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La guerra degli appalti

di Christian Elia - 20/04/2006

La condanna di un uomo d’affari statunitense scoperchia il sistema degli appalti in Iraq

Questa mattina, dopo uno lungo stallo politico, il premier iracheno Ibrahim al Jaafari ha rimesso il suo mandato nelle mani dell'Alleanza Irachena Unita. Sarà dunque la coalizione sciita, che ha conquistato 128 seggi su 275 nelle elezioni parlamentari del 15 dicembre, a decidere se sarà ancora al Jaafari a guidare il futuro governo. Lo ha annunciato lo stesso Primo Ministro in un comunicato. In quattro mesi Jaafari non era riuscito a formare il nuovo governo a causa dell’opposizione di curdi e sunniti, da tempo contrari alla sua candidatura. Recentemente la candidatura di Jaafari è stata osteggiata anche da parte della classe politica sciita e dai vertici dell’amministrazione Usa.
Red. 
 
Dopo tre anni dall’invasione dell’Iraq da parte delle forze della Coalizione, il bilancio dell’operazione Iraqi Freedom è disastroso. Il numero delle vittime civili e quello dei militari rimasti uccisi in Mesopotamia continuano a crescere, mentre non si riesce a formare il governo iracheno dopo le elezioni del dicembre scorso. Il Paese è sull’orlo di una guerra civile mentre agli iracheni manca tutto. Ma per qualcuno la guerra è stata un buon affare.
 
un manifesto della campagna per la raccolta fondi per la ricostruzione in iraqUn imprenditore arrembante. Philip Bloom, per esempio, è uno di quei manager spregiudicati che, dal primo momento, ha fiutato come il conflitto in Iraq potesse rivelarsi un buon affare. Una corte federale statunitense lo ha condannato, nel febbraio scorso, a 40 anni di prigione e a pagare risarcimenti al governo Usa per 8 milioni di dollari, ma solo ieri sulla stampa statunitense sono trapelate alcune indiscrezioni che hanno permesso di ricostruire la rete criminale che ruotava attorno a Bloom. Il procedimento a suo carico è nato dal rapporto conclusivo dell’inchiesta condotta da James Mitchell, portavoce dell’Ispettorato generale Usa per la ricostruzione postbellica in Iraq. Il documento di 42 pagine rende un’idea del sistema criminale che è fiorito attorno all’invasione irachena. La compagnia di Bloom, la Gbg Holdings, ha vinto due appalti in Iraq: uno per la ricostruzione di una biblioteca pubblica a Karbala e uno per la ristrutturazione di una scuola di polizia a Hillah, entrambe città dell’Iraq meridionale. Il valore complessivo dell’appalto è stato stimato in 8,6 milioni di dollari. Il report dimostra però come, per ottenerlo, Bloom ha investito circa 2 milioni di dollari in tangenti di vario tipo. Il documento racconta di mazzette in denaro, biglietti aerei, gioielli, macchine, fino ad arrivare a festini a base di alcool e sesso per i funzionari corrotti nella villa a Baghdad che Bloom aveva acquistato. La rete con la quale Bloom si aggiudicava gli appalti aveva come interlocutore privilegiato Robert J. Stein, un funzionario Usa della Coalition Provisional Authority, l’autorità civile guidata dall’ex diplomatico Usa Paul Bremer III, che ha governato l’Iraq dal momento dell’invasione, ad aprile 2003,  fino a gennaio 2005. Assieme a lui sono stati condannati Debra Harrison e Michael Brian Wheeler, due colonnelli riservisti dell’esercito Usa, e due altri funzionari civili dell’Authority. Le accuse sono uguali ed eloquenti: corruzione, frode, riciclaggio e aver accettato denaro per favorire la compagnia di Bloom nell'ottenere contratti con il governo iracheno.
Inoltre non si può dire neanche che la corruzione con la quale Bloom ha ottenuto gli appalti incriminati sia stata una sorpresa. L’uomo d’affari infatti era già noto alle autorità statunitensi come truffatore e, negli ultimi anni, si era dovuto rifugiare in Romania per non essere arrestato.
 
Un sistema distorto. Ma la storia di Bloom è solo la punta di un iceberg immenso. Il report di Mitchell ha analizzato 907 appalti di ingente valore finanziario e 1.200 contratti minori per la ricostruzione irachena. Il risultato è preoccupante. Nella maggioranza dei casi, il documento denuncia l’impossibilità di effettuare verifiche approfondite per la totale mancanza di documentazione delle transazioni finanziarie. Questa permetterebbe di fare chiarezza sulla trafile degli appalti, in particolare per i tanti, troppi contratti ottenuti da aziende che hanno presentato un preventivo di spesa ingente, lontano dal reale valore del lavoro svolto. Anche questo però non è una novità. Un rapporto in questo senso era stato pubblicato a marzo del 2005 da Trasparency International, un’organizzazione non governativa che monitora la situazione economica e i legami con la criminalità organizzata e la corruzione dei funzionari pubblici nei vari paesi del mondo. Il rapporto di Ti del 2005 era focalizzato sull’Iraq e parlava già un anno fa del sistema degli appalti per la ricostruzione in Iraq come del “più grande scandalo finanziario della storia”. Il documento sottolineava come la corruzione fiorisca nelle situazioni di anarchia e l’Iraq in questo senso è il perfetto terreno di sviluppo di tutti i traffici possibili e immaginabili. Secondo la Ti, troppi erano (e sono) gli appalti poco chiari, affidati ad aziende per preventivi gonfiati e, in particolare, denunciava la procedura accelerata di privatizzazione delle aziende statali irachene. Il documento sottolineava, accusando direttamente il club dei paesi donatori per la ricostruzione in Iraq e il Fondo Monetario Internazionale, come il patrimonio del regime sia stato svenduto ad aziende vicine all’amministrazione Bush e di come in particolare le infrastrutture irachene non siano state protette adeguatamente, depauperando il patrimonio dell’Iraq.
 
Un sacco organizzato. Il saccheggio organizzato delle ricchezze irachene non è avvenuto neanche di nascosto. A Londra, nel 2004, è stata organizzata una conferenza per le aziende interessate a quella che, come pubblicizzavano gli stessi organizzatori, era “un’opportunità esclusiva per le compagnie internazionali per incontrare i principali uomini d’affari iracheni e gli uomini che ricostruiranno l’Iraq del futuro”. Il giro d’affari, ipotizzato dagli analisti finanziari nella cifra iperbolica di 100 miliardi di dollari, attirò circa 300 tra le maggiori multinazionali del mondo, comprese la ChevronTexaco, la Shell e la ExxonMobil. Fuori dall’albergo dove si teneva la conferenza, imperversavano i manifestanti pacifisti che insultavano i manager che, in tutta fretta, entravano nella hall. Ma alla fine la riunione ha dato i suoi frutti. Un’altra denuncia era arrivata dall’economista Paul Krugman che, in un articolo pubblicato dal New York Times, denunciava già nel 2004 le conseguenze disastrose della politica dell’amministrazione Bush di agevolare, nella gara per gli appalti della ricostruzione, le aziende 'amiche'. Un saccheggio organizzato insomma, ma che ogni guerra porta con sé. La speranza era che, una volta ottenuti gli appalti con la corruzione, le aziende vincitrici fornissero un buon lavoro. Non è andata così al General Hospital di Hillah, dove a gennaio scorso, subito dopo la fine dei lavori di ristrutturazione compiuti da una azienda Usa, un ascensore è precipitato uccidendo tre persone.