A Gerusalemme est altri 600 appartamenti. Saeb Erekat: chiara volontà colonizzatrice
di Umberto De Giovannangeli - 27/02/2010
Una decisione «provocatoria», «inutile», che rischia di creare ulteriori motivi di contrasto e rendere ancor più problematico il rilancio del processo di pace. L’amministrazione Usa prende posizione sul piano varato dal governo israeliano che contempla l’inserimento della Tomba dei Patriarchi di Hebron e la Tomba di Rachele a Betlemme aree sotto amministrazione palestinese tra i 150 siti che il premier Benjamin Netanyahu ha classificato come patrimonio storico nazionale, scatenando al protesta palestinese. Una mossa provocatoria, l’ha definita il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Mark Toner. «In un momento in cui gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla ripresa del negoziato di tutti c’è bisogno tranne di atti che rischiano di moltiplicare gli ostacoli al dialogo», spiega Toner.
BATTAGLIA D’IDENTITÀ
La decisione israeliana sui luoghi santi è stata criticata come un passo in più verso l’usurpazione del territorio dell’Anp e come un ulteriore ostacolo al processo di pace dalla leadership palestinese. Critiche «disoneste» per Netanyahu, ma rafforzate da proteste formali di Giordania, Egitto, Turchia e Siria. Non più solo confisca di terre; ora Israele prova anche a «espropriare» i palestinesi della loro storia, dell’identità nazionale. È la considerazione di Suad Amiry. Scrittrice di successo (tra i suoi libri editi da Feltrinelli Sharon e mia suocera, Se questa è vita, Niente sesso in città, Murad Murad), architetta, Suad Amiry è fondatrice e direttrice del Riwaq Centre for Architectural Conservation a Ramallah. La battaglia di Suad riguarda la preservazione dell’identità e dell’architettura con il restauro del patrimonio culturale palestinese. Tra i progetti del Riwaq Center, c’è anche il restauro di edifici storici in 50 villaggi palestinesi, per 5 dei quali propone il gemellaggio con alcune città italiane. «L’arroganza israeliana non conosce limiti riflette Amiry la mentalità colonizzatrice non contempla il rispetto per l’identità dell’altro, in questo caso i palestinesi». Da Roma, l’8 febbraio scorso, Suad Amiry ha lanciato la sua “intifada” costruttiva: «In un Paese in via di sviluppo come la Palestina rimarca la scrittrice-architetta la conservazione dei beni culturali non può avere solo un valore storico, ma deve servire anche a creare lavoro: così è nato il progetto Job creation through conservation». Una conservazione che vuol dire difesa di un patrimonio storico e, al tempo stesso, un investimento sul futuro: «Stiamo cercando di fare una campagna spiega Amiry sul valore di questi edifici per la storia e l’identità del popolo palestinese, l’importanza di conservarli...».
«Si tratta di trovare soluzioni è la sfida di Suad che attirino le giovani famiglie, i bambini e gli studenti nei centri storici, affinché non siano monumenti disabitati del passato ma spazi del presente a disposizione della collettività. A maggior ragione se si considera che finché durerà l’occupazione israeliana solo pochissime località palestinesi saranno raggiungibili dai turisti. Dobbiamo creare più posti di lavoro e tutelare la qualità della vita di chi già vive l’isolamento e la difficoltà di muoversi, di lavorare e di produrre e incoraggiare anche con la bellezza dei nostri villaggi chi sceglie di non emigrare».
Suad Amiry incarna una Palestina orgogliosa, fattiva, che rivendica la propria identità nazionale. Una risposta forte, positiva, a chi ha deciso di espropriare un popolo dei Luoghi della memoria.
LA GRANDE GERUSALEMME
Si allontana l’ipotesi di ripresa dei negoziati israelo-palestinesi. Le autorità israeliane stanno per approvare un piano edilizio per la costruzione di altri 600 alloggi a Gerusalemme Est. Il presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha ripetutamente chiesto il congelamento degli insediamenti )per far ripartire i colloqui ma Israele si è limitato ad offrire una moratoria di 10 mesi, escludendo Gerusalemme. «Ogni atto del governo Netanyahu è il portato di una volontà di rottura, di una logica unilateralista che tende a svuotare di ogni significato concreto un ipotetico negoziato», dice a l’Unità Saeb Erekat, principale consigliere politico di Abu Mazen: «Così parlare di ripresa delle trattative è un non senso. Una cosa è certa: senza pressioni internazionali Israele non cambierà mai la sua politica colonizzatrice».

