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Un mondo di amianto

di Marinella Correggia - 18/03/2010

  
 
Respirare fibre di amianto è prepararsi a morire. Eppure in India, secondo consumatore al mondo di questo prodotto dopo la Cina, decine di migliaia di persone, lavoratori informali e non di rado bambini, senza alcuna precauzione estraggono rocce dalle miniere di tremalite, riducono in fibra scarti importati (magari vecchie navi da smontare e rottamare in India o Bangladesh), segano pezzi coprendosi di «polverino». Ancora di più sono coloro che vivono in casupole, baracche, alloggi precari dove tetti e pareti sono di amianto.

I lavoratori della filiera killer e gli utilizzatori dei prodotti non conoscono il rischio e le autorità lo negano, aiutate dall'assenza di casistiche sul mesotelioma pleurico o peritoneale, l'asbestosi e il carcinoma polmonare. Il governo indiano promuove la diffusione delle tegole d'amianto, possiede miniere e nega tutto, ha denunciato Madhumita Dutta del centro «Corporate Accountability Desk-The Other Media», durante il convegno internazionale della Rete internazionale «Ban Asbestos» tenutosi martedì a Torino con il sostegno della Regione Piemonte, capofila in Italia di quasi tutte le iniziative in materia di amianto.
La nocività dell'amianto è nota dagli anni '60. Eppure, produzione e consumo di amianto aumentano nel mondo, salvo nella cinquantina di paesi che l'hanno messo al bando (l'Italia nel '94). Quale epidemia globale di malattie correlate si prepara, considerato che l'amianto uccide dopo decenni di esposizione? Grandi le responsabilità del gruppo Eternit Svizzera e della sua filiale belga, accusata di aver esportato anche in decenni recenti la lavorazione dell'amianto sia in Asia che in America Latina (anche se adesso gli impianti sono di operatori locali).

Finora l'impunità è stata generale. Ma a Torino, grazie al lungo impegno del procuratore Raffaele Guariniello e dei suoi collaboratori, si sta svolgendo il processo penale contro i due proprietari della multinazionale Eternit, Stephan Schmidheiny e Louis de Cartier de Marchienne. Devono rispondere di disastro ambientale doloso permanente e omissione dolosa delle norme di sicurezza per le loro attività in quattro località italiane: Casale Monferrato (Al), Cavagnolo (To), Bagnoli (Na), Rubiera (Re). Quello di Torino è il primo processo di tipo penale al mondo in materia di amianto. Quasi seimila i soggetti ammessi come parti civili: ammalati, loro parenti, comunità esposte, associazioni, enti locali. In Italia sono quasi tremila i morti per amianto già riconosciuti come tali, per non parlare degli ammalati; e il picco non è ancora raggiunto. Al processo torinese guardano con speranza gli attivisti della rete internazionale che chiede la messa al bando di produzione, commercializzazione e uso dell'amianto, e insieme la fine dell'impunità, il risarcimento delle vittime, le operazioni di bonifica (un enorme costo pubblico che si aggiunge ai costi umani, ha ricordato al convegno la presidente del Piemonte Mercedes Bresso). Ci si augura anche un effetto di deterrenza.

Molto c'è da fare, dice la rete Ban Asbestos. «Organizzare e dar forza alle vittime è la chiave per la messa al bando dell'amianto» ha detto Sanjiv Pandita, dell'Asia Monitor Resource Center di Hong Kong. Infatti «l'impegno delle comunità esposte, in Italia trentennale, è stato decisivo per ottenere sia la messa al bando, sia le bonifiche e il risanamento ambientale, sia lo sviluppo della ricerca e delle cure in materia di mesotelioma», ha detto Bruno Pesce dell'associazione familiari vittime amianto di Casale Monferrato.