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Al-Qaeda e il fattore yemenita

di Eugenio Roscini Vitali - 12/01/2010

Poche ore dopo l’arrivo a Sana’a del Generale David Petraeus, comandante del Comando Centrale Usa in Medio Oriente ed Asia centrale, il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ha lanciato la sua grande offensiva. Obiettivo: le cellule di al-Qaeda presenti nella regione più meridionale della penisola Araba; migliaia di soldati inviati nei governatorati di Abyan, Al Bayada, Shawbah, Maarib, Al-Jawf e nei 16 distretti della capitale. Truppe decise a stanare quella che Washington definisce “una specifica minaccia”, la stessa che alimenta il terrorismo in Iraq, Afghanistan, Pakistan, India, Filippine, vicino Medio Oriente, Corno d’Africa, Caucaso, Maghreb e in mille altri angoli della Terra.

Scontri a fuoco tra militanti e forze di sicurezza nel distretto di Arhab, 60 chilometri a nord est di Sanaa, e nell’area di Al-Majalah, bombardata dai Mig-29 dell’aviazione yemenita: 50 i terroristi uccisi, 60 i feriti, decine quelli che si sono arresi. Clamorose notizie, poi smentite, sulla cattura di quello che sembrerebbe essere stato il capo della rete locale di al-Qaeda, Mohammad Ahmed al Hanak, e su altri militanti di secondo piano.

Intanto, della nuova minaccia jihadista al mondo occidentale, dello yemenita che in molti già definiscono “il nuovo Bin Laden”, la mente della strage di Fort Hood e del mancato attento di Natale al volo della Delta Airlines, nessuna traccia. Anwar al-Awlaki, Imam radicale e cittadino americano, nato nel 1971 a Las Cruces, nel Nuovo Messico; laureato in Ingegneria civile alla Colorado State University e master in Pedagogia alla San Diego State University; guida spirituale dei militari di fede musulmana a Fort Collins, Colorado e capo della Comunità islamica presso la moschea Masjid Ar-Ribat al-Islami di San Diego. E’ questo l’uomo più ricercati al mondo.

I legami con lo studente nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab e con Nidal Malik Hisan, psichiatra e militare americano che a Fort Hood ha aperto il fuoco e ha ucciso 13 commilitoni, lo rendono uno dei terroristi più pericolosi in circolazione, peggiore di quanto possano essere alcuni leader regionali quali l’algerino Abdel Malik Daroqedel o il filippino Radullah Sahiron o l’egiziano Mohammad al-Hakim, presumibilmente morto in Pakistan durante un attacco aereo avvenuto il 31 ottobre 2008.

Al-Qaeda e Anwar al-Awlak potrebbero però non essere il solo motivo per il quale lo Yemen sta diventando il terzo fronte della guerra al terrorismo. Il paese è, da tempo, sottoposto ad una costante escalation militare che vede a nord le truppe Saudite che attaccano i ribelli sciiti e a sud l’esercito yemenita che combatte la rivolta jihadista. Tutto a pochi passi dal Golfo di Aden, dal Mar Rosso e dallo stretto di Bab el-Mandeb: 30 chilometri di acqua che separano Ras Menheli da Ras Siyan, la penisola Araba dal Corno d’Africa.

Elementi di un mosaico che evidenziano l’immenso interesse strategico che può avere un’area attraverso la quale passa gran parte del greggio proveniente dal Golfo Persico. Uno stretto che, insieme a quelli di Hormuz e Malacca, è una delle tre zone geografiche più importanti al mondo, determinante nell’analisi della sicurezza energetica globale ma anche particolarmente vulnerabile agli attacchi terroristici e alle turbolenze politiche.

E’ chiaro che è qui che il Pentagono vuole stabilire il nuovo avamposto militare della guerra al terrorismo: cercare di militarizzare lo stretto di Bab el-Mandeb per fissare alle porte del Mar Rosso una sorta di checkpoint navale con  il quale rendere più sicuro il collegamento tra Oceano Indiano e Mediterraneo, il che eviterebbe tra l’altro l’ipotesi della concorrenza cinese, ed interrompere gran parte dei traffici di armi che l’Iran convoglia verso il vicino Medio Oriente. Oltre a questo c’è poi la necessità di sostenere la traballante presidenza Saleh e mettere in sicurezza la zona di confine con l’Arabia Saudita, ricca di riserve petrolifere non ancora sfruttate e particolarmente instabile a causa della presenza dei ribelli Houthi, che da oltre otto anni combattono per restaurare nello Yemen settentrionale l’imamato Zaydita e che neanche i Tornado e gli M198 howitzer di Riyad sono ancora riusciti a piegare.

Anche se le prime notizie sono state diramate nell’aprile scorso, sulla scacchiera yemenita i primi movimenti si sono registrati all’inizio del 2009, quando, dopo 15 anni di alleanza, Tariq al-Fadhli, ex leader jihadista e personaggio di spicco della Repubblica Democratica Popolare dello Yemen, ha rotto con il presidente Ali Abdullah Saleh ed ha annunciato il suo passaggio tra le file del Movimento del Sud, un fronte secessionista che da tempo rivendica l’indipendenza da Sana’a. La figura dell’ex mujahedin afgano, considerato tra i responsabili degli attentati del 1992 contro gli hotel Movenpick e Gold Mohur di Aden, ha subito ridato vita alla moribonda opposizione portata avanti dai leader dell’ex partito socialista ed ha trasformato il Movimento del Sud in un fronte antigovernativo a livello nazionale: lo dimostrano le proteste organizzate il 28 aprile nelle province meridionali di Lahj, Dalea  e  Hadramout, manifestazioni a cui hanno partecipato decine di migliaia di yemeniti.

E’ stata proprio questa condizione di instabilità a creare i presupposti affinché nel sud del paese l’organizzazione fondata da Bin Laden potesse realizzare il progetto annunciato nell’aprile del 2008: riorganizzare nella penisola Araba una rete terroristica che facesse capo alla cellula yemenita guidata da Nasir al-Wahayshi. Raccogliendo alcuni militanti provenienti dall’Iraq e dall’Afghanistan e quello che era rimasto della defunta ala saudita, il 20 gennaio 2009, al-Wahayshi annuncia la nascita di Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP): con lui ci sono Abu-Sayyaf al-Shihri, Abu-al-Harith Muhammad al-Awfi e un’altra decina di ex detenuti di Guantanamo.

Alcuni giorni dopo, in un video online, al-Wahayshi minaccia Ali Abdallah Saleh, i membri della famiglia Reale saudita ed il presidente egiziano Mubarak e promette di portare la jihad fino al cuore di Israele: “Iniziamo da qui per incontrarci ad al-Aqsa”, la moschea che sorge sul Monte del Tempio, nel centro storico di Gerusalemme. Nel video compaiono anche al-Shihri e al-Awfi, una coincidenza preoccupante che avrebbe dovuto mettere l’intelligence americana sulle tracce di Anwar al-Awlaki e Umar Farouk Abdulmutallabe e che dimostra come a quasi un anno dagli attentati la CIA e  il Pentagono fossero già a conoscenza dell’esistenza di un pericolo yemenita.