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Esiste un consumo critico?

di Elisabeth Zoja - 01/02/2010

Il cosiddetto ‘consumo critico’ si sta espandendo, c’è chi sostiene che sia già diventato una moda. Con la sua crescita crescono dunque anche le critiche. Abbiamo quindi trovato un modo per rendere umano il mercato o stiamo convertendo la politica in shopping?

 

Logo di Fairtrade
‘Consumo critico’, ‘mercato equo e solidale’, ‘buycotting’. Esistono ormai vari modi per esprimere il fare politica con la spesa.
‘Consumo critico’, ‘mercato equo e solidale’, ‘buycotting’. Esistono ormai vari modi per esprimere il fare politica con la spesa. Si tratta però davvero di politica? Abbiamo trovato un modo per rendere umano il mercato o stiamo solo trasformando la politica in una forma di shopping?

 

Non ci si esprime più (solo) votando o manifestando, e neanche comprando carote biologiche e carta riciclata. Ormai esistono gli iPod che ‘combattono’ l’Aids, le scarpe di pelle tinta con materiale organico, i preservativi ‘fair-trade’ e addirittura le armi ‘verdi’ (le cui pallottole contengono poco piombo).

Le idee politiche non vengono più espresse alle urne ma alla cassa; il che sembra avere numerosi vantaggi. Innanzitutto l’acquisto di prodotti è un’attività svolta quasi tutti i giorni da ognuno di noi. È invece solo una piccola parte della popolazione quella che va a votare. Le compere vanno fatte in ogni caso, mentre leggere regolarmente il giornale e andare a votare richiede un ulteriore sforzo.

 

Urna elettorale
Le idee politiche non vengono più espresse alle urne ma alla cassa
Per essere un cittadino ‘equo e solidale’ basta invece spendere qualche euro in più. Gli americani sono pronti a farlo: una recente ricerca ha rivelato che il 62% della popolazione è pronta a spendere 25 dollari invece che 20 per una felpa ‘etica’. Mentre tre quarti degli americani sono disposti a spendere 50 centesimi in più per un caffè ‘fair-trade’.

 

Il consumo critico ha però ricevuto a sua volta delle critiche. Già un termine come ‘radical chic’, con cui viene spesso indicata, mostra che questa forma di impegno viene percepita come una moda. I critici più feroci sostengono che il ripiegamento nella vita privata del nostro millennio causi dei sensi di colpa i quali possono venir facilmente rimossi attraverso lo shopping solidale.

I critici più moderati sostengono invece che quel che deve cambiare non sono i prodotti, ma il nostro comportamento. La sola possibilità di esprimere le proprie idee politiche attraverso il consumo consiste nel ridurlo. Al posto del ‘consumo verde’ questi critici perorano una ‘rinuncia verde’: i biscotti biologici e solidali restano pur sempre biscotti, dei quali si potrebbe dunque fare a meno.

Un terzo gruppo di critici ribadisce che la filosofia del consumo critico contraddice una fondamentale legge del mercato: portare il maggior numero di prodotti al maggior numero di persone al minimo prezzo possibile.

Certo noi vogliamo pagare poco, ma anche a prezzo della qualità? E ci sarebbe anche un’altra domanda che non riguarda direttamente il nostro interesse personale: in che tasche vanno i nostri soldi e quali mani hanno lavorato i nostri prodotti?