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Perché l’islamofobia?

di Alessandro Iacobellis - 28/01/2010


Venerdì 22 gennaio si è tenuto a Bologna, presso la Sala del Baraccano in via Santo Stefano, il primo incontro pubblico organizzato dall’associazione culturale Eur-eka. Eur-eka si propone di essere una nuova realtà al di fuori degli schemi precostituiti e degli steccati mentali imposti dal pensiero unico, con lo scopo di risvegliare e scuotere la cittadinanza bolognese, in una città sempre più inerte e culturalmente asfittica.
La crisi (politica, economica, sociale ed etica) che colpisce Bologna ormai da anni può essere superata cercando risposte che vadano al di là di concetti ormai vuoti come “destra” e “sinistra”.
L’incontro di venerdì aveva come argomento l’islamofobia, ed un’analisi dei diversi attori, delle loro tattiche e finalità nel suscitare presso l’opinione pubblica un sentimento anti-islamico. I relatori: Enrico Galoppini, saggista, collaboratore della rivista “Eurasia”, nonché autore di un libro relativo proprio a questo argomento, e Hamza Roberto Piccardo, figura di spicco dell’Islam italiano già dirigente nazionale dell’Ucoii (Unione delle Comunità ed Organizzazioni islamiche in Italia), e fondatore della casa editrice “Al Hikma”. A moderare Eduardo Zarelli, responsabile di Arianna Editrice, uno dei personaggi più interessanti e dinamici del panorama intellettuale locale e non solo. L’introduzione è stata affidata proprio a Zarelli, il cui intervento è stato volto ad inquadrare l’evento non in termini di un “politicamente corretto” o di un sincretismo dannosi quasi quanto la stessa islamofobia, ma per una maggiore conoscenza delle identità altre, non per quello che vorremmo che fossero ma per quello che sono a tutti gli effetti. Esemplare in questo senso fu Federico II e il suo rapporto di stima e rispetto nei confronti del mondo arabo e islamico.
Il primo intervento è stato di Piccardo, che ha tracciato un interessante parallelo tra la propria esperienza personale e il rapporto degli italiani con la religione islamica. Se fino agli anni ’90 la sua scelta di vita e spirituale era quasi ignorata, o perlomeno vista come “esotica”, negli ultimi due decenni l’atteggiamento è radicalmente mutato. Complice una martellante campagna di disinformazione e manipolazione dell’opinione pubblica di cui è stata vittima proprio l’Ucoii, continuamente descritta come una propaggine italiana dei movimenti integralisti, quando in realtà la sua unica colpa è stata quella di prendere posizione, in politica estera, a sostegno delle ragioni del popolo palestinese. Denunciare la tragedia della Palestina è quindi costato molto all’organizzazione in termini di nomea e di reputazione pubblica. Esempio fondamentale la costante mistificazione circa la “Carta dei Valori” che l’allora ministro Pisanu sottopose alle organizzazioni islamiche d’Italia: il solo fatto di non avere apposto immediatamente e senza condizioni la propria firma, ma di volere sottoporre il testo alla propria direzione, ha fatto sì che l’Ucoii venga tuttora dipinta come il mostro da sbattere in prima pagina.
A questo si ricollega l’intervento seguente di Galoppini. Cioè il bisogno costante da parte delle èlites occidentali di inventarsi un nemico esterno, in modo da giustificare la macchina imperialista degli Usa e le sue avventure belliche dell’ultimo decennio (Afghanistan e Iraq, ma anche le continue ingerenze nel resto dell’area, e le minacce a Iran e Siria). Caduta l’Unione Sovietica, l’Occidente necessitava di un nuovo nemico metafisico per giustificare… se stesso. Ovviamente a ciò si collega strettamente anche la propaggine occidentale nel Vicino Oriente, cioè quell’Israele che la propaganda islamofobica descrive come avamposto di civiltà posto nel mezzo della barbarie, e a cui tutto è concesso, come sanno bene sulla loro pelle in Palestina e in Libano.
L’islamofobia, secondo Galoppini, è quindi propaganda di guerra: parte dall’ambito interno (con le continue polemiche sulla condizione della donna, sul velo, sull’edificazione dei luoghi di culto eccetera) per finire in realtà a creare il consenso per ciò che avviene in politica estera, in particolare tutto quel processo di democrazia-export messo in moto all’indomani degli eventi dell’11 settembre 2001.
Il convegno ha avuto un buon successo in termini di affluenza e di partecipazione. Si deve rimarcare soprattutto l’eterogeneità del pubblico presente, di diverse tendenze politiche (oltre alla presenza di cittadini musulmani). Al termine, dopo gli interventi dei relatori, è stato possibile porre domande e creare un dibattito, anche con il contributo di spettatori schierati su posizioni diametralmente opposte. La diversità di punti di vista, espressa civilmente, ha contribuito a rendere l’incontro ancora più intellettualmente stimolante e proficuo.