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Il menestrello del rock

di Marco Iacona - 24/02/2010

 

Allen Ginsberg uno dei padri della Beat Generation lo paragonò al grande poeta Walt Whitman (e Ginsberg pensava che l’autore del celebre verso “O capitano! Mio capitano!” fosse il papà ottocentesco della generazione Beat), d’altra parte lui la scrittura beat – Kerouac, Burroughs e lo stesso Ginsberg – l’ha sempre amata perché il suo stile rimanda a un modo di comunicare del tutto spontaneo nel quale ritmo e parola sono spesso una sola cosa.
Parliamo di Bob Dylan, del grande Bob (settant’anni l’anno prossimo!), che non ha mai smesso il suo impegno da menestrello di un Occidente in guerra con se stesso e le altre parti del globo; cantando i diritti civili, la partecipazione e la pace. La notizia è stata ripesa da alcuni quotidiani: il 10 febbraio Dylan è atteso alla Casa Bianca dai coniugi Obama per il giorno del ricordo della comunità nera. E con lui artisti di fama internazionale fra cui Natalie Cole (figlia del grande Nat King), John Legend, John Mellencamp e Seal (musicista sposato alla nota modella tedesca Heidi Klum). A condurre la serata sarà invece una coppia di colore formata da Morgan Freeman attore assai noto (e molto bravo), premio Oscar nel 2005 per Million dollar baby diretto e interpretato da Clint Eastwood (suo grande amico), e che da ultimo ha vestito i panni di Nelson Mandela in un recentissimo film sempre di Eastwood (Invictus) in uscita in Italia a metà febbraio; e da Queen Latifah attrice (Chicago con Richard Gere) e cantante di genere rap.
Sembra naturale comunque che gli occhi degli spettatori siano puntati addosso a Dylan che a differenza di altri invitati della serata stelle-e-strisce, non frequenta le stanze presidenziali o giù di lì dai tempi di Bill Clinton e precisamente dal 1992 anno della prima elezione a presidente del marito di Hillary Rodham Clinton, attuale segretario di stato americano dell’amministrazione Obama. In quell’occasione Dylan intonò Chimes of Freedom, una canzone-poesia del 1964 – un vero inno visionario alla libertà, alla Arthur Rimbaud – contenuta nel suo album della svolta Another side of Bob Dylan. È nota peraltro ai dylaniani di ferro, la circostanza che il cantautore si fosse schierato dalla parte di Obama (giugno 2008), con una dichiarazione per lui inconsueta a favore dell’allora candidato afroamericano («Ho la speranza finalmente che le cose possano cambiare», aveva detto), salvo poi ammorbidire i toni qualche mese dopo a presidente eletto: «Molti di questi uomini», ha poi dichiarato, «diventano presidenti con le migliori intenzioni… e lasciano la Casa Bianca da sconfitti. Volano troppo vicino la sole e finiscono per bruciarsi». Insomma com’era prevedibile la vecchia vena protestataria di Bob – da sempre “tifoso” di un’altra America – aveva avuto la meglio sull’indubbio fascino del giovane primo presidente nero della storia americana.
D’altra parte da nobile rappresentate dell’altra America, quella protestataria, quella descritta e vissuta da Kerouac & co., Dylan è riuscito a far di se stesso un’icona del Novecento (ecco perché i suoi tour e i suoi annunci sono sempre sulla bocca di tutti), una pedina fondamentale – pressoché amato in ogni dove – della cultura pop e della musica americana. È un’artista a tutto tondo ed è in assoluto il musicista più importante dopo i Beatles, ma è anche pittore, anche intrattenitore radiofonico, anche attore, scrittore e poeta (candidato a un Nobel che in molti, in verità attendono) e adesso perfino fumetto. Sì perché anche l’arte della “graphic novel” ha incontrato la chitarra e l’armonica a bocca di Bob immortalandole in una serie di coloratissime composizioni da guardare e riguardare, ascoltando le oramai mitiche Hurrucane o The times they are a-changing’, tanto per citare due celebri testi del Nostro. Seguendo un progetto francese di due anni fa, Arcana editrice ha infatti appena pubblicato il volume “Bob Dylan Revisited”, nel quale tredici canzoni dylaniane hanno ispirato tredici maestri della matita e dell’inchiostro. Dylan come un eroe dunque, smilzo e un po’ imbronciato, la copertina è di Milo Manara, all’interno del libro c’è anche la firma italiana di Lorenzo Mattotti che ha ideato le tavole dedicate a A hard rain’s a-gonna fall.
Un artista nato Bob Dylan che non può dunque che ispirare arte e fornire ispirazione a chi lo ascolta fin dagli anni Sessanta; essendo stato scelto come leader carismatico e referente culturale da più generazioni a cominciare proprio da quella che volente o nolente il mondo lo avrebbe cambiato davvero. E il suo successo sarebbe stato per così dire totale e trasversale insieme. Tanto per dirne qualcuna il nostro menestrello di Duluth ha vinto Grammy Award e Golden Globe, ha ricevuto prestigiosissimi riconoscimenti nella vecchia Europa, è laureato ad honorem in musica e ha vinto il Pulitzer alla carriera nel 2008. Per catturarne l’individualità mutevole e i gusti in perenne movimento, sono stati utilizzati ben sei attori (fra cui anche Heath Ledger), in un film di Todd Haynes del 2007 premiato a Venezia (Io non sono qui). Insomma pare che il Time abbia proprio visto giusto nominando Bob Dylan una delle personalità più importanti del XX secolo.
Nato come Robert Allen Zimmerman (il suo nome d’arte si deve in parte al poeta Dylan Thomas), di famiglia ebrea, molto presto il nostro s’interessa ai ritmi del rock and roll; il suo animo predisposto alla profondità delle azioni umane, alla ricerca a un tempo del reale e del soprannaturale lo guidano però verso la musica e i testi folk. C’è una bellissima dichiarazione dylaniana estrapolabile dalla sua biografia su Wikipedia, l’enciclopedia libera del web, tratta a sua volta dalle note biografiche della raccolta Biograph che rende l’idea circa la portata delle scelte dell’artista, non limitabili – nella loro sostanza – ai soli primi anni di vita: «La questione principale a proposito del rock’n’roll, per me, era che comunque non era sufficiente. Tutti frutti e Blue suede shoes avevano frasi di grande effetto e di grande presa, nonché un ritmo trascinante ed una energia travolgente, però non erano cose serie, e non riflettevano per niente la realtà della vita. Sapevo bene, quando mi sono dedicato alla musica folk, che si trattava di una cosa molto più seria. Le canzoni folk sono colme di disperazione, di tristezza, di trionfo, di fede nel sovrannaturale, tutti sentimenti molto più profondi … c’è più vita reale in una sola frase di queste canzoni di quanta ce ne fosse in tutti i temi del rock’n’roll. Io avevo bisogno di quella musica». Woody Guthrie (papà putativo di molti cantanti di protesta), e Joan Baez che era famosa già prima di Bob Dylan furono due artisti molto importanti per la sua carriera, così come importanti furono quei musicisti pop che ne interpretarono le composizioni dotandole di accenti meno impegnati. Sovente a metà strada fra il passaggio sofisticato e il tema pop Bob ha dunque traversato numerose stagioni fino alla cosiddetta rinascita degli anni Novanta. L’impegno è infatti  duro a sostenersi e almeno dal ‘64 per la troppa pressione politica esercitata dal basso dei movimenti di protesta, Dylan virerà verso tematiche meno legate all’attualità; da un punto di vista musicale il suo folk si diluirà nei suoni rock e di altri sound allo stato nascente, ciò condurrà la maggior parte dei suoi fans a protestare energicamente per non dire fisicamente… Quella dei fans ossessivi – e dei cosiddetti puristi - è infatti uno dei tanti capitoli di questo infaticabile uomo del Novecento, se ne contano a migliaia molti dei quali operanti a più riprese su Internet. Fra i nomi noti si possono tuttavia citare lo stesso Bruce Springsteen (che lo adora al punto da affiancarlo a Elvis Presley), Paul Simon, David Gilmour (Pink Floyd) e Patty Smith. Molti giovani a destra hanno amato Bob Dylan come incarnazione di uno spirito ribelle mai consumatosi, senza fine, originale fino quasi alla stravaganza.     
Ovviamente c’è spazio anche per Gesù Cristo nella lunga vita artistica di Bob, alla fine degli anni Settanta (ancora fra lo “sconcerto” di molti dei suoi fans), il nostro artista sposa la religione cristiana pur non abbandonando del tutto certe ritualità ebraiche. La sua è una religiosità colma di riferimenti simbolici alla Bibbia è ed anch’essa una faccia della sua carriera di cantautore. È nella musica e nelle parole la fonte della religiosità dylaniana. Punto. Una ricerca continua anche musicale (dal rap al jazz) che condurrà Dylan – dopo essersi esibito con una quantità enorme di artisti – ad intraprendere un viaggio praticamente senza fine (il cosiddetto “never ending tour” dal giugno del 1988), con una minuscola band. La voglia di offrire musica e poesia a chi ha ancora voglia del suo genio non è mai mancata. E in futuro non mancherà di certo, noi che lo sosteniamo lo sappiamo bene, ed anche la famiglia Obama.