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Verità, storia e integrità

di Gilad Atzmon - 14/03/2010

                          


 

Nel 2007, la nota organizzazione di destra ebraico-americana ADL (Anti-Defamation League) annunciò di riconoscere come “genocidio” gli eventi che avevano portato al massacro di circa 1.5 milioni di armeni. Il direttore nazionale della ADL, Abraham Foxman, disse più volte di aver preso questa decisione dopo aver discusso del problema con alcuni “storici”. Per qualche ragione egli non si curò di specificare chi fossero questi “storici”, né fece alcun riferimento alla loro credibilità, al loro campo di competenze o alle loro qualifiche accademiche. In tutti i modi, Foxman si consultò anche con un sopravvissuto dell’olocausto, il quale approvò la decisione. Si trattava di Elie Wiesel, non certo noto per essere un esperto mondiale dell’ordalia armena.

L’idea che un’organizzazione sionista potesse mostrarsi sinceramente preoccupata, e perfino leggermente commossa, per la sofferenza di altri popoli, avrebbe rappresentato davvero un momento di trasformazione monumentale per la storia ebraica. Tuttavia abbiamo appreso questa settimana che l’ADL si trova nuovamente in preda al dilemma per ciò che riguarda le sofferenze degli armeni. Non è più convinta che gli armeni abbiano sofferto poi così tanto. Ora sta facendo pressioni sul Congresso americano per non far riconoscere come “genocidio” il massacro degli armeni. Proprio questa settimana la ADL si è espressa contro il riconoscimento congressuale del genocidio armeno ed ha invece richiesto alla Turchia l’istituzione di una commissione storica per indagare sugli eventi”.

Come mai un evento verificatosi un secolo fa sta scatenando un simile putiferio? Un giorno esso viene genericamente classificato come “genocidio”, il giorno dopo viene destituito ad ordinaria casistica di violenza dell’uomo contro l’uomo. Forse sulla scrivania di Abe Foxman è spuntato dal nulla un qualche “documento storico”? E’ stato l’emergere di nuove evidenze di fatto a determinare questo drammatico dietrofont? Io non lo credo.

L’atteggiamento della ADL ci offre uno scorcio sull’idea che gli ebrei hanno della storia e sulla loro concezione del passato. Per ogni ebreo politico e nazionalista la storia è una narrazione pragmatica, un resoconto flessibile. Essa rifugge dall’applicazione di ogni metodo scientifico o accademico. La storia ebraica trascende la fattualità degli eventi, la loro veridicità e le norme di corrispondenza tra i fatti e una data visione della realtà. Essa ripudia anche l’etica e l’integrità morale. Preferisce di gran lunga la totale sottomissione, piuttosto che il pensiero critico e creativo. La storia ebraica è un racconto di fantasia che ha lo scopo di rendere felici gli ebrei e di costringere i goyim a comportarsi bene. Esiste per servire gli interessi di una tribù e di quella tribù soltanto. In sostanza, da una prospettiva ebraica, decidere se vi sia stato o no un genocidio armeno significa decidere sugli interessi degli ebrei: se esso sia oppure no vantaggioso per gli ebrei o per Israele.

E’ interessante notare che la storia non è esattamente una “specialità ebraica”. E’ un dato di fatto che non un singolo testo di storia ebraico sia mai stato scritto tra il 1° secolo (Josephus Flavius) e gli inizi del 19° secolo (Isaac Markus Jost). Per quasi 2000 anni gli ebrei non si sono mostrati interessati al proprio passato o a quello di chiunque altro, perlomeno non abbastanza da redigerne una cronaca. A livello di opportunità, un’indagine minuziosa sul passato non è mai stata la preoccupazione primaria della tradizione rabbinica. Una delle ragioni sta probabilmente nel fatto che non vi era necessità di un tale sforzo metodico. Per gli ebrei vissuti tra l’età antica e il medio evo, i contenuti della Bibbia erano sufficienti a rispondere alle domande più importanti sulla vita quotidiana, sul significato degli ebrei e sul loro destino. Per dirla con lo storico israeliano Shlomo Sand, “una periodizzazione laica sarebbe stata estranea alla “cronologia della Diaspora”, forgiata sull’attesa dell’avvento del Messia”.

Comunque, verso la metà del 19° secolo, a seguito dei processi di secolarizzazione, urbanizzazione, emancipazione e per il progressivo deteriorarsi dell’autorità dei capi rabbinici, fra i risvegliati ebrei d’Europa sorse il bisogno crescente di una causa alternativa in cui credere. Tutt’a un tratto, l’ebreo emancipato si trovava a dover decidere chi egli fosse e da dove provenisse. Iniziò anche a speculare riguardo al proprio ruolo all’interno di una società occidentale in rapida apertura.

Fu in questo momento che venne inventata la storia ebraica nella sua accezione moderna. Fu sempre in questo momento che il giudaismo, da religione universale, si trasformò in “appartenenza territoriale”, con alcune devastanti implicazioni di stampo razzista ed espansionista. Com’è noto, la definizione fornita da Shlomo Sand della “Nazione Ebraica” come invenzione di fantasia non è mai stata confutata sul piano accademico. In ogni caso, il rifiuto dei fatti e dell’aderenza alla veridicità storica risulta sintomatico in qualunque forma di ideologia collettiva o politica identitaria dell’ebraismo contemporaneo. Il modo in cui l’ADL ha trattato la questione armena non è che un esempio. Il disconoscimento da parte dei sionisti dell’esistenza di un passato e di una tradizione palestinese è un esempio ulteriore. Ma la realtà è che qualunque visione collettiva del passato è per gli ebrei squisitamente giudeo-centrica e svincolata da qualsiasi procedura scientifica o accademica.

 

Quando ero giovane
Quando ero giovane e ingenuo vedevo la storia come una seria questione accademica. Da quanto ne capivo, la storia aveva a che fare con la ricerca della verità, con i documenti, con la cronologia e con i fatti. Ero convinto che la storia mirasse a fornire un preciso resoconto del passato costruito sulla ricerca metodica. Credevo anche che essa si fondasse sull’assunto che la comprensione del passato contribuisce a far luce sul presente e ci aiuta a definire una prospettiva per un futuro migliore. Sono cresciuto nello stato ebraico e mi ci è voluto un po’ di tempo per rendermi conto che la narrazione storica degli ebrei è qualcosa di molto diverso. Nel ghetto intellettuale ebraico, ci si limita a stabilire come dovrebbe essere il futuro, e poi si costruisce “un passato” su questa falsariga. E’ interessante notare come questo identico metodo sia quello prevalente tra i marxisti. Essi danno forma al passato in modo che esso si accordi perfettamente alla loro visione del futuro. Come recita una vecchia barzelletta russa, “quando i fatti non si adeguano all’ideologia marxista, i progettisti sociali del Comunismo emendano i fatti (piuttosto che correggere la teoria)”.

Quando ero giovane, non credevo che la storia fosse un problema di decisioni politiche o accordi tra una fanatica lobby sionista e il suo sopravvissuto dell’olocausto preferito. Vedevo gli storici come studiosi che si dedicavano a ricerche imparziali seguendo procedure rigorose. Quando ero giovane avevo anche preso in considerazione l’idea di diventare uno storico.

Quando ero giovane e ingenuo, credevo anche che ciò che ci avevano raccontato sul nostro passato ebraico “collettivo” fosse realmente accaduto. Credevo a tutto, al Regno di Davide, a Masada, perfino all’Olocausto: il sapone, i paralumi in pelle umana*, le marce della morte, i sei milioni.

In effetti, mi ci vollero molti anni per capire che l’Olocausto, il credo di base della religione ebraica contemporanea, non era affatto una verità storica, perché le verità storiche non hanno bisogno di essere tutelate dalla legge e dai politici. Mi ci vollero anni per comprendere che la mia bisnonna non era stata trasformata in una saponetta o in un paralume*. Probabilmente era morta di stenti, di tifo, forse anche per una fucilazione di massa. Era certamente una cosa triste e tragica, ma non molto diversa dal destino di molti milioni di ucraini, i quali impararono a proprie spese cosa realmente fosse il Comunismo. “Alcuni dei più spietati assassini di massa della storia erano ebrei”, scrive il sionista Sever Plocker sul sito israeliano Ynet, svelando i segreti dell’Holodomor e della partecipazione degli ebrei a questo crimine colossale, probabilmente il crimine più grande del 20° secolo. Il destino della mia bisnonna non fu diverso da quello di centinaia di migliaia di civili tedeschi, che morirono in bombardamenti orchestrati e indiscriminati soltanto perché erano tedeschi. Allo stesso modo, gli abitanti di Hiroshima morirono soltanto perché erano giapponesi. Un milione di vietnamiti morirono perché erano vietnamiti e 1,3 milioni di irakeni sono morti perché erano irakeni. In parole povere, le tragiche circostanze in cui morì la mia bisnonna non erano, in fondo, così speciali.

 

Non ha senso
Mi ci vollero anni per accettare che la storia dell’Olocausto, nella sua forma attuale, è del tutto priva di senso dal punto di vista storico. Ecco un piccolo aneddoto su cui riflettere:

Ad esempio, se davvero i nazisti volevano gli ebrei fuori dal loro Reich (Judenrein – libero dagli ebrei), oppure morti, come insiste ad affermare la narrativa sionista, come mai alla fine della guerra fecero marciare migliaia di loro verso lo stesso Reich? Ho meditato per un bel po’ di tempo su questa semplice domanda. Alla fine ho deciso di svolgere un’indagine storica sull’argomento e ho saputo per caso dal professor Israel Gutman, storico israeliano dell’Olocausto, che i prigionieri ebrei parteciparono volontariamente a quella marcia. Ecco una testimonianza tratta dal libro di Gutman:

“Uno degli amici e parenti che avevo nel campo venne da me la sera prima dell’evacuazione e mi propose di andare con lui in un nascondiglio collettivo che si trovava da qualche parte sulla strada che conduceva dal campo alla fabbrica. […] L’intenzione era quella di uscire dal campo con uno dei convogli e di fuggire poi in prossimità dei cancelli, sfruttando le tenebre che credevamo ci avrebbero permesso di allontanarci un bel po’ dal campo. La tentazione era forte. Eppure, dopo aver considerato tutto, decisi di unirmi [alla marcia] insieme agli altri detenuti e di condividere il loro destino”.

(Israel Gutman [curatore], People and Ashes: Book Auschwitz - Birkenau, Merhavia 1957).

 

Qui sono rimasto un po’ perplesso. Se davvero i nazisti ad Auschwitz-Birkenau gestivano una fabbrica della morte, perché mai i prigionieri ebrei avrebbero dovuto voler andare con loro alla fine della guerra? Perché gli ebrei non si sono limitati ad aspettare i loro liberatori Rossi? 

Penso che a 65 anni dalla liberazione di Auschwitz avremmo diritto di iniziare a porre le necessarie domande. Dovremmo richiedere prove e argomentazioni storiche inoppugnabili anziché andar dietro a leggende religiose sostenute soltanto dalle pressioni politiche e dalla legislazione. Dovremmo strappare all’olocausto il suo carattere di giudeo-centrica eccezionalità e trattarlo come un qualunque capitolo di storia pertinente ad un dato tempo e ad un dato luogo.

65 anni dopo la liberazione di Auschwitz dovremmo iniziare a reclamare la nostra storia e a chiederci: perché? Perché gli ebrei erano così odiati? Perché i popoli europei se la presero con i propri vicini? Perché gli ebrei sono odiati anche in Medio Oriente, dove avevano certamente avuto la possibilità di aprire una nuova pagina della loro storia tormentata? E se sinceramente pensavano di farlo, come dichiaravano i primi sionisti, perché hanno fallito? Perché l’America rese più rigide le proprie leggi sull’immigrazione di fronte al pericolo che incombeva sugli ebrei d’Europa? Dovremmo anche chiederci: a quale scopo sono state promulgate le leggi contro la negazione dell’Olocausto? Cosa cerca di nascondere questa religione dell’Olocausto? Finché rifiuteremo di porci domande, saremo sottomessi ai sionisti e ai piani dei loro agenti Neocon. Continueremo a uccidere in nome della sofferenza degli ebrei. Manterremo la nostra complicità nei crimini imperialisti dell’Occidente contro l’umanità.

Per quanto devastante possa essere stato, ad un certo punto questo orribile capitolo della storia ha finito per acquisire un eccezionale status metastorico. I suoi “elementi di fatto” sono stati cristallizzati da leggi draconiane e il dibattito su di esso viene oggi garantito da apposite prescrizioni politiche e sociali. L’Olocausto è divenuto la nuova religione dell’Occidente. Sfortunatamente, si tratta della religione più sinistra che l’uomo abbia mai conosciuto. E’ una licenza di uccidere, di radere al suolo, di nuclearizzare, di cancellare, di stuprare, di depredare e di provvedere alla pulizia etnica. Ha trasformato la rivalsa e la vendetta in valori dell’Occidente. Ma la cosa più preoccupante è che esso priva l’umanità delle proprie tradizioni, esiste al solo scopo di impedirci di guardare con dignità al nostro passato. La religione dell’Olocausto ruba all’umanità la sua umanità. In nome della pace e delle generazioni future, l’olocausto deve essere privato immediatamente del suo status di eccezionalità. Deve assoggettarsi ad un’accurata disamina storica. La verità e la ricerca della verità sono elementari attività umane. Esse devono prevalere.

 

*Durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale fu ampiamente diffusa la convinzione che con i corpi delle vittime ebree si fabbricassero saponette e paralumi. Solo in anni recenti il Museo Israeliano dell’Olocausto ha ammesso che in tali accuse non vi era il minimo fondamento di verità.


di dal sito www.gilad.co.uk
traduzione di Gianluca Freda