Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Afghanistan, Obama non tratta

Afghanistan, Obama non tratta

di Enrico Piovesana - 18/12/2009





I talebani si dicono pronti a bandire Al Qaeda dal loro paese in cambio della fine dell'occupazione, Washington rifiuta l'offerta

L'amministrazione Obama - dal presidente al segretario di Stato, Hillary Clinton, al capo del Pentagono, Robert Gates - ha pubblicamente affermato, più e più volte, che lo scopo della guerra in Afghanistan è impedire che quel paese torni a essere un covo e una base operativa per i terroristi che minacciano la sicurezza dei cittadini americani. Lasciando intendere che gli Stati Uniti sono pronti a una riconciliazione e a una trattativa con il movimento talebano se questo prendesse chiaramente le distanze da Al-Qaeda.

L'offerta dei talebani. Finora queste aperture da parte statunitense non avevano portato a nulla, poiché i talebani avevano sempre detto che nessun negoziato sarà mai possibile se prima le truppe straniere non si ritireranno dall'Afghanistan.
Ma un paio di settimane fa qualcosa è cambiato. I talebani, per la prima volta, hanno di fatto aperto la trattativa, mettendo sul tavolo, in cambio della fine dell'occupazione, proprio quello che gli Stati Uniti vanno cercando: una netta presa di distanza dal terrorismo internazionale di Al Qaeda.
Nel testo del messaggio, inviato lo scorso 5 dicembre via posta elettronica alle principali testate giornalistiche Usa, il nome dell'organizzazione di Osama Bin Laden non compare, ma il riferimento è chiaro. "Noi non abbiamo interesse a immischiarci negli affari interni di altri Paesi e siamo pronti a fornire garanzie legali se le forze straniere si ritirano dall'Afghanistan".
Insomma: i talebani si dicono pronti a bandire Al Qaeda dal loro paese in cambio del ritiro degli eserciti alleati. Eserciti che stanno in Afghanistan esattamente per ottenere questo obiettivo.

Il rifiuto di Washington. Questa clamorosa apertura da parte talebana è stata incredibilmente snobbata dall'amministrazione Obama, e largamente ignorata dai media.
Solo il Wall Street Journal di Rupert Murdoch ne ha parlato brevemente il 5 dicembre, riportando i commenti scettici di un anonimo rappresentante del governo: "Questi sono gli stessi che si rifiutarono di consegnarci Bin Laden pur sapendo che ciò avrebbe evitato una guerra al loro paese. Non hanno rotto con i terroristi allora: perché oggi dovremmo prenderli sul serio?".
Il giorno dopo, questa posizione è stata ufficializzata dal segretario di Stato, Hillary Clinton, che alla AbcNews ha dichiarato: "Sono scettica sul fatto che i talebani vogliano rinunciare ad Al Qaeda e alla violenza. Quando chiedemmo al mullah Omar di consegnarci Bin Laden prima dell'11 Settembre lui non lo fece. Non so perché dovremmo pensare che ora sia cambiato".
Nella stessa intervista televisiva, il segretario alla Difesa, Robert Gates, ha fatto chiaramente capire che la parola rimane alle armi, dicendo che i talebani romperanno con Al Qaeda "solo se riusciremo a indebolirli, mettendoli nella posizione di intravedere la loro sconfitta".

Nessun dialogo, solo guerra. Due giorni dopo, l'8 dicembre, i talebani hanno preso atto del rifiuto, scrivendo in un nuovo messaggio che "Washington ha rigettato la costruttiva proposta della leadership dei mujaheddin", e rilanciando l'offerta con un chiaro riferimento al Pakistan. "Siamo pronti a garantire che il prossimo governo dei mujaheddin non si immischierà negli affari interni di altri paesi, inclusi quelli a noi vicini, se le truppe straniere si ritireranno dall'Afghanistan".
La totale chiusura al dialogo dell'amministrazione Obama, assieme alla decisione di inviare al fronte decine di migliaia di soldati in più, dimostra che l'obiettivo del governo degli Stati Uniti non è proteggere il popolo americano dal terrorismo, ma proseguire una guerra d'occupazione contro un nemico impossibile da sconfiggere, con il risultato di fomentare i sentimenti antiamericani aumentando, semmai, il rischio di rappresaglie terroristiche.