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Vorrebbero farci viola

di Givanni Petrosillo - 08/12/2009


La politica estera, come si dice anche del carattere delle persone, rende “antipatici”
quando appunto se ne ha una. Ed è ciò di cui si accusa oggi l’Italia, ritornata
protagonista sulla scena internazionale grazie agli accordi sottoscritti tra governo
nazionale e alcuni paesi dell’Europa dell’est, dell’Africa del Nord e del Medio-oriente,
invisi a Washington in quanto rappresentanti un ostacolo alla realizzazione integrale dei
suoi piani egemonici. L’inedito asse strategico che sta caratterizzando la
riconfigurazione degli assetti di forza nel Vecchio Continente, all’interno del quale
l’Italia occupa un posto di rilievo, sta generando nervosismi oltre Atlantico, aggravati
dagli scarsi risultati della strategia di guerra della Nato in Afghanistan e in Iraq.
Che questo “carattere” italiano stia incominciando ad infastidire gli antichi alleati Usa,
ma anche quelli UE, non è più un ministero per nessuno. Anzi, proprio su queste basi è
necessario spiegarsi l’escalation dell’odio antiberlusconiano sia all’interno, dove
impazza la protesta viola guidata dall’ex Pm Di Pietro, già protagonista di un altro colpo
di mano eterodiretto da “manine” straniere (quello giudiziario della stagione 92-93 con
il quale fu spazzata via la classe dirigente DC-PSI), come all’esterno, dove la stampa
mondiale ha lanciato, da qualche tempo, l’allarme sulle posizioni italiane,
stigmatizzando il pericoloso sbilanciamento degli equilibri geostrategici in seguito alle
decisioni del governo B. di avvicinarsi a paesi non propriamente affidabili (vedi la
Russia di Putin-Medvedev, la Libia di Gheddafi o l’Algeria di Bouteflika).
Sono ormai molti mesi che gli Stati Uniti definiscono l’Italia un alleato difficile, se
nonproprio inaffidabile, per i suoi posizionamenti sul palcoscenico mondiale che si
distanziano dalla linea di condotta occidentale in settori cruciali come quello energetico
e militare.
Ma non è tutto qui. L’Italia è anche responsabile di aperture “non autorizzate” verso
Stati facenti parte dell’internazionale del terrore, come l’Iran, o lambenti la sfera grigia
di un altro tipo di islamismo, quello panafricano, di cui fa parte la Libia (sdoganata,
qualche tempo fa, dagli stessi americani allorché Gheddafi annunciò la rinuncia, da
parte libica, a dotarsi di un sistema nucleare). Ma nemmeno entranelle grazie
occidentali il dialogo con personaggi alla Lukashenko, Presidente della Bielorussia,
recentemente incontrato dal Presidente B. a Minsk, che gli statunitensi hanno messo
fuori gioco per essere un nemico della democrazia e dei diritti umani, fattori
indispensabili per entrare a far parte della comunità internazionale, cioè dell’ordine
planetario a dominanza USA.
L’avvio della campagna di screditamento dell’immagine pubblica del nostro Premier ha
avuto dapprima un approccio di tipo scandalistico, con la vicenda delle starlette e delle
soubrette, in atteggiamenti lascivi, fotografate nella sua villa in Sardegna (anche qui
stiamo parlando di azioni diffamatorie che non fanno parte della nostra tradizione
essendo invece tipiche, guarda caso, dei paesi anglosassoni), tuttavia anche un bambino
può capire che si è trattato solo di una manovra diversiva prima di andare a toccare i
veri nervi scoperti derivanti dell’atteggiamento italiano in politica estera. Ora questi
nodi stanno venendo al pettine, giorno dopo giorno, ma l’Italia non sembra voler
retrocedere dalle decisioni già prese. Così dagli ammonimenti alle diffamazioni
personali si è passati all’azione diretta attraverso la riproposizione in Italia di un
copione ampiamente collaudato in altri contesti sociali: quello dei moti colorati. Tutti
quelli che si sono prestati a questa operazione di dubbia spontaneità, consapevolmente o
meno, stanno contribuendo al piano statunitense indirizzato a destabilizzare l’Italia. Ma
in questo caso “rendere instabile” significa soprattutto portare il paese a rompere
accordi che rappresentano un’assicurazione contro la grave crisi politica ed economica
in atto lasciandolo completamente in balia degli eventi. Nelle ultime settimane i
protagonisti di questa svolta epocale hanno pubblicato una serie di articoli sui quotidiani
nazionali per riaffermare le proprie ragioni. Dalla lettera congiunta di Frattini e del suo
corrispettivo russo Serghei Lavrov, a quella del medesimo Ministro degli esteri del PDL
con il suo omologo Turco, fino all’ultima nota sottoscritta da Scajola e Shmatko, sta
emergendo questa visione dell’Italia orientata all’affermazione di un partenariato
strategico con altre aree dell’Europa a cui vanno stretti i limiti del mondo unipolare. Il
multipolarismo diviene allora la frontiera nella quale si potranno meglio portare a
convergenza interessi nazionali che non sono più perseguibili nell’ambito dei precedenti
rapporti di forza, del tutto sbilanciati verso gli Usa.
Dietro questi atti di politica estera si sviluppano consonanze commerciali che
porteranno grandi vantaggi economici all’Italia. Sulla scia dell’accordo nel settore degli
idrocarburi tra Gazprom ed Eni, di cui il frutto più succoso è il gasdotto South Stream,
si sono raggiunte collaborazioni anche nel comparto militare (contratto tra
Finmeccanica e Sukhoi per il superjet 100 e quello tra Augusta Westland e Oboron
Prom per la realizzazione di elicotteri), nel settore petrolchimico (Tecnimont-Tobolsk),
nella divisione auto (produzione in Russia di veicoli commerciali e autovetture da parte
di Fiat-Chrysler) e in quello del trasporto aereo, con l’alleanza tra Alitalia e Aeroflot.
Ma con i russi è stato anche deciso di predisporre un corsia privilegiata di investimenti
per le PMI italiane che tenteranno l’avventura in quel paese.
In tutti questi sviluppi cresce l’antipatia per l’Italia, ma i nostri scalmanati viola non se
ne rendono conto e fanno il gioco di chi ci vorrebbe atterrire insieme alle nostre
ritrovate aspirazioni di indipendenza nazionale. Il viola potrebbe presto divenire il
colore dei lividi che l’America ci procurerà, anche quale conseguenza del lavoro
“preparatorio” svolto da queste quinte colonne interne, manipolate e strumentalizzate
contro il futuro della nazione.