Il "nostro" uomo all'Avana
di Lorenzo Moore - 05/02/2010
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Stendiamo un pietoso velo sui panegirici all’entità sionista espressi nella tre giorni appena conclusa dal Cavaliere e dalla sua delegazione governativa italiana alla corte di Netanhyau.
Vogliamo però tentare di comprendere meglio quanto accaduto alla luce delle linee di quella che dovrebbe essere la direttrice “geo-economica” - o geo-politica - italiana.
Partiamo da una premessa.
C’è chi, reputandosi un fine analista di politica internazionale, non ha avuto remore, in questi ultimi mesi, nel sottolineare come nella realtà il signor Silvio Berlusconi - a prescindere dalle sue manie di grandezza - sia un uomo politico inviso al “partito amerikano”.
Tale lettura della politica berlusconiana, più precisamente, si avvale sia di alcuni eventi, diciamo così, contro.corrente (amicizia con Putin, aperture all’energia russa, sia via Monfalcone, sia Southstream, contratti di coproduzione firmati a Mosca dalla Finmeccanica, e di coopoerazione italo-libica), e sia dell’elenco delle accuse anti-cavaliere lanciate dai più fedeli membri del partito amerikano in Italia, da Fini a Bindi, da Di Pietro a Casini, da De Magistris a Draghi o Montezemolo.
Come appare più che lapalissiano tali eventi e tale elenco non significano affatto, di certo, l’esistenza di una realpolitik berlusconiana “anti-amerikana” o, quantomeno, non totalmente pro-americana.
Se proprio si volesse rintracciare una qualche direttrice vera, profonda, della politica zigzagante offerta dall’attuale presidente del Consiglio, riteniamo più adeguato, al limite, immaginare che l’Italia di Berlusconi stia giocando con il resto del mondo una “politica dei due forni”... ma quale agente dell’Occidente.
Intanto c’è da eliminare le dichiarazioni di “primogenitura italiana” nelle relazioni amichevoli con la Russia. Se non erriamo, e non erriamo, il disgelo geo-economico dell’Europa occidentale verso Mosca data almeno dai tempi del salto della quaglia dell’ultimo cancelliere tedesco, Schroeder, diventato, a mandato concluso, il factotum della politica energetica russa verso l’ovest europeo. Riflessione ineccepibile: il Northstream ha proprio in Schroeder il padre putativo (il padre naturale è naturalmente Vladimir Putin). Il nuovo corso pro-moscovita di una parte dell’Europa, peraltro è stato sanzionato dall’assenso di una buona parte dei “27” dell’Ue, ultimo - ma non ultimo- partecipante lo stesso presidente francese Sarkozy. Gli unici ostacoli a migliori relazioni economiche e quindi politiche con Mosca, continuano a provenire da Paesi già satelliti dell’Urss e diventati di prima linea nelle alleanze, anche militari, con gli Usa. Polonia docet.
Ergo: è più probabile che il nuovo corso “cooperativo” tra le due Europe dell’est e dell’ovest sia frutto della politica egemonica del governo di Mosca piuttosto che delle pacche sulle spalle del Cavaliere.
E poi, diciamola tutta: Silvio Berlusconi può essere definito di tutto e di più, salvo che un amante dell’economia pubblica o dell’economia mista. E’ un capitalista liberaldemocratico. Al massimo pensa allo Stato come elargitore di denaro per i privati: l’Alitalia, la “liberalizzazione” (sic) dell’acqua o il Ponte di Messina dovrebbero significare qualcosa...
E sull’altro lato della tesi peregrina fatta propria dagli inventori di un Cavaliere anti-amerikano, c’è da restare quantomeno scettici.
Nessuno dei signori che si citano quali membri del partito amerikano che è ostile a Berlusconi - salvo, forse, Montezemolo - ha una statura di politico. Tantomeno di apprendista politico negli affari esteri. Tutti quei signori pensano soltanto ad arraffare il potere nella colonia-Italia e, al massimo, stendono tappeti a stelle e strisce al solo fine di ottenere, chissà, una qualche investitura d’oltreoceano.
In fin dei conti, la tesi di Berlusconi quale “agente all’Avana” per conto degli anglo-americani, è più solida. Ed è più consona al personaggio.
Il panegirico verso Israele, il rafforzamento “da battaglia” delle truppe in Afghanistan (per non parlare dell’Iraq e del Kosovo dove la colonia-Italia ha eseguito ancora più meticolosamente gli ordini di Washington), la cancellazione della collaborazione tradizionale economica tra Italia e Iran, non bastano a far capire da che parte sta il Cavaliere?
Strano. E assurdo allo stesso tempo.
E’ in atto la distruzione sistematica di una politica nazionale di amicizia e collaborazione tra l’Italia del dopoguerra e il suo Vicino Oriente. Si cancella con un tratto di penna ogni atto di autosufficienza nelle forniture di energia nel Mediterraneo - una politica iniziata con Mattei e Mossadeq, continuata con gli scambi economici paritari dell’Italia con Iran (l’Iip distributrice di energia iraniana in Europa, l’Eni a costruire le raffinerie a Bandar Abbas) o con l’Iraq, o con la Siria... e si celebra la sostituzione di tali linee di scambio privilegiate con quelle con la Russia.
No, “analisti” di geo-economia e geo-politica, non ci siamo. Al vostro mosaico manca qualche tassello.
Certo, meglio avere la sicurezza delle importazioni di gas e petrolio dalla Russia che non averle affatto e dover ricorrere al monopolio delle ex “Sette sorelle”. Ma sarebbe stato di certo più profittevole per l’Italia non recidere e mantenere - anche - i suoi legami mediterranei, non vi pare?
Vogliamo però tentare di comprendere meglio quanto accaduto alla luce delle linee di quella che dovrebbe essere la direttrice “geo-economica” - o geo-politica - italiana.
Partiamo da una premessa.
C’è chi, reputandosi un fine analista di politica internazionale, non ha avuto remore, in questi ultimi mesi, nel sottolineare come nella realtà il signor Silvio Berlusconi - a prescindere dalle sue manie di grandezza - sia un uomo politico inviso al “partito amerikano”.
Tale lettura della politica berlusconiana, più precisamente, si avvale sia di alcuni eventi, diciamo così, contro.corrente (amicizia con Putin, aperture all’energia russa, sia via Monfalcone, sia Southstream, contratti di coproduzione firmati a Mosca dalla Finmeccanica, e di coopoerazione italo-libica), e sia dell’elenco delle accuse anti-cavaliere lanciate dai più fedeli membri del partito amerikano in Italia, da Fini a Bindi, da Di Pietro a Casini, da De Magistris a Draghi o Montezemolo.
Come appare più che lapalissiano tali eventi e tale elenco non significano affatto, di certo, l’esistenza di una realpolitik berlusconiana “anti-amerikana” o, quantomeno, non totalmente pro-americana.
Se proprio si volesse rintracciare una qualche direttrice vera, profonda, della politica zigzagante offerta dall’attuale presidente del Consiglio, riteniamo più adeguato, al limite, immaginare che l’Italia di Berlusconi stia giocando con il resto del mondo una “politica dei due forni”... ma quale agente dell’Occidente.
Intanto c’è da eliminare le dichiarazioni di “primogenitura italiana” nelle relazioni amichevoli con la Russia. Se non erriamo, e non erriamo, il disgelo geo-economico dell’Europa occidentale verso Mosca data almeno dai tempi del salto della quaglia dell’ultimo cancelliere tedesco, Schroeder, diventato, a mandato concluso, il factotum della politica energetica russa verso l’ovest europeo. Riflessione ineccepibile: il Northstream ha proprio in Schroeder il padre putativo (il padre naturale è naturalmente Vladimir Putin). Il nuovo corso pro-moscovita di una parte dell’Europa, peraltro è stato sanzionato dall’assenso di una buona parte dei “27” dell’Ue, ultimo - ma non ultimo- partecipante lo stesso presidente francese Sarkozy. Gli unici ostacoli a migliori relazioni economiche e quindi politiche con Mosca, continuano a provenire da Paesi già satelliti dell’Urss e diventati di prima linea nelle alleanze, anche militari, con gli Usa. Polonia docet.
Ergo: è più probabile che il nuovo corso “cooperativo” tra le due Europe dell’est e dell’ovest sia frutto della politica egemonica del governo di Mosca piuttosto che delle pacche sulle spalle del Cavaliere.
E poi, diciamola tutta: Silvio Berlusconi può essere definito di tutto e di più, salvo che un amante dell’economia pubblica o dell’economia mista. E’ un capitalista liberaldemocratico. Al massimo pensa allo Stato come elargitore di denaro per i privati: l’Alitalia, la “liberalizzazione” (sic) dell’acqua o il Ponte di Messina dovrebbero significare qualcosa...
E sull’altro lato della tesi peregrina fatta propria dagli inventori di un Cavaliere anti-amerikano, c’è da restare quantomeno scettici.
Nessuno dei signori che si citano quali membri del partito amerikano che è ostile a Berlusconi - salvo, forse, Montezemolo - ha una statura di politico. Tantomeno di apprendista politico negli affari esteri. Tutti quei signori pensano soltanto ad arraffare il potere nella colonia-Italia e, al massimo, stendono tappeti a stelle e strisce al solo fine di ottenere, chissà, una qualche investitura d’oltreoceano.
In fin dei conti, la tesi di Berlusconi quale “agente all’Avana” per conto degli anglo-americani, è più solida. Ed è più consona al personaggio.
Il panegirico verso Israele, il rafforzamento “da battaglia” delle truppe in Afghanistan (per non parlare dell’Iraq e del Kosovo dove la colonia-Italia ha eseguito ancora più meticolosamente gli ordini di Washington), la cancellazione della collaborazione tradizionale economica tra Italia e Iran, non bastano a far capire da che parte sta il Cavaliere?
Strano. E assurdo allo stesso tempo.
E’ in atto la distruzione sistematica di una politica nazionale di amicizia e collaborazione tra l’Italia del dopoguerra e il suo Vicino Oriente. Si cancella con un tratto di penna ogni atto di autosufficienza nelle forniture di energia nel Mediterraneo - una politica iniziata con Mattei e Mossadeq, continuata con gli scambi economici paritari dell’Italia con Iran (l’Iip distributrice di energia iraniana in Europa, l’Eni a costruire le raffinerie a Bandar Abbas) o con l’Iraq, o con la Siria... e si celebra la sostituzione di tali linee di scambio privilegiate con quelle con la Russia.
No, “analisti” di geo-economia e geo-politica, non ci siamo. Al vostro mosaico manca qualche tassello.
Certo, meglio avere la sicurezza delle importazioni di gas e petrolio dalla Russia che non averle affatto e dover ricorrere al monopolio delle ex “Sette sorelle”. Ma sarebbe stato di certo più profittevole per l’Italia non recidere e mantenere - anche - i suoi legami mediterranei, non vi pare?


