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Tony Blair, l'indecente

di Leonardo Mazzei - 01/02/2010

   
 

Menzogne e arroganza del guerrafondaio inglese che l’ulivismo italiota aveva eletto a suo modello

Ci fu un tempo in cui Tony Blair spadroneggiava nel Regno Unito. Ci fu un tempo in cui il suo ghigno beffardo diventò il simbolo della «terza via» che l’ulivismo italiota credeva di rappresentare insieme al guerrafondaio inglese ed a Bill Clinton, il bombardatore della Jugoslavia.
Blair, governando il suo paese per un decennio dal 1997 al 2007, porta tutta intera la responsabilità per quella stessa guerra (1999), per l’attacco all’Afghanistan (2001) e per quello all’Iraq (2003).
E proprio su quest’ultima guerra, venerdì scorso ha dovuto presentarsi a Westminster per rispondere alle domande della Commissione d’inchiesta allestita dal Parlamento britannico.

Ora, le commissioni d’inchiesta parlamentari sono in genere un luogo dove si consumano le sceneggiate più ridicole. Un luogo che ha ben poco a che fare con la ricostruzione storica degli eventi. Un luogo, infine, dove molto spesso (ed il caso in oggetto non fa eccezione) un buon numero di «commissari» è tutt’altro che estraneo ai crimini sui quali dovrebbe indagare. 
In breve, la verità storica non passa certo da questo genere di commissioni. Tuttavia, l’audizione di Blair merita qualche commento: per l’impudenza delle sue menzogne, per l’arroganza delle sue argomentazioni, per la gravità delle sue affermazioni sull’attuale situazione mediorientale, ed infine – come abbiamo già ricordato – per il suo ruolo di simbolo di quella «terza via» che ha coperto le peggiori nefandezze del centrosinistra europeo (Italia abbondantemente inclusa) nell’ultimo quindicennio.

Cominciamo con le menzogne. Blair ha avuto la faccia tosta di ripetere la favola delle “armi di distruzione di massa” che sarebbero state possedute dall’Iraq di Saddam Hussein. A questa storiella ormai non crede più nessuno, e gli stessi americani che a suo tempo la inventarono l’hanno abbandonata da quel dì.
Ma Blair no, Blair non ha alcuna autocritica da compiere. Leggiamo questa sua affermazione: «Viste le informazioni che erano a mia disposizione, non ero disposto a correre il rischio di lasciare in mano ad un paese pericoloso armi di distruzione di massa.»
In realtà Blair  non solo sapeva benissimo che quelle «informazioni» erano costruite ad arte, sapeva anche in che condizione materiale si trovava l’Iraq, dato che la sua aviazione, insieme a quella americana, spadroneggiava e bombardava pressoché quotidianamente quel paese. 
Ma le menzogne non riguardano soltanto il passato. Per Blair il giudizio positivo sulla guerra poggerebbe in ogni caso sul fatto che: «milioni di iracheni ora stanno meglio di quando stavano sotto Saddam».
Insomma, gli iracheni dovrebbero anche ringraziarlo. Un grazie per le bombe, per il numero sterminato di morti e di feriti, per le stragi come quella di Falluja, per aver avvelenato il suolo e l’acqua con l’uranio impoverito, per aver precipitato il paese in una spirale di odio (basti pensare ai muri che percorrono la città di Bagdad).
Davvero difficile essere più indecenti dell’ex inquilino del numero 10 di Downing Street.


L’arroganza di Blair è riassumibile in questa frase: «Sono cosciente della responsabilità storica, ma non provo alcun rimorso e lo rifarei ancora». E chi ne dubitava! Ma se il giudizio sull’uomo politico inglese non lascia spazio ad incertezze, sarà bene ricordarsi che costui non è un pensionato della politica, un ex cui tutto è permesso, alla Cossiga per intenderci.
Blair ricopre tuttora un importantissimo incarico, quello di «inviato per la pace nel Medio Oriente» su mandato di Onu, Unione Europea, Usa e Russia, il cosiddetto «Quartetto». Blair dunque è sempre in pista, e proprio nello stesso scenario mediorientale che lo ha visto attivo protagonista delle aggressioni all’Afghanistan ed all’Iraq. Ed è in pista a tal punto che tre mesi fa è andato vicino ad ottenere la presidenza europea. Le sue menzogne, la sua arroganza, non riguardano perciò soltanto il passato. Al contrario, il suo atteggiamento continua a parlarci in maniera emblematica dell’attuale politica europea.
Una politica sulla quale non mancano di interrogarsi anche alcuni settori, peraltro nettamente minoritari, delle classi dominanti. Leggiamo a questo proposito una parte assai significativa dell’editoriale di Sergio Romano, dal titolo «Il declino di un leader», apparso sul Corriere della Sera del 30 gennaio:

«... il giudizio politico non ha bisogno di scranni, parrucche e banco degli imputati, secondo le liturgie della giustizia britannica. La vera punizione, molto più grave di una semplice sentenza, è la fine di una brillante carriera.
Nel 2007, quando lasciò l’elegante casa georgiana di Downing Street, Blair mise in scena la propria partenza con l’abilità di un grande regista e iniziò da allora, con disinvoltura, due nuove carriere, abitualmente incompatibili. Sfruttò la fama conquistata negli anni precedenti per diventare conferenziere, guru di strategie mondiali, promotore di nobili cause, consigliere di un grande gruppo bancario, impresario di se stesso e della propria personale fortuna. Ma non rinunciò alla politica e trasferì le sue ambizioni dal campo nazionale a quello internazionale. Divenne inviato del Quartetto (l’organismo quadripartito incaricato di negoziare la soluzione della questione palestinese) e lasciò intendere che avrebbe accettato volentieri, dopo la ratifica del Trattato di Lisbona, la presidenza dell’Unione Europea. L’avrebbe ottenuta, forse, se gli impegni privati non fossero stati più numerosi delle sue visite a Gerusalemme e nei territori occupati, se il suo ruolo nella questione palestinese non fosse stato pressoché invisibile e se non avesse atteso qualche giorno, dopo lo scoppio della guerra di Gaza, prima di fare una frettolosa apparizione televisiva sui luoghi della crisi. È probabile che la sua deposizione di ieri, di fronte a una commissione d’inchiesta sulla guerra irachena, sia l’epilogo di una carriera costruita sull’immagine e sulla comunicazione piuttosto che sulla buona gestione della Cosa pubblica. I cantori della «terza via» dovranno fare qualche esame di coscienza. I sostenitori della guerra irachena dovranno leggere attentamente la deposizione di Blair e chiedersi se quel conflitto fosse davvero necessario.
E noi tutti dovremmo chiederci se la società moderna non sia destinata a essere vittima delle sue illusioni.
» 

Romano dà ormai per spacciato Blair. Può darsi che su questo abbia ragione, ma Romano avrebbe torto ad illudersi – ed infatti non lo fa, rifugiandosi non a caso in una riflessione sulle caratteristiche degli attuali leader del continente – sul fatto che il declino dell’ex premier inglese possa segnare una svolta nella politica europea.


Abbiamo già detto che Blair, davanti alla Commissione d’inchiesta, ha voluto parlare non solo del passato, bensì anche del presente, ed in particolare dell’Iran. Riprendiamo da la Repubblica del 30 gennaio:

«L'ex premier si è soffermato sulle minacce alla stabilità regionale che ora a suo avviso arrivano soprattutto dall'Iran e da realtà come Afghanistan, Yemen e Somalia dove ci sono "legami molto forti" tra le organizzazioni terroristiche e i Paesi che li ospitano. L'Iran del 2010, ha detto Blair, è più pericoloso dell'Iraq del 2003. Denunciando il pericolo posto dal programma nucleare di Teheran e dai legami di quel paese con gruppi terroristici, "la mia opinione è che non si possono correre rischi in questa vicenda", ha ammonito, lasciando intendere che ogni opzione dev'essere lasciata aperta. "Quando vedo questi legami con gruppi terroristici, direi che una gran parte della destabilizzazione nel Medio Oriente viene dall'Iran"

Per Blair, dunque, se fu giusto e necessario attaccare l’Iraq nel 2003, è oggi ancora più giusto e necessario prepararsi all’attacco nei confronti dell’Iran. Sproloqui di un leader alla frutta? Ne dubitiamo fortemente.


«Bugiardo e assassino», questo è stato il grido più ripetuto dai manifestanti (per la verità pochi) che lo hanno accolto a Westminster venerdì scorso.
Il fatto che un bugiardo e un assassino di tal fatta sia stato (e per molti lo è ancora) il simbolo del centrosinistra europeo, ci parla della natura di questo aggregato politico meglio di mille analisi su programmi e risoluzioni congressuali dei partiti che si riconoscono in questo raggruppamento.
Naturalmente l’arroganza verbale dell’ex leader di una ex potenza imperiale è ben diversa dal linguaggio dimesso e buonista dei leaderini della provincia italiana. Ma la sostanza?
«Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei», ecco un’utile bussola per giudicare gli amici nostrani dell’indecente Tony Blair.