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Turchia:"laicità" e massoneria militare kemalista

di Gian Micalessin - 24/02/2010

 
 
La verità più sorprendente per una Turchia palcoscenico di quattro golpe militari in 50 anni sono quei 40 militari, tra cui alti generali, in prigione. La verità più nascosta è il «cui prodest». Resta cioè da capire se quella retata di militari sia veramente una brillante operazione, scattata appena in tempo per evitare un golpe ai danni degli islamici moderati del premier Recep Tayyip Erdogane e del suo «Partito per la giustizia e lo sviluppo». Anche se le malelingue potrebbero intravedere una montatura del governo per ridimensionare il potere dei «pasha», la potente casta dei generali sospettati di muovere le leve dei poteri forti. Per entrambe le ipotesi c’è del marcio da vendere. Un marcio profondo oltre trent’anni. Ieri è arrivata la notizia, confermata senza commenti dal premier Erdogan, dell’arresto di oltre 40 leader militari (49 per la Cnn turca) come l’ex vice capo di Stato maggiore Ergin Saygun, l’ex capo della Marina ammiraglio Ozden Orne, l’ex comandante dell’aviazione, Ibrahim Firtina. Quel plotone di ammiragli e generali è accusato di aver ordito il piano Balyoz (Martello) un complotto che prevedeva la distruzione di due moschee a colpi d’esplosivo e una congiura per garantire l’abbattimento di un Boeing di linea da parte di caccia greci. Il tutto per gridare alla debolezza del governo Erdogan e giustificare un provvidenziale «pronunciamento» armato.
Ad aggiungere mistero e confusione al complotto s’aggiunge l’ombra di Ergenekon, un’oscura organizzazione segreta rappresentata come una via di mezzo tra una potente massoneria di stampo secolar-kemalista e una sanguinaria Gladio in salsa anatolica. Lo spunto per il ritorno di Ergenekon lo offre l’arresto di Ozden Ornek, l’ex capo della Marina militare autore di alcuni controversi diari in cui si tratteggiavano le trame di questa massoneria con le stellette ultima spregiudicata garante delle idee secolariste del padre della patria Mustafa Kemal Ataturk. Quei diari recuperati e pubblicati nel 2007 da un settimanale ricostruivano le azioni di tre organizzazioni che agendo l’ una all’insaputa delle altre contribuivano, inconsapevolmente, a realizzare un unico elaborato colpo di stato messo in piedi dai misteriosi capi di Ergenekon. Quell’organizzazione, chiamata come l’inaccessibile valle dove secondo la mitologia ultra nazionalista una lupa allevò il bimbo fondatore della stirpe turca, avrebbe nel corso dei decenni programmato i vari colpi di stato, gestito l’eliminazione fisica di centinaia di oppositori, organizzato i gruppi paramilitari utilizzati per sterminare i capi curdi. Oggi il suo unico fine sarebbe denigrare il governo di Erdogan, indebolirlo e sottometterlo al potere dei vecchi generali. Il problema delle varie indagini su Ergenekon è la loro eterea fumosità. Nel tentativo di farne l’epicentro di ogni complotto magistrati, giornalisti e intellettuali hanno finito con il trasformarla nell’equivalente della nostrana P2, un fantasma onnipresente, ma difficilmente contenibile in un atto d’accusa.
Il primo atto fu scritto nel 2008. Allora un’inchiesta della procura di Istanbul attribuì a Ergenekon i piani di un gruppo di militari, mafiosi e avvocati ultranazionalisti sospettati di preparare l’eliminazione dello scrittore premio Nobel Orhan Pamuk e di aver organizzato in precedenza gli omicidi eccellenti del giudice Özbilgin e del giornalista Hrant Dink. A detta degli inquirenti le bombe a mano trovate nelle abitazioni di tre generali arrestati all’epoca appartenevano allo stesso lotto utilizzato per alcuni attentati attribuiti all’estremismo islamico. I finti attentati falsamente attribuiti a discepoli fuori controllo di Erdogan sarebbero serviti per innescare una serie di manifestazioni in difesa della laicità, che puntavano in verità a rovesciare il governo Erdogan.
Il rischio della nuova inchiesta su Ergenekon aperta come due anni fa dal clamoroso arresto di generali e ammiragli è quello di rivelarsi ancora una volta troppo intricata per essere provata. Non a caso quando, qualche mese fa, erano uscite le prime indiscrezioni sul piano Martello culminate negli arresti di ieri il potente capo dell’esercito, generale Ilker Basbug, aveva subito sparato a zero contro la campagna psicologica studiata per «calunniare le forze armate» e innescare un «possibile confronto tra istituzioni».