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Per poter entrare in Gaza: sciopero della fame

di Joe Fallisi - 03/01/2010


Ho parlato pochi minuti fa, per telefono, con Joe Fallisi, che si trova al Cairo (Egitto), con altri italiani e stranieri, per ricordare al mondo, il primo anniversario dell’Operazione israeliana “Piombo fuso”, contro la popolazione palestinese della striscia di Gaza.

Fallisi mi ha fornito alcune informazioni su come stanno andando lì le cose. E, visto l’atteggiamento delle autorità egiziane, mi ha altresì informato della sua decisione – già dalla scorsa settimana – di dare inizio ad uno sciopero della fame, di cui nessuno, in Italia, ha finora parlato.

Se si inserisce il suo nome (Joe Fallisi) in Google News Italia, il motore di ricerca non restituisce nulla. Possiamo ancora una volta, ad un anno dal massacro di Gaza, constatare come la stampa sia rimasta la stessa di allora.

Davano, allora, copertura al massacro; ed adesso, tacciono sulle azioni di protesta di quelli che intendono entrare, dal passaggio di Rafah, per poter portare ai genocidati, oltre alla solidarietà, non... armi, ma semplicemente cibo, medicinali, sostegno, conforto umano, pietà.

Mentre la polizia egiziana carica i manifestanti, fra cui anche degli italiani, i media nostrani, i telegiornali, i politici (!) tacciono, mentre continuano a sbracciarsi ed a mettersi in “bella vista”, per le notizie che giungono dall’Iran. Quelle manifestazioni che reprimono in patria, a Roma, vengono invece osannate – anzi patrocinate – quando si tratta di destabilizzare un paese con 70 milioni di abitanti, che si è scelto democraticamente i suoi capi, dopo che è stato abbattuto, nel 1979, il regime dello Scià, insediato dalla CIA con un Colpo di Stato nel 1953, rovesciando l’allora Governo democratico di Mohammad Mosaddegh (1882 –1967).

Tante bugie e manipolazioni giornalistiche sono possibili poiché gli “strateghi” della guerra mediatica hanno già calcolato che almeno l’80 per cento delle persone che ricevono le loro informazioni sono sprovviste della benché minima capacità critica. Ed è perciò possibile “far bere” loro le più incredibili fandonie. Ne so qualcosa, personalmente!

Ma veniamo a Fallisi, a Joe, che è un tenore. Un reputato e conosciuto cantante lirico, attivo nelle lotte di sostegno alla causa palestinese. Era già stato una volta in Gaza con una delle navi che tentarono di forzare il blocco israeliano. Aveva potuto tenere un concerto in Gaza, e si era ripromesso di farne un’altro. Gratis, naturalmente.

Questa volta, le autorità egiziane gli stanno impedendo di entrare nella striscia di Gaza, e per questa ragione, lui, ha iniziato uno sciopero della fame. Non accenno, perché sarebbe sgradevole, ad alcuni problemi interni alle organizzazioni lì presenti. La delegazione italiana pare sia andata all’Ambasciata italiana, aspettandosi chissà cosa, come non sapessero chi è l’attuale Ministro degli esteri e quanto sia grande la sua amicizia, per Israele. Solo gli ingenui possono aspettarsi davvero qualcosa, per quella via.

Nella breve conversazione con Joe Fallisi, mi sono permesso di dirgli che la mia solidarietà è assoluta ed incondizionata con lui in particolare, e con quanti – da ogni parte del mondo – si trovano lì, in questo momento, per manifestare vicinanza e fraternità alle vittime di Gaza. Ma, al tempo stesso, ciò che ora sta succedendo a Joe Fallisi ed a tutti gli altri, offre una conferma ad una mia tesi. Il principale aiuto che si possa dare alla causa palestinese, risiede nei nostri paesi. In che modo? Smantellando criticamente tutti i presupposti e le bardature ideologiche che, almeno dal 1948 ad oggi, hanno dato “copertura” ad un vero e proprio genocidio che continua a svolgersi – non solo sotto i nostri occhi, ma – con la complicità dei nostri governi, dei media, dei politici.

Ci piace celebrare gli «Olocausti» del passato, ma non vogliamo vedere gli «Olocausti» del presente: quelli, cioè, che noi stessi stiamo commettendo, con il supporto di una continua e costante manipolazione di stampa… e che non nulla hanno da invidiare a quelli dei regimi totalitari! In altre parole, si tenta di “chiudere gli occhi” alla gente che, magari, fra mezzo secolo, verrà pure colpevolizzata, per non aver “visto”, per non aver saputo, per non aver fatto nulla per impedire l’orrore.

Purtroppo, a dare indirettamente una mano ai massacratori di Gaza, loro malgrado e senza neppure rendersene conto, si trovano anche quanti, far i manifestanti, non hanno capito i meccanismi ideologici di quella carneficina. Ad esempio, quanti non riescono ancora a capire ciò che in Roma ha spiegato lo storico ebreo israeliano Ilan Pappe, il quale ha avvertito che, in realtà, non esiste un conflitto israelo-palestinese, in quanto il concetto di conflitto rinvia necessariamente ad una “dualità”. Invece, nel caso specifico, si tratta di un annoso massacro “unilaterale”: una sola parte, infatti, ne sta massacrando un’altra, e ci ripete la favola del lupo e dell’agnello. Se si va in rete, si trova un’incredibile notizia, dove adesso diventano “terroristi” anche i tunnel che finora servivano a far passare principalmente quei viveri, medicinali e generi di prima necessità che né gli Israeliani né gli Egiziani intendono far passare, uniti come sono in un patto scellerato, per tentare di affamare e strangolare più di un milione e mezzo di persone.

Quando si parla di democrazia e di libertà, credo che – da questo momento – sarà il caso di puntare gli occhi sull’Egitto e di non degnare neppure di un attimo di attenzione tutte le corbellerie che ci vengono ammannite con abbondanza sull’Iran.

Seguiamo costantemente – come possiamo – lo sciopero della fame di Joe Fallisi. Questo stesso testo sarà riscritto e rielaborato in permanenza, a seconda delle più aggiornate informazioni che avremo. La nostra, è coscientemente una tecnica diversa: non “lanci” di notizie successive nel tempo, ma un medesimo testo che viene costantemente rielaborato, sulla base delle notizie che ci saranno fatte pervenire da Joe Fallisi.

* * *

Verso le 18 ore italiane (del 2 gennaio), cioè le 19 egiziane, ho raggiunto al cellulare Joe, che proprio in quel momento si trovava in una fase critica. Partendo dal Cairo, insieme ad altre 6 o 7 persone internazionali della marcia, era salito su un pulman di una cinquantina di egiziani, che, per loro ragioni, andavano ad al-Arish. In una località vicino a Suez, il cui nome arabo non ricordo più, ma eravamo appena ad un quinto della durata totale del viaggio, è salita la polizia. I controlli erano in corso mentre io telefonavo. Dopo aver pagato il biglietto, il rischio era che, in quel momento, venissero tutti fatti scendere con il loro bagaglio. Cosa che, in seguito, è avvenuta. I sei o sette membri sono stati fatti scendere dal pulman. Ora, restano bloccati ai bordi del suddetto paesino, in attesa che venga messo a loro disposizione un pulmino, per farli ritornare al Cairo. Questo è quanto. Io ed un altro amico di Joe ci stiamo dando dei turni di circa tre o quattro ore, per seguire gli spostamenti di Joe e del gruppo di persone con le quali si trova.

* * *

Sono le 22.30 ora del Cairo e Joe Fallisi. insieme ad altre 10 persone, di cui 4 italiani e 6 americani, in buona parte vecchiette, splendide vecchiette, si trovano su un pulmino scortati dalla polizia sulla via del ritorno al Cairo. Joe, che continua lo sciopero della fame, avverte tutta la stanchezza e la delusione per il tentativo andato a vuoto. Confidano di poter trovare un alloggio per la notte. Con suo congedo ci sentiremo domani. Mi dice che posso dare la seguente notizia: domani consentirebbero agli internazionali di entrare a Gaza. Riferisco ciò che mi dice di poter scrivere, ma non vi è tempo per analizzare la notizia ed io stesso mi chiedo se sarà così. Certo, adesso possiamo dire di conoscere l’Egitto con ben altra luce. Sembra ovvio che sia sotto forte condizionamento da parte di Israele e degli Usa. Vi è da studiare il famoso trattato di pace (gli accordi di Camp David) e da chiedersi cosa in realtà sia stata quella pace. Viene da credere che sia stato un trattato di sottomissione.

In effetti, nel 1979, con gli accordi di Camp David, l’Egitto defezionò dalla causa panaraba, concluso un trattato di pace separata con Israele. Ma in quali termini? Con un prezzo in aiuti e danaro pagato dagli USA all’Egitto e la restituzione da parte di Israele del territorio del Sinai, l’Egitto giurava obbedienza a USA e Israele, al quale in pratica cedeva l’annessione del “territori occupati”. Mentre si stipulava la pace fra Egitto e Israele, quest’ultimo nello stesso momento annunciava un incremento degli insediamenti coloniali in Cisgiordania. Si parlava allora di “autonomia” del popolo palestinese, cioè: “autonomia”, non “autodeterminazione” o indipendenza. Il “processo di pace” – nuova terminologia della menzogna – era in realtà il tempo concesso ad Israele per attuare la sua politica ed i suoi disegni, fra cui in ultimo “Piombo Fuso”. Il recente muro di ferro dalla parte dell’Egitto o il rifiuto egiziano di far entrare in Gaza le delegazioni pacifiste non è una cosa che deve far sorprendere. Gli antefatti esistevano già nella politica di Camp David.

* * *

Sono le 11 ore italiane, corrispondente alle 12 del Cairo, ed ho appena finito di parlare al cellulare per quattro/cinque minuti con Joe Fallisi, che sta continuando lo sciopero della fame. È l’unico italiano ad averlo fatto e nessun organo di stampa o sito – ch’io sappia – ne ha dato finora notizia. Uno sciopero della fame è un atto pubblico di protesta: non ha senso se nessuno ne parla o lo viene a sapere. Sembra che in Italia gli scioperi della fame siano solo quelli di Pannella o dei radicali, che però sono sempre stati dalla parte degli affamatori per quanto riguarda l’assedio di Gaza. Mi diceva Joe che questo pomeriggio sarà intervistato da Michele Giorgio, del Manifesto. Le speranze che Joe nutriva ieri, o almeno mi parlava di ciò, mi lasciavano incredulo. Quelle voci sono oggi seguite dalla delusione di Fallisi: nessun ingresso in Gaza. Forse ci andrà solo una ristrettissima delegazione. Tutti son dovuti ritornare indietro. I segni dello sciopero della fame possono essere colti da me attraverso il tono della voce di Joe. L’ho lasciato parlare senza quasi interromperlo in modo che parlasse fin quando si sentiva. Ci siamo lasciati mentre arrivano altre persone con le quali si accingevano a recarsi al consolato italiano. Non riferisco sui problemi sorti fra gli italiani, di cui qualcuno pensava di essere legittimato ad assumere la leadership e qualcun altro fraternizzava con i poliziotti egiziani, suscitando l’ilarità degli internazionali. Non ho altro da aggiungere.