danno fastidio ai poteri dispotici ed illegittimi, alle dittature pervenute al potere con dei colpi di Stato o alle monarchie assolutistiche che governano utilizzando il terrore della repressione e che sono prive di sostegno popolare. In tanti, troppi paesi del mondo, si può ancora essere incarcerati, torturati, o addirittura uccisi, solo per avere scritto un articolo di giornale o una poesia critici nei confronti del potere imperante. Una cosa, questa, che non può e non deve più essere tollerata! È ora che l’opinione pubblica internazionale si mobiliti, prenda coscienza e lotti sino allo stremo affinché ogni uomo o donna di questo pianeta possa essere libero di esprimere pienamente le proprie idee e le proprie convinzioni. E, soprattutto, se si tratta di arte o letteratura!