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Libere elezioni (irachene) e libere disinformazioni

di Gian Carlo Caprino - 14/03/2010


 
 
Iniziamo con una semplice domanda:
E' ragionevole affermare che in un Paese come l'Iraq, sottoposto ad una pesantissima occupazione militare straniera, possano svolgersi elezioni generali veramente libere e democratiche?
Evidentemente no, poiché lo straniero occupante, che detiene "manu militari" tutti i gangli vitali del governo e dell'economia del Paese occupato, stabilirà lui quali personaggi far correre alle elezioni, scegliendoli in primis tra i collaborazionisti della prima ora ovvero, se proprio vuole darsi una parvenza di decenza, a qualche notabile locale non particolarmente ostile e sensibile al "colore dei soldi".
Tra i secondi possiamo annoverare l'attuale ambiguo "premier" Nouri Al Maliki ed il suo raggruppamento di partiti sciiti (Shiri e Dawa), mentre tra i primi (i collaborazionisti) spicca la personalità del sunnita Ayad Allawi, già capo di un governo provvisorio nel 2004 e nominato a tale incarico direttamente dall'allora gauleiter americano dell'epoca, Paul Bremer. Allawi è uno dei leaders e fondatori (assieme ad Ahmed Chalabi, bancarottiere condannato in Giordania a 22 anni di carcere per una mega truffa ai danni di quello Stato e poi "perdonato" dal re Abdallah su pressioni USA nel 2005) dello INC (Iraqi National Congress); cioè della associazione di fuoriusciti dall'Iraq e stipendiati dalla CIA negli scorsi decenni, associazione che è servita come "think tank" (su ordine della cricca Bush, Cheney e Rumsfeld) per la creazione e lo spaccio a livello mondiale di falsi documenti che attestavano il possesso, da parte del regime di Saddam Hussein, di armi chimiche e nucleri di distruzione di massa.
Guarda caso, nella competizione elettorale, è mancato qualsiasi leder (e ce ne sono anche in campo sciita, come Moqtada Al Sadr) che chiedesse il ritiro completo e immediato delle truppe d'occupazione, una trattativa equa per il risarcimento dei danni di guerra (visto che è stata scatenata su evidenti falsità), la rinegoziazione di tutti i contratti petroliferi stipulati durante il periodo d'occupazione e, infine, l'indizione di una vera conferenza di pace tra tutte le componenti etniche e confessionali dell'Iraq per raggiungere una nuova costituzione per il martoriato Paese. Tutto questo, guarda caso, è mancato!
Per non parlare poi (in un Paese in cui tutto è precario, dall'elettricità all'acqua potabile, dal lavoro alla scuola) del voto di scambio: un candidato cioè assicura la soddisfazione, anche parziale e precaria, di un bisogno essenziale in cambio del voto di una famiglia, di un gruppo o di un'intera tribù. Come si può escludere che in questo inevitabile gioco non si inserisca la Potenza occupante, che accentra poteri reali immensi, per "spingere" il candidato a lei più legato e fedele?
E queste sarebbero elezioni libere e democratiche? O non sono piuttosto dei "ludi cartacei", per mascherare la gravità del sussistere di un stato d'occupazione e far finta che l'Iraq sia un Paese normale?
Inutile dire che le stesse identiche considerazioni possono essere fatte anche per le elezioni che si sono ottenute in Afghanistan lo scorso anno.
Ebbene, la propaganda italiana (non è il caso di chiamarla informazione), nel commentare l'evento delle elezioni in Iraq, non ha nemmeno sfiorato questa anomalia grande come una casa. A questo riguardo il servizio più paradossale lo ha fatto il giornale radio 3, alcuni giorni fa, intervistando un ministro del governo iracheno uscente. L'intervistatrice chiedeva al ministro se non vi fosse il pericolo di un'influenza del vicino Iran sul nuovo governo che verrà. Avete capito bene? la giornalista di radio 3 si preoccupava della possibile influenza iraniana, ma dell'influenza degli USA, che sono in Iraq da 7 anni con centinaia di migliaia di soldati, non sembrava affatto preoccupata!
Aggiungo che l'intervistato, in modo molto diplomatico, ha risposto che l'ultimo dei problemi dell'Iraq attuale sono i rapporti con il vicino Iran, facendo una figura nettamente migliore della sua intervistatrice.
Ma il terzo canale della radio-televisione italiana non era l'ultimo baluardo dell'informazione libera dalle manipolazioni del governo? Non era la "riserva indiana" in cui erano confinati tutti gli esponenti pensanti e democratici della sinistra italiana?
Se questa è l'obbiettività di ciò che resta della sinistra italiana, cosa possiamo aspettarci dal mainstream mediatico berlusconiano?
Non abbiamo certo motivo di stare allegri.