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Da Budapest a Kabul: la pace secondo Napolitano

di Antonio Serena - 02/03/2010

Fonte: liberaopinione.net


Il presidente della repubblica Giorgio Napolitano  ha ribadito per l’ennesima volta che è necessario che i soldati italiani rimangano  in Afghanistan sottolineando la “necessità di un impegno risoluto e di un ulteriore concreto sforzo comune per sconfiggere il terrorismo e restituire al popolo afghano la speranza di un futuro migliore”. Più o meno quanto affermato in precedenza dal generale americano Stanley Mc Christal annunciando la nuova strategia Nato: “clear, hold, build”, cioè pulire il territorio, tenerlo in pugno e ricostruire, non certo gratis.

Di li a qualche giorno i primi  risultati di quel programma erano sotto gli occhi di tutti: massacro di quattordici  membri di una stessa famiglia il 14 febbraio, altri ventisette civili  uccisi per errore qualche giorno dopo. Nel frattempo, in un’altra regione del martoriato Paese, i missili americani centravano, sempre per errore,  un convoglio di militari loro alleati uccidendone altri sette. Il tutto per contribuire a “proteggere la popolazione” dai talebani, dipinti in Occidente come “bestie feroci”e che invece sono ragazzi che sognano di poter tornare  padroni a casa loro dopo anni di invasioni di tutti i tipi e che dalla popolazione sono difesi e protetti tanto da diventare – ieri come oggi – imbattibili.

Contro queste “bestie feroci” il nostro Paese, tramite le Forze Armate S.p.A. di Larussa e con il consenso bipartisan del Parlamento (l’altra S.p.A. dei “nemici per gioco”), in barba alla crisi, ha recentemente stanziato, per i soli primi sei mesi del 2010, 308 milioni di euro con la promessa di altri stanziamenti dopo giugno unitamente all’invio di altri mille soldati. ” Per combattere il terrorismo”, cioè quella variabile storica per cui nel 1945 chi metteva le bombe nei cestini della spazzatura e scappava facendo pagare il conto agli innocenti veniva insignito di medaglia d’oro e chi oggi  si fa esplodere tra la gente non avendo altri mezzi per difendersi dagli invasori è invece un criminale senza attenuanti. Alla stessa stregua per cui le invasioni dell’esercito nazista erano e sono da considerarsi unicamente delle “aggressioni”, mentre le guerre coloniali e le aggressioni americane sono sempre “operazioni di peacekeeping” ed “interventi umanitari” contro le “canaglie” di turno che fino a  ieri erano magari amici ed alleati (Saddam Hussein).

In quanto ad opportunismo i nostri governanti, si sa, sono maestri. Senza andar troppo indietro con la storia, basti ricordare che ai vertici delle nostre istituzioni siedono oggi – vent’anni dopo Tangentopoli – vittime e carnefici della “rivoluzione di Mani Pulite”. Tutti assieme, d’amore e d’accordo: fascisti rinnegati, comunisti pentiti, democristiani e socialisti  pluricondannati. Più distaccato e super partes dovrebbe essere invece il ruolo del presidente della repubblica. Ma come si fa in questo paese e con questo clima?

L’8 febbraio di quest’anno moriva Antonio Giolitti, partigiano e padre costituente di questa repubblica, e alla famiglia è giunto immediato il messaggio di Giorgio Napolitano che ne ha ricordato la “levatura culturale e morale”, la grande “coerenza”e la “schietta amicizia”. E coerente Giolitti lo fu veramente, tant’è che, nel 1956, nei giorni dell’invasione sovietica dell’Ungheria, abbandonò il Partito comunista italiano per aderire al Partito socialista. In quanto alla  “schietta amicizia” tra Giolitti e Napolitano, se vi fu,  non si sviluppò di certo ai tempi della rivolta ungherese, quando il futuro presidente della repubblica si scagliò contro Antonio Giolitti accusandolo di “doppiezza” e giustificando il sanguinoso intervento sovietico che “fermò l’aggressione imperialista […]evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni” ed “impedì che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione[…], contribuendo in misura decisiva  a salvare la pace nel mondo”. Una posizione che i veterani della rivoluzione non hanno ancora dimenticato, tant’è che, nel cinquantesimo anniversario, si sono opposti in ogni modo alla presenza  del nostro presidente a Budapest.

Ma, aldilà di doppiezze e pentimenti, ciò che emerge è la solita, elastica interpretazione storica. Per Giorgio Napolitano l’intervento sovietico in Ungheria nel 1956 fu un intervento a favore della pace contro l’aggressione imperialista, mentre l’attuale intervento degli (ex) imperialisti in Afghanistan  sarebbe un’operazione di pace.

 “La banderuola sulla guglia del campanile - scriveva Heinrich Heine - sarebbe rotta dalla tempesta se non conoscesse la nobile arte di girare a ogni vento”.