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Vorreste fare la fine del pollo?

di Silvia Tomasi - 09/03/2010

Fonte: blog.panorama

 
 
“Le nostre dispense erano piene di cibo comprato d’impulso, di leccornie costose, di roba che non ci serviva. E passata la data di scadenza, buttavamo via le cose senza annusarle. Mangiare era un atto spensierato.”

Alzi la mano chi non si comporta così andando al supermercato, buttando nel carrello cibi che accalappiano l’occhio e colpiscono la gola; poi vengono smangiucchiati, sprecati, abbandonati nel frigo.

Le parole di Jonathan Safran Foer, trentaduenne autore di fama mondiale per il suo romanzo Ogni cosa è illuminata, ci individuano come consumatori deliberatamente eccessivi, sostenuti dal credo dell’usa e getta.

Safran Foer era come noi, poi ci ha ripensato e quando gli è nato un figlio ha sentito l’urgenza della responsabilità di essere genitore, ha cominciato a indagare su quello che si metteva in bocca. L’effetto di questa sua ricerca, i risultati della sua indagine sull’industria alimentare si sono condensati come un macigno sullo stomaco in questo libro ferocemente etico e civile: Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali? appena edito da Guanda.

Volto pulito, occhialini alla Harry Potter, a sentir parlare Safran Foer a Milano per la presentazione del suo nuovo libro, si spera per un attimo che dalla sua bocca escano storie yiddish, invece pacatezza e nitore servono per muovere inesorabili accuse alla moderna zootecnia degli allevamenti intensivi. Le sue indagini provocano stupore e spavento, ma durante l’intervista ribadisce che non vuole persuadere nessuno a diventare come lui vegetariano:

“Voglio lasciare solo un promemoria, indirizzato per prima cosa a mio figlio: mettere a disposizione informazioni accessibili su come gli allevamenti intensivi creino animali sempre più anomali, impossibilitati a riprodursi perché tutti con un unico codice genetico, nati da inseminazioni artificiali, sottoposti a un paradossale cocktail di ormoni e antibiotici, costretti a morire in uno stato di sofferenza. Anzi l’industria ha capito che più gli animali sono malati, più sono redditizi. E noi li mangiamo”.

Che dopo secoli di letteratura francamente carnalista, dalla cena di Trimalcione al Pranzo di Babette, si stia inaugurando l’era del romanzo vegetariano?
Nel suo libro non manca la dimensione narrativa, ad esempio le storie della nonna sopravvissuta alla catastrofe nazista europea e il suo mitico pollo con le carote. Attraverso il cibo passa la memoria famigliare, l’amore e le regole dell’alimentazione, la dignità e la religione. Questa eredità si può interrompere?

Ci si abbarbica all’idea che il cibo sia il veicolo di tradizione e amore. Il profumo del pollo con le carote è per me un segno olfattivo incancellabile, ma mi sono chiesto se era il pollo in sé insostituibile o i profumi della cucina, o le dita unte di grasso della nonna, pulite nel grembiule. Era una perdita culturale se il pollo non lo si mangiava? Era semplicemente un’abitudine o veicolo dell’amore per la nonna. Ora la nonna cucina per me cose diverse. E io, in questa sua diversificazione, ho visto il veicolo dell’amore.

In casa sua, come racconta, è arrivato il cane George e il suo rapporto con gli animali è mutato, ora guarda negli occhi il cane e si sente come Kafka, quando all’acquario di Berlino fissa i pesci e promette:”Non vi mangerò più!” Ci sono animali da sacrificare e altri da salvare, di cui avere biblicamente compassione?

A me non piacciono gli animali. Io non corro per accarezzare un maialino, né voglio che gli animali siano trattati come esseri umani. Voglio che siano trattati da animali. È una questione di decenza.
Negli allevamenti dove mi sono infilato di nascosto con militanti animalisti la decenza non c’era: dentro a capannoni con luci abbacinanti c’erano polli chiusi a chiave, in gabbie dove consumano la loro vita in uno spazio non più grande di un foglio A4, resi folli, beccati, ridotti ad un ammasso, deformi e piagati, e le stie impilate fino a dieci piani di altezza, tutto in un fetore… queste io le ritengo non solo condizioni inumane, ma“inanimali”. Noi tutti facciamo parte del regno animale, ma se io ti do dell’animale, tu ti senti insultato.
Per lo stesso motivo, noi mangiamo animali, perché non siamo animali. Quello che voglio dire: noi non sappiamo cosa voglia dire vivere da maiale, come io non so quale sia il dolore che provi quando ti chiudi il dito nella portiera della macchina. Quando noi proviamo a parlare della sofferenza degli animali, non sentiamo fisicamente niente. Ma proviamo compassione. Oggi dobbiamo cercare una via più generosa verso gli animali e la scienza ci può aiutare. Non serve né un filosofo, né un religioso per capire quanto soffrano gli animali. Basta esser uomini per capire cosa capita in quei luoghi.

Dopo questo libro, ci sono stati attacchi dalle lobbies della carne. Per Lei questo è un vero impegno politico?

Io non sono un attivista, né mai lo sarò. Sono un romanziere, in effetti adesso mi sono rimesso a scrivere un romanzo, ma avevo urgenza di dire queste cose, anche se é stato molto difficile. Se scrivere un buon articolo è, come si dice, cavarsi un dente, scrivere un romanzo è cavarsi un dente infilato nel pene. E Eating Animals è un molare molto politico. Basta decidere cosa mettere nel carrello al supermercato o che piatto chiedere al ristorante. Non c’è un’azione più politica di questa.

Basterà un’azione come non comprare il pollo al supermercato per cambiare qualcosa? Di fronte all’ampiezza di questo argomento che va dall’ inquinamento (all’allevamento intensivo è imputato il 20% del riscaldamento globale), alle pandemie, basta non mettere nel carrello il vassoietto di petti di pollo?

Non dico che sarebbe sufficiente, ma inizierebbe la morte di questa industria. Gli allevatori stessi lo dicono, “noi non alleviamo quello che vogliamo, ma quello che chiede il mercato: ora c’è la moda delle galline a terra, e le galline adesso stanno giù”, sì, nella stessa orribilità dell’allevamento impilato. Forse dopo il mio libro, lei non diventerà vegetariana, ma basta eliminare da due pasti alla settimana la carne e l’effetto sarà come quello di togliere 5 milioni di auto dalla circolazione. O con un passo ulteriore basta lasciare la carne in quelle situazioni in cui è necessario.
Il tacchino del giorno del ringraziamento. Ma quando la carne non ha una funzione sociale, togliamola. Non occorre una lotta o una guerra. Ormai nella popolazione studentesca il 20% è vegetariano.
Qui in Italia, nella patria dello Slow food, è già nata una nuova modalità di mettersi a tavola, e si uscirà da questo monocromia dei cibi, perché assurdamente, pur essendo straripanti i supermercati, quello che si mangia abitualmente seduti a tavola è ridotto a poche cose. Il mondo vegetariano è molto colorato. Voglio che si recuperi l’etica del “mangia avendone cura.

Intanto, in attesa della palingenesi, anche gli amanti delle costate e del pollo fritto continuano a divorare i suoi libri.