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Iraq, A Baghdad, il sogno di unità del Paese è solo sui checkpoint

di Hamza Hendawi - 19/02/2010



BAGHDAD – Gli slogan esprimono il sogno di unità del Paese: "L’Iraq è per tutti". A rivelare la realtà tuttavia è il posto in cui sono attaccati e dipinti con lo spray: sulle centinaia di checkpoint che suddividono la capitale.

A tre settimane da un voto nazionale decisivo, Baghdad non appare molto diversa da com'era quando il Paese si trovava sull’orlo della guerra civile, nel 2006: divisa, in preda alla paura, e sezionata da muri di cemento anti-esplosione.

La campagna elettorale non sta facendo altro che alimentare le tensioni: migliaia di manifesti e striscioni in giro per la città stimolano risentimenti confessionali potenzialmente esplosivi, con gli sciiti che dipingono i sunniti come fedeli a Saddam Hussein o ad al-Qaida, e i sunniti che raffigurano gli sciiti come oppressori della loro comunità.

Le elezioni del 7 marzo per il rinnovo del Parlamento produrranno un governo che si accollerà il compito di guidare la nazione dopo che l’ultimo soldato americano se ne sarà andato, entro la fine del prossimo anno. Dovrà mantenere la sicurezza di fronte a una rivolta che va sempre più alzando il tiro, e negoziare un accordo duraturo per la condivisione del potere fra i principali gruppi del Paese: sciiti, sunniti, e kurdi.

Fallire in uno o in entrambi i compiti farebbe precipitare di nuovo il Paese nel caos e nell’anarchia degli anni passati, e riaccenderebbe il conflitto confessionale sanguinoso del 2006-2007 che lo aveva lacerato.

Nonostante il numero degli attacchi degli insorti sia diminuito in modo spettacolare, la Baghdad di oggi offre poche rassicurazioni per il futuro.

"Le cose stanno andando di male in peggio per quanto riguarda sicurezza e servizi, perché i funzionari si preoccupano delle elezioni e dei loro interessi", dice Ali Mohsen, un impiegato statale sciita che vive nella parte est.

Dall’altra parte della città, nel distretto sunnita di A’adhamiya, Salem Khatab Mohammed, uno studente universitario, si lamenta: "Non mi sento sicuro da nessuna parte a Baghdad, con esplosioni o sparatorie che potrebbero verificarsi in qualunque momento".

Dopo una serie di devastanti attentati che a partire da agosto hanno colpito obiettivi di alto profilo nel cuore di Baghdad, le autorità hanno aggiunto altri muri anti-esplosione e checkpoint alle migliaia già esistenti. Strade principali situate nei pressi di edifici governativi e altri potenziali obiettivi sono state chiuse.

Alcuni checkpoint hanno assunto una natura permanente, con aree in cui dormono i soldati costruite accanto. Uno di questi, a sud della zona da cui si entra a Kadhimiya, un distretto sciita in cui si trovano un santuario venerato e mercati di generi alimentari e oro molto frequentati, adesso ha un’area per la perquisizione dei veicoli grande quasi quanto una piscina olimpica.

Migliaia di soldati e poliziotti pattugliano le strade 24 ore su 24, in furgoncini pick up e fuoristrada.

Temendo per la propria incolumità, molti abitanti di Baghdad sono restii ad azzardarsi a uscire dai loro quartieri dopo che fa buio, e la maggior parte delle strade si svuota entro le 9 o le 10 di sera al più tardi.

Per molti aspetti, è un ritorno ai giorni bui del massacro confessionale, quando la maggior parte dei residenti usciva di casa solo in caso di assoluta necessità, temendo gli squadroni della morte e i miliziani che prendevano di mira le persone a seconda della confessione religiosa.

Fino a oggi, interi quartieri che un tempo erano zone a rischio di esplosioni di violenza rimangono recintati da muri anti-esplosione alti quasi due metri, accessibili per lo più attraverso un solo ingresso controllato dalle forze di sicurezza. Per entrare, i conducenti delle auto sopportano tortuosamente lunghe attese, e in alcuni casi devono mostrare i documenti di identità.

Attorno alla moschea dell’Imam Abu Hanifa, nella zona nord di Baghdad, il sito più sacro per i sunniti iracheni, recentemente sono stati collocati muri anti-esplosione su cui sono scritti versetti del Corano. "Abbiate fede: solo ciò che Dio ha voluto per noi ci farà del male", dice uno dei versetti, in modo significativo.

"Quanto ancora di questa tragedia dobbiamo sopportare?", si lamenta Saleh Omran, un pensionato sunnita del distretto di al Mansour. "Abbiamo perso la nostra umanità", dice, e ammette che dopo che fa buio sta alla larga dalle zone sciite.

Ironicamente, sono i checkpoint – fra i simboli più potenti di Baghdad dall’invasione Usa del 2003 – a offrire una visione di un Paese unito, libero dalla corruzione e dal settarismo confessionale. Gli slogan messi su da soldati e poliziotti proclamano: "Fedeltà solo alla patria e al popolo", oppure: "Nessun favoritismo a spese del dovere".

In contrasto, il messaggio che arriva dai manifesti elettorali provoca divisione, e, in alcuni casi, equivale a un incitamento. Ciascuna delle parti – gli sciiti che ora dominano il governo assieme ai kurdi, e la minoranza sunnita – si descrive come oppressa dall’altra.

"Oh, Hussein, arriviamo in tuo aiuto", dichiarano i manifesti affissi dal candidato sciita Ibrahim al-Ja’afari, un ex Primo Ministro. Il riferimento è all’Imam Hussein, una figura venerata dagli sciiti, che subì il martirio nel VII secolo, in una battaglia che consolidò la scissione fra sunniti e sciiti.

Un altro dei manifesti di Ja’afari ammonisce: "Non c’è posto per il Ba’ath": un riferimento ai membri dell’ex partito di governo di Saddam Hussein. Gli sciiti spesso avvertono che il Ba’ath sta complottando per tornare al potere, mentre i sunniti accusano gli sciiti di sfruttare queste paure per tenerli fuori da qualsiasi ruolo politico.

Altri manifesti mostrano un candidato del blocco del Primo Ministro Nuri al-Maliki che punta il dito in modo minaccioso, ammonendo: "Chi vuole vedere umiliati i tiranni deve votare per il giudice Mahmoud Saleh al-Hassan" .

A oltre 440 candidati, per la maggior parte sunniti, fra i quali l’influente politico Saleh al-Mutlaq, è stato vietato di presentarsi alle elezioni da un organo di controllo guidato dagli sciiti, per sospetti legami con il partito Ba’ath. L’aspra disputa che ne è derivata ha avvelenato i rapporti fra sciiti e sunniti, sollevando interrogativi riguardo alla credibilità del voto.

Mutlaq, in una frecciata sottile diretta ai rivali sciiti, due giorni fa scherzava che i manifesti elettorali dei "ladri" erano più di quelli degli "uomini onesti". Più tardi, nella stessa giornata, il portavoce governativo Ali al-Dabbagh, che si presenta anche lui alle elezioni, ha lanciato a sua volta commenti aggressivi verso i politici sunniti, dicendo a una manifestazione elettorale che alcuni deputati del Parlamento uscente lavorano per al-Qaida.

Ad aumentare la tensione, questa settimana centinaia di sunniti infuriati sono scesi in piazza a Baghdad e nella città di Falluja per protesta, dopo che un influente parlamentare sciita, Bahaa al-Aaraji, aveva fatto commenti ritenuti offensivi verso un compagno del Profeta Maometto che i sunniti venerano ma è diffamato dagli sciiti estremisti.

I manifesti elettorali dei partiti sciiti e sunniti si trovano solo nei quartieri in cui domina l’una o l’altra confessione: un’indicazione del fatto che gli iracheni restano legati a un modello di voto confessionale.

Nei manifesti dei candidati sunniti l’asprezza non è minore.

"Non perdonerò coloro che vi hanno oppresso", promette Mahmoud al-Mashhadani, un ex presidente del Parlamento: uno slogan che i suoi sostenitori sunniti capiranno facilmente che si riferisce agli sciiti.

Associated Press

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

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