I dirigenti dei servizi segreti italiani non possono essere processati se hanno agito in virtù di ordini superiori e se le loro azioni sono la conseguenza inevitabile del sistema di alleanze politiche e militari nelle quali l’Italia è inserita. Azioni per le quali vale il principio del “segreto di Stato” che loro non possono violare. Questo il senso della sentenza al processo per il sequestro dell’Iman di Milano Abu Omar che con la complicità di agenti del Sismi, venne prelevato da agenti della Cia e poi portato di forza in Egitto, dove fu torturato e subì lesioni permanenti. Il giudice di Milano Oscar Maggi ha infatti stabilito il non luogo a procedere per l’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari e per il suo vice Marco Mancini, in quanto “non giudicabili”. Per la cronaca il pubblico ministero Armando Spataro aveva chiesto 13 anni di galera per Pollari e 10 per Mancini. Invece i funzionari del Sismi Pio Pompa e Luciano Seno che erano stati accusati di favoreggiamento sono stati condannati a 3 anni in quanto avrebbero svolto di fatto un ruolo nel sequestro non impedendolo. Condannati a 5 anni di reclusione gli agenti della Cia responsabili operativi del sequestro mentre Robert Seldon Lady, capo della Cia a Milano all’epoca dei fatti, è stato condannato a otto anni. Assolto invece Jeff Castelli, l’ex numero uno della Cia in Italia. Tutti gli imputati condannati dovranno risarcire in via provvisionale un milione di euro all’ex Iman e 500 mila euro alla moglie Nabila Ghali ma l’importo totale del risarcimento verrà stabilito in un separato giudizio civile. Abu Omar, sul quale la Procura di Milano stava indagando Milano per terrorismo internazionale fu rapito il 17 febbraio del 2003 nei pressi della moschea di viale Jenner con un’azione alla quale parteciparono ben 26 agenti della Cia. Per quanto riguarda Pollari e Mancini il giudice è stato costretto ad applicare quanto previsto dall’articolo 202 del Codice di procedura penale. I difensori dei due funzionari del servizio segreto militare avevano tutti chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto o in subordine una sentenza di non luogo a procedere, come poi è stato. A loro avviso infatti, Pollari, a causa del divieto di violare il segreto di Stato imposto dal governo, è di fatto lui stesso una vittima del segreto di Stato. Lo stesso generale aveva dichiarato in aula che il segreto di Stato non copre la sua responsabilità ma copre le prove della sua innocenza e che lui nello specifico non aveva mai impartito ordini o direttive che autorizzassero il sequestro. Insomma ne era al corrente, ma a causa del fatto che siamo alleati degli Stati Uniti (o diciamo noi, loro sudditi) non ha potuto fare nulla per impedirlo. Quando succedono questi fatti, voleva dire il generale, bisogna abbozzare e guardare dall’altra parte. Del resto osserviamo noi, ci sono state tante vicende sanguinose ed eclatanti che hanno visto il nostro Paese come scenario, e nessuno ha potuto fare nulla di concreto per scoprire i colpevoli perché la verità era troppo imbarazzante. Siamo e siamo sempre stati un Paese a sovranità limitata, scelto per la sua dislocazione come teatro degli scontri e degli incontri tra Paesi Nato e comunisti, e tra servizi israeliani e arabo-palestinesi, senza che i nostri governi potessero mai alzare la voce per far valere la nostra sovranità o difendere un minimo di dignità nazionale. L’unico che ci provò e ci riuscì fu Bettino Craxi a Sigonella ma poi si sa come tale episodio gli sia stato fatto pagare. Fu lo stesso governo di Romano Prodi ad apporre per primo il segreto di Stato sul sequestro di Abu Omar, poi imitato da Silvio Berlusconi. E in aula il processo si è così giocato sull’interpretazione da dare alla sentenza con cui la Corte Costituzionale aveva fissato i criteri dell’estensione del segreto di Stato e della sua utilizzabilità nei processi. Ma alla fine è uscita sconfitta la tesi dell’accusa per la quale non vi poteva essere segreto di Stato su notizie relative a un reato come il rapimento di Abu Omar, il quale deve appunto restare un segreto di Stato. |