Al di la' delle chiacchiere obamiane
di Franco D'Attanasio - 01/01/2010

Prendo spunto da un interessante articolo di Webster G. Tarpley, pubblicato su megachip, dal
titolo “Obama dichiara guerra al Pakistan” per mettere in rilievo alcuni aspetti della strategia
americana in AfPak (così come oramai sulla rete viene denominata tale scenario di guerra), che mi
sembrano dirimenti per cercare di avere un quadro un po’ più chiaro della situazione, non solo
militare, ma anche politica e sociale nei due paesi asiatici costretti a subire l’aggressione criminale
degli Stati Uniti d’America e dei suoi reggicoda europei.
L’autore dichiara senza mezzi termini che “Non siamo più di fronte alla guerra contro
l’Afghanistan di Bush e di Cheney cui eravamo abituati in passato. È qualcosa di enormemente più
vasto: il tentativo di distruggere il governo centrale pakistano di Islamabad e di far sprofondare
quel paese nel caos della guerra civile, nella balcanizzazione, nella frammentazione e nella
confusione totale. La strategia prescelta si basa sull’esportazione della guerra civile afghana in
Pakistan e oltre, sulla frammentazione del Pakistan secondo i suoi diversi gruppi etnici. …. Nel
mondo del cinismo brusco dell’aggressione imperialista à la Bush e Cheney, si sarebbe costruito
un pretesto per attaccare il Pakistan in modo diretto. Ma il Pakistan è di gran lunga troppo esteso
e gli Stati Uniti sono di gran lunga troppo deboli e troppo indebitati per una tale impresa. Inoltre,
il Pakistan è una potenza nucleare, dispone di bombe atomiche e di missili a media gittata atti a
lanciare tali bombe.
Da tutto ciò risulta abbastanza chiaro il fatto che, di fronte ad enormi difficoltà di diversa natura
(non solo militare), dato che la situazione in Afghanistan e Pakistan non può essere normalizzata
secondo i propri desideri di supremazia ed egemonia, gli USA stiano decisamente imboccando la
strada del caos, che quantomeno impedisce anche alle altre potenze in ascesa (Russia, Cina ma
anche l’Iran sebbene, per adesso solo su scala regionale) di trovare un terreno favorevole al fine di
coagulare alleanze (nell’area geografica medio-orientale e dell’Asia centrale, divenuta oramai
determinante nella lotta multipolare) e conseguenti strategie possibili, atte a meglio rintuzzare e
contrastare il potere mondiale a stelle e strisce.
“La vulnerabilità del Pakistan che gli Stati Uniti ed i loro soci della NATO stanno cercando di
utilizzare per il proprio tornaconto si può comprendere meglio consultando una mappa dei gruppi
etnici prevalenti in Afghanistan, Pakistan, Iran, ed India. La maggior parte delle mappe mostra
soltanto i confini politici che risalgono ai tempi dell’imperialismo britannico, e quindi mancano di
riportare i principali gruppi etnici della regione. Ai fini della nostra analisi, dobbiamo iniziare con
l’identificare un certo numero di gruppi. Prima di tutto il popolo Pashtun, situato principalmente in
Afghanistan e in Pakistan. In secondo luogo abbiamo i beluci, localizzati principalmente in
Pakistan e in Iran. I punjabi abitano il Pakistan, così come i sindhi. La famiglia Bhutto è originaria
del Sindh.”
“La strategia USA e NATO comincia con i pashtun, il gruppo etnico dal quale provengono in
larga misura i cosiddetti talibani. I pashtun rappresentano una parte consistente della popolazione
dell’Afghanistan, ma sono stati estromessi dal governo centrale sotto il Presidente Karzai a Kabul,
sebbene lo stesso Karzai, marionetta degli USA, passi per essere lui stesso un pashtun.
La questione riguarda l’Afghan National Army (l’Esercito Nazionale Afghano), che è stato
creato dagli Stati Uniti dopo l’invasione del 2001. Gli alti ranghi dell’esercito afghano sono
costituiti prevalentemente da tagiki provenienti dall’Alleanza del Nord che si era coalizzata con gli
Stati Uniti contro i talibani pashtun. I tagiki parlano il dari, noto anche come persiano orientale.
Altri ufficiali afghani provengono dal popolo degli hazara. La cosa importante da rilevare è che i
pashtun si sentono degli esclusi.
La strategia USA si può meglio intendere come sforzo deliberato teso a perseguitare, attaccare
ripetutamente, antagonizzare, assaltare, reprimere ed uccidere i pashtun. Il contingente di ulteriori
40mila soldati USA e NATO chiesto da Obama per l’Afghanistan si concentrerà nella provincia di
Helmand e in altre aree in cui i pashtun sono maggiormente concentrati. Il risultato finale sarà
quello di istigare alla ribellione i pashtun, ardentemente indipendenti, nei confronti di Kabul e
dell’occupazione straniera, e allo stesso tempo di spingere molti di questi combattenti mujahiddin
di recente radicalizzati ad attraversare la frontiera con il Pakistan, per dichiarare guerra al
governo centrale ad Islamabad. Gli aiuti statunitensi giungeranno direttamente ai signori della
guerra e ai signori della droga, incrementando in tal modo i movimenti centrifughi.
Dal lato del Pakistan, i pashtun sono stati allontanati dal governo centrale. Islamabad e
l’esercito sono visti come emanazioni dirette dei punjabi, con qualche elemento di origine sindhi.
Sul versante pakistano del territorio pashtun, le operazioni americane includono assassinii
all’ingrosso perpetrati da velivoli senza pilota o da droni, omicidi effettuati dalla CIA e, secondo
quanto si dice, dai cecchini della Blackwater, oltre a massacri terroristici alla cieca come quelli
avvenuti di recente a Peshawar che i talibani del Pakistan attribuiscono alla Blackwater, che
agisce in qualità di subcontractor della CIA. Queste azioni sono intollerabili ed umilianti per uno
stato sovrano orgoglioso. Ogni qualvolta che i pashtun subiscono un attacco violento, essi
accusano i punjabi di Islamabad per le loro losche trame con gli USA che rendono possibile che
tutto questo avvenga.
L’obiettivo più immediato di Obama nell’escalation Afghanistan-Pakistan è quindi di
promuovere una rivolta secessionista generale dell’intero popolo pashtun sotto gli auspici dei
talibani, che dovrebbe avere già provocato la distruzione dell’unità nazionale sia di Kabul sia di
Islamabad.”
Anche Pepe Escobar in un suo recente articolo parla esplicitamente della questione dei Pashtun:
essendo il confine Nord del Pakistan con l’Afghanistan del tutto artificiale in quanto creato
dall’imperialismo britannico alla fine dell’800, l’etnia Pashtun, forte dei propri legami con il Golfo
Persico e con la maggior parte dei paesi dell'Organizzazione della Conferenza Islamica,
militarmente rappresentata da una miriade di gruppi taliban, “strategicamente incarnano una
deliziosa ironia: un movimento rurale, ultrareligioso, nazionalista che combatte con le unghie e
con i denti un corrotto governo a base urbana come se fossero una fantasia post-coloniale del
nobile selvaggio tribale – alla Rousseau – in lotta contro l'Occidente colonialista.” Quel che
sognano dunque gli strateghi americani, militari e non, è proprio che lo stato pakistano crolli per
sempre, dilaniato da uno scontro all’interno dell’esercito tra punjabi e pashtun.
Altro gruppo etnico nelle mire statunitensi è quello dei beluci, che questa volta però non vedono
di buon occhio la repubblica islamica dell’Iran, in quanto in mano ai persiani; inoltre, secondo
Webster G. Tarpley, la CIA nel Belucistan iraniano starebbe finanziando il Jundullah, un
movimento sanguinario che, secondo le autorità di Teheran, sarebbe stato protagonista proprio
dell’attentato, avvenuto non molto tempo fa, ai danni di diversi capi dei pasdaran. La ribellione dei
beluci manderebbe così in frantumi l’unità nazionale di Pakistan e Iran, favorendo in tal modo la
distruzione di due dei principali bersagli della politica USA. D’altronde quest’ultimo obiettivo
sarebbe confermato anche dal professor Chossudovsky: già nel 2005, un rapporto del National
Intelligence Council USA e della CIA prevedeva un “destino jugoslavo” per il Pakistan «nel tempo
di un decennio con il paese lacerato dalla guerra civile, i bagni di sangue e le rivalità interprovinciali,
come si è visto recentemente in Belucistan.» Washington favorisce la creazione di un
"Grande Belucistan", che dovrà integrare le aree Beluci del Pakistan con quelle dell'Iran e
possibilmente della punta sud dell'Afghanistan, portando quindi a un processo di frattura politica
in Iran e in Pakistan.»
Ma perché gli Stati Uniti si sarebbero posti come un obiettivo fondamentale la
“balcanizzazione” del Pakistan? “Uno dei motivi è che il Pakistan è tradizionalmente un alleato
strategico e un partner economico della Cina, un paese che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono
determinati a contrastare e contenere sulla scena mondiale. In particolare, il Pakistan potrebbe
funzionare come un corridoio energetico in grado di collegare i giacimenti petroliferi dell’Iran e
perfino dell’Iraq con il mercato cinese per mezzo di un gasdotto che attraverserebbe l’Himalaya
sopra il Kashmir. Si tratta della cosiddetta questione del “Pipelinestan”. Questo garantirebbe alla
Cina un approvvigionamento di petrolio ancorato alla terraferma non soggetto alla superiorità
navale anglo-americana, oltre a tagliare la rotta di 12mila miglia delle petroliere lungo il bordo
meridionale dell’Asia. Cina e Pakistan stanno già lavorando su una proposta di posa di un
oleodotto trans-himalayano per trasportare il greggio mediorientale fino alla Cina occidentale. Il
Pakistan offre alla Cina il più breve percorso possibile per importare petrolio dai paesi del Golfo.
La conduttura, che andrebbe dal porto meridionale pakistano di Gwadar e seguirebbe l'autostrada
del Karakorum, sarebbe in parte finanziata da Pechino.” In definitiva questo oleodotto rivestirebbe
un’importanza per la Cina di enorme portata in quanto veicolerebbe, non soltanto la materia prima
di cui ha bisogno per soddisfare la sua domanda di energia in forte ascesa, ma anche l’influenza
economica e politica in Medio Oriente ed Asia centrale, aspetto quest’ultimo che certo non fa
dormire sonni tranquilli all’establishment statunitense.
La logica dunque che sta alla base dell'occupazione dell'Afghanistan da parte degli Stati Uniti –
sempre celata dietro la facciata della lotta all'estremismo islamico, propaganda ben articolata
secondo le migliori tecniche attualmente in auge – è pura “strategia di dominio ad ampio spettro
del Pentagono: spiare meglio la Cina e la Russia da postazioni avanzate dell'impero delle basi”
[Pepe Escobar]. Difatti, quello cinese per gli USA, non è l’unico, per così dire, fronte di guerra in
Medio Oriente ed Asia Centrale, ne esiste un altro forse più problematico e complesso, quello russo;
l’orso euro-asiatico è in gran risveglio e non ha assolutamente intenzione di retrocedere nemmeno
di un millimetro nella sua azione di costruzione della propria aria di influenza, atta a cooptare
soprattutto le ex repubbliche asiatiche sovietiche. I due gasdotti North Stream e South Stream,
almeno per adesso, sembrano avanzare speditamente, cosa sicuramente non secondaria, poiché oltre
a rendere del tutto sconveniente il progetto rivale Nabucco (patrocinato dagli USA e dalla UE) e
quindi a far sì che le risorse di gas del Mar Caspio e dell’Iran possano prendere altre direzioni invise
agli stessi USA, costituisce un potente fattore di attrazione di alcuni paesi europei (come l’Italia e la
Germania) in favore della Russia stessa. D’altronde il Cremlino non si fa scrupoli e non si pone
problemi di natura formale (secondo quelli che sono i più classici canoni diplomatici), mostra tutta
la sua aggressività, e per bocca del suo primo ministro Putin, (vedasi l’articolo a cura di G.P.) dice
chiaramente che per ristabilire un certo equilibrio (in prima istanza militare, ma con risvolti anche
economici e politici) la Russia ha urgente bisogno di rafforzare tutto il suo potenziale bellico;
giacché lo scudo antimissile americano, seppur ridimensionato rispetto alle iniziali intenzioni di
Washington e del Pentagono, costituisce un arma che permetterebbe agli Stati Uniti di fare molto di
più di quanto fanno attualmente, ed in tutti i campi, non solo militare.

