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Squilli di rivolta in Thailandia

di Manuel Zanarini - 18/03/2010


Ci risiamo; a Bangkok sono ricomparse le “magliette rosse” dell'UDD (Unione Democratica contro la Dittatura), i sostenitori dell'ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra. Per chi avesse perso le puntate precedenti, un brevissimo riassunto: Thaksin ha vinto tutte le libere elezioni degli ultimi anni tenutesi a Bangkok; più volte un'alleanza tra esercito e media-borghesia cittadina ha tentato  di vanificare il volere popolare, tramite vari strategemmi, fino allo scioglimento del partito di maggioranza relativa, guidato da Thaksin stesso; in seguito, hanno lasciato occupare le principali piazze della capitale, nonché i suoi due aeroporti internazionali alle “magliette gialle”; a causa di tali agitazioni, una parte di parlamentari che sostenevano il legittimo governo, è passato all'opposizione (l'italianissimo “ribaltone”) e , insieme a una serie di ridicole sentenze contro i partiti al governo, hanno messo in atto un “colpo di mano”, che ha posto al potere l'attuale esecutivo, guidato da  Abhisit Vejjajiva , il quale è bene ricordare che non ha mai vinto un'elezione, e quindi non ha mai ricevuto alcun mandato di governare da parte del popolo thailandese; in risposta a questa sospensione della democrazia, sono scese in piazza le “magliette rosse”, i sostenitori del governo Thaksin, contro le quali venne scatenato l'esercito, in seguito al cui intervento vi furono due morti e diverse decine di feriti. Arrivando ai giorni nostri, poche settimane fa, il governo in carica ha sequestrato a Thaksin, attualmente costretto all'esilio, beni per un valore di 1,4 miliardi di dollari, scatenando nuovamente le proteste delle “magliette rosse”, le quali sono calate in massa, si calcola circa 100.000 unità, occupando alcuni punti strategici di Bangkok e costringendo il Primo Ministro in carica prima a rifugiarsi in un distretto di polizia e poi a scappare, grazie a un elicottero militare, dentro una caserma dell'esercito. Al momento, la situazione è abbastanza incerta, due sono gli scenari possibili: una nuova repressione militare o l'inizio di una trattativa tra esecutivo e rivoltosi, che porti a nuove elezioni. Secondo la stampa locale, quest'ultima sembra essere lo fine più probabile; ma, solo i prossimi giorni ci diranno come evolverà la situazione. Quello che però è innegabile è che la situazione è oggi mutata rispetto a qualche mese fa, e presenta tratti assolutamente innovativi rispetto alla storia thailandese. Il popolo thai è sempre stato particolarmente distante dalla politica, che si è sempre svolta e decisa nei “salotti buoni” della borghesia industriale e accademica di Bangkok, a fronte di una stragrande maggioranza della popolazione che vive in zone agricole e che ha mantenuto un forte sentimento comunitario, che non prevede l'intervento statale, nella vita di tutti i giorni. Io stesso sono stato testimone di come si svolge la vita nei villaggi thai lontani dal turismo occidentale, e magari in altra sede ne scriverò. Questa “tradizione a-politica” ha cominciato a interrompersi con l'ascesa di Thaksin Shinawatra, un magnate delle telecomunicazioni, che ha preso diverse iniziative a favore della parte agricola e più povera della popolazione (prestiti di villaggio e sanità pubblica, in primis) mai apportati dai governi precedenti. Questo gli ha permesso di godere del forte consenso delle fasce più povere del paese, soprattutto nel nord del Paese; non solo, le “magliette rosse” hanno cominciato a radicarsi sul territorio, grazie anche all'adesione di ciò che è rimasto dell'ormai disciolto Partito Comunista Thailandese alle masse contadine, storicamente anticomuniste. Questo ha permesso la formazione di una sorta di “partito” sullo stile europeo, cosa mai vista prima nel Paese, dove si è sempre assistito a scontri elettorali tra gruppi di potere senza alcun radicamento popolare. Il caso più eclatante è rappresentato dal gruppo “Riang Chiang Mai 51”, guidato da Petchavak Wattanapongsirikul, che agisce nella principale città del nord del Paese, Chiang Mai appunto, e che raccoglie centinaia di attivisti, in grado di realizzare vere e proprie mobilitazioni di massa, tanto che durante il “golpe delle magliette gialle”, per paura di un'azione di forza dell'esercito, il legittimo esecutivo si riuniva tranquillamente, e al sicuro, proprio al nord, sotto la guardia delle locali “magliette rosse”.
In conclusione, è bene ricordare che mai in Thailandia si è vista la formazione di gruppi di militanti che agiscono politicamente, in stile europeo, e che sfidando l'esercito, stanno riuscendo a togliere il potere alle cerchie della borghesia della capitale e alla corte corrotta che circonda un re, purtroppo ormai impossibilitato (a causa di una grave situazione di salute) a fronteggiare la situazione. Se questo è vero, va notato il ridicolo atteggiamento degli osservatori occidentali, abituati a dividere il mondo in “buoni” (la “sinistra”) e in “cattivi” (la “destra”). Fino a poco tempo fa, Thaksin veniva definito, ovviamente con disprezzo, il “Berlusconi della Thailandia”, e il suo movimento era accusato di essere “populista e fascista”. Oggi, si scopre che operai, contadini e nullatenenti sono disposti, per la prima volta nella storia, a sfidare il potere, anche quello militare, pur di battersi per la giustizia sociale e la democrazia nel proprio paese. Come fare a questo punto? Facile, le “magliette rosse” diventano la “sinistra” del paese, e gli industriali e l'esercito sono la “destra”, così tutto è a posto... La domanda che mi sorge spontanea è: quando l'Europa penserà di smetterla con l' analizzare il mondo intero con categorie figlie della ideologia del Vecchio Continente, e che, a dire il vero, sono ormai totalmente antistoriche? Temo che il tempo sia ancora là da arrivare, poiché il “clero del politicamente corretto”, come lo definisce Costanzo Preve, ha bisogno di legittimare il potere costituito, quindi deve sempre e ovunque individuare il “male assoluto”, che ovviamente non può che essere il “fascista di turno”. L'Oriente, e la Thailandia in particolare, è un “altro mondo”, dove la categorie di pensiero europee non vanno assolutamente bene, la “sinistra” e la “destra” non esistono, e semmai volessimo calarle in quella realtà, sono completamente ribaltate rispetto al Belpaese; ma, sperare che i “pennivendoli di regime” abbiano l'onestà intellettuale per ammetterlo, è forse chiedere troppo!!!