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Legalità e capacità

di ilfoglio - 20/04/2006

Il falso medico suicida non ha fatto danni, ma non aveva più consenso sociale

Roberta Zampollini, quarantenne di origine toscane, trapiantata a La Spezia era stata una studentessa fuori corso di medicina. A ottobre dello scorso anno, dichiarando il falso nelle pratiche di autocertificazione consentite dalla legge, aveva ottenuto un contratto dalla Asl della Spezia come medico addetto al pronto soccorso. Ai colleghi di lavoro aveva raccontato di essersi laureata quindici anni fa e di essersi arruginita per non avere mai fatto il medico prima di ottobre. Nonostante qualche timidezza professionale, nessuno si era accorto di nulla, la dottoressa putativa Zampollini aveva partecipato alle prime cure portate ai naufraghi del cargo Margaret, e al prefetto della Spezia colto da un malore. Era stata scoperta prima di Pasqua, non aveva mai consegnato i documenti necessari perché non li aveva, così era stata denunciata per abuso della professione medica. E due giorni fa si è uccisa buttandosi da un balcone. Naturalmente nessuna soluzione sociale, nessuna architettura civile – neppure quel certo liberalismo moralizzatore un po’ alla moda, stile agenda Giavazzi che propone l’abolizione del valore legale del titolo di studio – avrebbe potuto salvare Roberta Zampollini dalle sue fragilità di persona minacciata nell’identità. Però una questione generale questa storia la pone, con tutti i suoi paradossali risvolti. E’ ragionevole e auspicabile tenere un elenco (ristretto) di professioni in cui la certificazione pubblica, la funzione notarile dello stato è necessaria, per avere sufficienti garanzie sulla preparazione di un chirurgo o di un progettista di ponti a una campata. Ma il caso Zampollini è emblematico, perché – da quanto finora si è appreso – il falso medico non si sarebbe uccisa per aver causato un danno (tutto lascerebbe immaginare che avrebbe imparato la tecnica artigianale del pronto soccorso), ma solo per essere stata scoperta. La sua decisione, cioè, è costruita sul fatto che nel nostro mondo il riconoscimento sociale è fondato sulla legalità più che sulle capacità personali.