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Minoranze, complottismo, democrazia: la lezione di Waco e di Oklahoma City

di Francesco Lamendola - 21/12/2009

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L’opinione pubblica dimentica un po’ troppo in fretta, con la volonterosa collaborazione dei media, proprio quegli eventi che sarebbe maggiormente necessario ricordare e sui quali sarebbe indispensabile che la società nel suo insieme, nonché ciascun singolo cittadino, svolgessero una approfondita riflessione.

Sono passati sedici anni da quando la Polizia federale statunitense fece irruzione nella fattoria-fortezza dei davidiani, a Waco, nel Texas, provocando un immenso rogo nel quale persero la vita circa ottanta persone, fra le quali vi erano 17 bambini al di sotto dei dieci anni. Era il 28 febbraio del 1993.

Così è stata rievocata quella oscura vicenda da Erberto Petoia nella postfazione al libro dell’antropologa Paula Cifford «Breve storia della fine del mondo? (titolo originale: «A Brief History of End-time», Lyon Publishing, 1997; traduzione italiana di E. Petoia, Roma, Newton & Compton, 1999, pp.212-13):


«I gruppi marginali d cui parla Eco [ cfr. «La Repubblica» del 6 novembre 1998 ] rappresentano spesso i seguaci di dottrine apocalittiche deliranti, schizoidi, paranoidi, degenerazioni delle apocalissi intese come dati culturali; essi sono la manifestazione del caso limite di esperienze deliranti di fine del mondo. Ci limiteremo a citarne solo alcuni: quello della Unification Church (Chiesa dell‘unificazione del reverendo Moon) o quelli della più delirante setta giapponese chiamata Aum Shinrikyo, i cui seguaci si fissavano sulla testa dei fili elettrici per sincronizzare le onde cerebrali conj quelle del fondatore della setta, un guru semicieco di nome Shoko Asahara. Essi si sono rivelati gli autori dell‘attentato del 1995 alla metropolitana di Tokyo con un gas velenoso, il sarin, causando la morte di 12 persone e il ricovero in ospedale di altre cinquemilacinquecento.

Epilogo molto più tragico è toccato a un‘altra setta apocalittica quella dei Branch Davidians di Waco, in Texas, capeggiati da Vernon Howell, meglio conosciuto come David Koresh. Il 28 febbraio 1993agenti dell‘FBI fecero irruzione nella cittadella di legno a Mount Carmel e dopo un assedio di cinquantuno giorni un misterioso incendio si propagò all‘interno del‘edificio in cui erano asserragliati Koresh e i suoi seguaci, in cui trovarono la morte ottanta persone. I seguaci di tale setta appartenevano a una tradizione secolare di credenti apocalittici che si isolano in attesa della fine dei tempi. La comunità presente a Waco, fin dagli anni Trenta aderiva a una dottrina che era il sincretismo sintesi di tutta una serie di fedi apocalittiche, che andava dalla Chiesa degli avventisti del settimo giorno fino alla grande delusione millenaristica e alla teologia apocalittica delle comunità dei padri pellegrini. David Koresh aveva elaborato una teologia apocalittica contorta, e a tratti allucinatoria, in cui trovavano spazio elementi della tradizione e personali fantasie sugli UFO. Infatti, durante l‘assedio egli disse ai negoziatori dell‘FBI che nel corso di un viaggio in Israele nel 1985 era stato portato nei cieli da creature angeliche in una specie di disco volante spirituale. Dall‘analisi de comportamento e dalle affermazioni dello stesso Koresh emerge un quadro della sua labilità psichica alquanto inquietante. Più volte aveva sostenuto di rappresentare lo spirito di Cristo, di essere colui che aveva parlato alla donna presso il pozzo duemila anni prima e, in un delirio crescente, divenne prima l‘angelo dell‘Apocalisse e poi “Yahweh“ Koresh. La natura della setta non è mai stata sufficientemente chiarita; probabilmente i suoi seguaci erano colpevoli di reati gravi, tra cui l‘abuso su miniori e la produzione illegale di armi, resta comunque il fatto che l‘assalto ala cittadella di Waco era in perfetta sintonia con lo scenario escatologico della setta, che si credeva in diritto di usare tutte le forze, compreso l‘uso delle armi, per resistere al nemico.»


È interessante osservare come non si fosse neanche certi che i seguaci di David Koresh avessero violato le leggi e, soprattutto, che i metodi usati dalle forze statali per snidarli e distruggerli abbiano confermato in pieno i timori dei membri della setta nei confronti della politica governativa verso le minoranze dissidenti.

A questo punto, è ancora giustificato liquidare tali gruppi come schizoidi, paranoidi, deliranti e totalmente fuori della realtà? Non è forse vero che la realtà ha dato, in un certo senso, la conferma dei loro timori e delle loro farneticazioni? Chi è maggiormente paranoide e chi è farneticante, a questo punto: i gruppi marginali, spesso perfettamente innocui, o, comunque, non più pericolosi di tante istituzioni legalmente riconosciute, o lo Stato democratico che li combatte senza quartiere e con toni da crociata religiosa, quasi si trattasse di distruggere il Male?


Poiché i seguaci di David Koresh avevano tutte le caratteristiche per non piacere all’America dell’Est, culturalmente evoluta e politicamente corretta, e meno ancora ne avevano per riuscire graditi all’opinione pubblica europea (che del ventre profondo dell’America non sa nulla e non ha mai capito nulla), la loro tragica morte venne ben presto dimenticata e archiviata come uno spiacevole incidente.

Si trattava di persone che riunivano in sé, infatti, le due “tare” più gravi che un evoluto giornalista newyorkese o un professionista di Filadelfia possano immaginare: il fondamentalismo religioso, quale stimmata dell’oscurantismo pre-scientifico, e la radicale diffidenza verso il governo di Washington, quale indice di un atteggiamento asociale e politicamente pericoloso, nonché in odore di razzismo e di contiguità con l’estrema destra neonazista.

Qualcuno, però, non aveva voluto dimenticare così in fretta: perché quei gruppi politicamente “spostati”, che la sociologia perbene definisce, tout-court, “schizoidi e paranoici”, sono, nel ventre degli Stati Uniti, molto più diffusi di quel che non si creda; e, sopratutto, sono molto più legati alle radici puritane e messianiche della nazione americana, di quanto non lo siano le popolazioni “europeizzate” delle due coste, specialmente quella orientale (che guardano, non solo metaforicamente, a quell’Europa da cui provengono). Fra le altre cose, condividono con l’”anima” degli antichi Padri pellegrini del «Mayflower» il fierissimo spirito d’indipendenza, l’intransigenza religiosa, il sentirsi popolo eletto da Dio, la concezione apocalittica della storia; e, inoltre, atteggiamenti pratici (ma non meno importanti, nella loro concezione di vita) quali la passione per le armi, in una misura sconosciuta alla mentalità europea.

Esattamente due anni dopo, il 19 aprile 1995, l’attentato di Oklahoma City, realizzato come esplicita ritorsione per la strage di Waco, causò la morte di circa 170 persone, tra le quali una ventina di bambini. Il principale responsabile, l’ex marine Timothy Mc Veigh, venne processato e condannato a morte: nel 2001 la sentenza è stata eseguita mediante iniezione letale. Una spirale di violenza che avrebbe dovuto far riflettere non solo i sociologi, troppo propensi a liquidare l’intera faccenda come delirio paranoico e complottista di pochi individui psicolabili, ma anche i politici e l’opinione pubblica mondiale nel suo insieme.

Infatti, lasciando da parte le caratteristiche più tipicamente americane di quella vicenda, vi è in esso il materiale per porsi delle domande fondamentali sul significato e i limiti della democrazia, sulla condizione delle minoranze e sulla possibilità che dei governi formalmente democratici organizzino forme di governo autoritario, anzi, addirittura totalitario, senza che la maggioranza dei propri cittadini se ne accorgano e, anzi, ottenendo il loro consenso per introdurre forme di repressione sempre più invasive e brutali.

In altri termini: il fatto che i seguaci di Koresh non ci piacciano, e il fatto che molte delle loro idee fossero di natura delirante, ci autorizza a non trarre alcun insegnamento dalle tragedie di Waco e di Oklahoma City; ci autorizza a ignorare che quelle tragedie si sarebbero potute evitare; e, soprattutto, ci dispensa da una riflessione approfondita sulla natura e i limiti del potere statale, anche in una democrazia, nella sfera della libertà personale dei suoi cittadini?

Tanto per cominciare, si disse che l’intervento delle autorità federali nella sede dei davidiani era stato reso necessario da presunti abusi a danno di bambini. Ora, a parte il fatto che una ventina di essi perirono appunto nel rogo provocato dall’irruzione a mano armata delle forze speciali, vien fatto di chiedersi se fosse davvero questa la ragione che spinse il governo federale a intervenire. Non potrebbe darsi che questa vada ricercata proprio nella natura di un movimento religioso apocalittico e contestatore, come quello di Koresh?

Chi ha buona memoria, ricorderà la tragedia della cosiddetta “setta suicida”, che, nella Guyana Britannica, lasciò un migliaio di cadaveri sul terreno, l’anno 1978. Ma forse non tutti ricordano che i seguaci del reverendo Jim Jones, provenienti in gran parte dagli Stati Uniti, furono costretti a trasferirsi in Sud America e sottoposti a continue pressioni da parte del governo americano, atteggiamento che esasperò le loro tendenze paranoidi, e specialmente quelle del loro capo, precipitando il tragico epilogo.

Così pure, chi ha buona memoria ricorderà le vicende che portarono alla chiusura, da parte del governo americano, della “comune” allestita nell’Oregon da Bhagvan Rajneesh, più tardi conosciuto come Osho, e all’arresto del suo fondatore e capo carismatico; oppure quelle che condussero all’arresto e alla tragica morte dello psichiatra Wilhelm Reich, tacciato di frode e trattato come un pericoloso criminale: l’uno e l‘altro, Osho e Reich, accomunati da una ricerca spirituale indipendente che, forse, dava fastidio al Pensiero Unico materialista, scientista, riduzionista e, ovviamente democratico.

Che la democrazia possa adoperare, contro i nemici esterni, metodi che non hanno nulla da invidiare a quelli dei peggiori totalitarismi, in nome dei quali afferma di combattere, non è cosa che possa meravigliare alcuno, specialmente dopo che la realtà di Guantanamo ha fatto il giro del mondo. Ma che metodi repressivi spietati e preventivi possano essere sistematicamente adoperati verso i propri cittadini, rei di un dissenso, concreto o potenziale, anche su di un piano non strettamente politico, ma religioso, scientifico o culturale, è cosa che dovrebbe lasciare parecchio pensosi e stimolare un ripensamento sulla vera natura dei poteri statali che si autodefiniscono democratici, ma che, della democrazia, rispettano solo l’aspetto puramente formale ed esteriore.

Il pericolo è quello che si vada verso una democrazia totalitaria, la quale, così come si riserva di scatenare guerre preventive in ogni angolo del mondo per abbattere le dittature a lei sgradite (non tutte le dittature, si badi, né tutti i regimi autoritari e antidemocratici, come lo sono lo sceiccato del Kuwait o la monarchia saudita), allo stesso modo si riserva di agire con metodi estremamente decisi e brutali nei confronti non dell’opposizione politica, ma del potenziale dissenso di individui e gruppi religiosi, culturali o scientifici.

Così come Luigi XIV perseguitò i giansenisti e gli ugonotti non perché gli si opponessero politicamente, ma perché, con la loro insistenza sulla libertà di coscienza, costituivano un focolaio di una possibile, futura opposizione; allo stesso modo vi è una tendenza dei governi democratici odierni a perseguitare sette o individui potenzialmente pericolosi non per le idee che professano attualmente, ma per quelle che potrebbero sviluppare in ambito sociale e politico, loro o altre persone e altri gruppi da essi in qualche modo influenzati.

Lo stesso discorso vale per la storiografia. Apparentemente, non dovrebbe esistere alcuna connessione DIRETTA fra lo studio della storia e la dimensione della politica quotidiana, né lo Stato democratico dovrebbe scorgere nello storico di professione un soggetto pericoloso e un potenziale nemico. In pratica, non è così, specialmente da quando una nuova religione è stata messa sugli altari, nella tarda modernità occidentale: la religione dell’Olocausto. Di fatto, negare o ridimensionare le cifre dell’Olocausto, da parte di uno studioso, in molti Stati occidentali costituisce un reato punibile con anni di prigione; e che non si tratti di vuote minacce, è dimostrato dalla vicenda dello storico inglese David Irving.

Anche da questo lato, quindi, si giunge alla preoccupante constatazione che, nelle democrazie odierne, il numero dei reati di pensiero, se così possiamo chiamarli, tende a crescere di giorno in giorno, di pari passo con la severità del legislatore nei confronti di individui o gruppi che si permettono di pensare in maniera difforme da quanto la democrazia stessa afferma essere la Verità, autoevidente e indiscutibile.

Andando avanti di questo passo, c’è il pericolo che anche sostenere che la Terra è cava (negli Stati Uniti esistono gruppi che lo pensano), che Copernico aveva torto e Tolomeo ragione, che la medicina naturale vale quanto e più di quella chimica e industriale, ufficialmente riconosciuta dalle nostre istituzioni sanitarie (e a quest’ultimo caso stiamo già arrivando) saranno considerati altrettanti comportamenti illeciti e penalmente rilevanti.

Non parliamo, poi, dell’ultimo parto delle cosiddette scienze umane, la psichiatria: in nome di essa, come avveniva nella vecchia Unione Sovietica, esiste il pericolo concreto che cittadini rei di dissentire, per un aspetto o per l’altro, dal punto di vista della maggioranza, verranno considerati malati, internati in istituti psichiatrici e sottoposti a cure più o meno invasive, ovviamente senza il loro consenso, ma - si capisce - «per il loro bene».

Se, poi, dalla psichiatria ci si sposta alla medicina, non può non lasciare pensosi la recente sentenza di un tribunale che ha sottratto la patria potestà a due genitori obesi, rei di trasmettere ai loro figli uno stile alimentare che avrebbe condotto anche questi ultimi all’obesità. Vale a dire: meglio strappare dei bambini ai loro genitori, piuttosto che vederli trasgredire il dogma per cui solo le persone magre sono socialmente accettabili.

Dove andremo a finire, di questo passo?

A quando l’arresto delle persone eccentriche, dei non conformisti, di quanti hanno la colpa di pensare con la propria testa, e sia pure - magari - in modo sbagliato?

Esistono già dei sintomi inquietanti: basti citare l’opera sistematica di disinformazione attuata in Italia dal C.I.C.A.P., che, sotto le bandiere dello scientismo positivista più vieto e ottocentesco, si è autonominato custode della verità in ogni campo che la scienza materialista non sappia spiegare, ridicolizzando e denigrando con zelo quasi religioso (nel senso peggiore del termine) tutto ciò che esorbita dai modesti orizzonti culturali e spirituali dei suoi intrepidi membri.

E che ne sarà di quei giornalisti e di quei ricercatori, come David Icke, i quali da anni vanno dicendo che esiste un grandioso complotto mondiale, avente lo scopo di assoggettare gli esseri umani, e di cui finanzieri, industriali e uomini di governo sono gli agenti al servizio di poteri tenebrosi di origine non umana? Si può criticare e anche deridere fin che si vuole simili affermazioni: ma si ha il diritto di metterne in dubbio la liceità?

Siamo proprio sicuri, inoltre, che dei poteri occulti globali non esistano davvero? O dobbiamo aspettarci che chi oserà parlare del Gruppo Bilderberg, in futuro, dovrà vedersela con i rigori della legge? O, peggio ancora, che verrà sottoposto ad un premuroso trattamento psichiatrico, per farlo tornare in sé, magari come accade al protagonista del celebre film di Milos Forman «Qualcuno volò sul nido del cuculo»?

E chi continuerà a parlare delle scie chimiche, e a denunciare possibili pratiche di sconvolgimento pianificato del clima attuate dai governi all‘insaputa dei propri cittadini, che cosa dovrà aspettarsi? Verrà dichiarato nemico pubblico, in nome della pace sociale e della sicurezza dello Stato?

È davvero conforme ai principî democratici questo accanimento contro le minoranze, questa intolleranza nei confronti della diversità?

Non ci è forse stato detto, fin da quando eravamo piccoli, che la forza di una democrazia si misura proprio della sua capacità di difendere e tutelare anzitutto i diritti delle minoranze, perché la maggioranza è già difesa dall’assetto istituzionale?

Queste riflessioni non possono non presentarsi alla mente di chi ami davvero lo spirito democratico, ora che nel nostro Paese numerose voci, all’interno della maggioranza di governo, invocano apertamente un giro di vite nei confronti della libertà di espressione, sia sulla rete informatica, sia sulla stampa e perfino nei discorsi pubblici di esponenti politici legalmente eletti dal popolo.