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Rigenerare la periferia italiana

di Gruppo Salingaros - 12/04/2010

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Proponiamo un metodo per la ristrutturazione urbanistica in Italia. Le grandi città italiane si sono evolute attraverso i secoli, guidate da in¬terventi umani intimi, su piccola scala. Non vo-gliamo che siano ripetuti gli errori urbanistici compiuti dal dopoguerra a oggi, che hanno portato alla creazione di orribili e antiumane periferie-dormitorio. Vogliamo ricreare città, non “periferie”. I luoghi che producono vita urbana sono caratterizzati da fattori di natura geografica e culturale locali che si adattano alla vita di ogni persona. Ci opponiamo perciò a qualsiasi metodo che consideri il territorio una tabula rasa e che non presti attenzione a tutto quanto di significativo in esso esista, sia di arti¬ficiale sia di naturale. La nostra proposta di metodo per ottenere una periferia idonea alla vita umana è basata su cinque punti essenziali:
1) ricerca scientifica sui processi di sviluppo urbano, ossia sui meccanismi dell’urbanistica;
2) sviluppo delle regole urbanistiche per una città vitale, muovendo dalla scoperta di morfo¬logie e tipologie funzionali accu-mulate lungo i secoli;
3) utilizzo di soluzioni tradizionali sostenibi¬li, adattate e aggiornate alle esigenze odierne;
4) rispetto del principio della progettazione partecipativa, che garantisce il senso di appar¬tenenza e di gradimento da parte dei residenti nei confronti delle case e dell’ambiente urbano;
5) esclusione di ogni tipo di forma basata su un’ideologia che non sia stata vagliata con il criterio dell’adattabilità alle esigenze e ai biso¬gni umani.
Ne deriva che disponiamo di due metodi progettuali da applicare alle nuove costruzioni e per riparare un tessuto urbano degradato. Le città vitali sono caratterizzate da una comples¬sità molto avanzata e interconnessa, definita dagli edifici, dagli spazi, dai materiali e dalle superfici, una complessità che funziona in mo¬do opposto alle forme semplici delle “città-giardino” e delle “città-dormitorio”. La strut¬tura delle città è tradita da qualsiasi proposta formale e semplicistica che neghi tale comples¬sità. Una città vivente assomiglia a un organi¬smo coerente, nelle sue componenti urbane, a ogni scala, sia grande che piccola. Noi appli¬chiamo un metodo sviluppato nella teoria della complessità e dell’intelligenza artificiale, per definire la complessità a grande scala. La gene¬razione della forma urbana parte dal sistema viario e degli spazi urbani, direttamente in situ. Purtroppo, la progettazione contemporanea non concepisce la scala socio-urbana, limitan-dosi al piano dei singoli edifici: con ciò, mostra di arrendersi alla frammentazione della cultura postmoderna e nichilista, in-centivando il dete¬rioramento sociale delle città.
La situazione della periferia richiede una difficilissima operazione di micro-chirurgia ri¬generativa urbana. Occorre allora foca-lizzarsi totalmente sul controllo della crescita della cit¬tà dal basso. Per ristrutturare la periferia occor¬re seguire un metodo e una teoria, accantonan¬do quasi tutto quanto è stato fatto dal dopo¬guerra in avanti. La geografia, l’orografia, l’in¬fluenza di pre-esistenze naturali o artificiali, le tracce del tempo e i segni territoriali devono guidare il processo insediativo. Soltanto cam¬minando nel luogo oggetto dell’intervento pos¬siamo riconoscere le strutture urbane dotate di un’anima propria, identificando quei luoghi che la gente ritiene vitali in base alle proprie emo¬zioni, dove si prova piacere a sostare. Tali luo¬ghi devono essere preservati nel nuovo proget-to, anche se possono sembrare modesti, ad es. un albero, un muro, una piccola costruzione, ecc. La città andrebbe progettata con un flusso pedonale/veicolare intenso, per incoraggiare la creazione di un’economia di movimento AL CENTRO. Allo stesso tempo, misure per ri¬durre il traffico andrebbero imposte al fine di garantire che le strade principali non divenga¬no barriere che tagliano la città, il che risulte¬rebbe catastrofico. L’area d’intervento è com¬posta di bacini pedonali dotati di centro.
Oggi la formazione offerta dalle più accredi¬tate Scuole d’Architettura condanna gli archi¬tetti a progettare periferie. Essi non sono più capaci di progettare nuclei di città, perché han¬no perduto la capacità di stabilire relazioni ge¬rarchiche tra le sue parti. La qualità vitale non sorge mai dalla mera somma di tante qualità ar-chitettoniche, poiché essa si stabilisce invece at¬traverso i rapporti. Una bella piazza non deve essere necessariamente la somma di belle archi¬tetture. La qualità dello spazio è data dalla re¬lazione degli edifici tra loro. Nel centro storico di un qualsiasi paese fatto di case vecchie e mal¬messe, con gli angoli sbrecciati, quasi sempre si respira un’atmosfera accogliente. Tutto ciò non si ritrova nei quartieri modernisti, costituiti da edifici perfetti che però non dialogano tra di lo¬ro, perché sono privi di reciproca connessione, monadi sparse in maniera casuale e dall’appa¬renza insensata. La qualità vitale è un comples¬so di relazioni coerenti che conferisce significa¬to. L’architettura è lo strumento attraverso il quale i luoghi divengono affascinanti, attraver¬so cui l’uomo caratterizza lo spazio. Noi abbia¬mo bisogno di riferimenti, di luo-ghi dotati di senso vitale, dove possiamo mettere radici.
C’è una differenza tra il mobile e l’immobile. L’immobile, la città, ha le radici, il mobile no. Quindi non sono la forma e la funzione i para¬metri dell’architettura, ma lo spazio e il tempo, la storia e la geografia. Questo è il criterio fon¬damentale dell’architettura di qualità, del quale i nuovi interventi debbono tenere conto. Se lo spazio è un organismo, la città può trasformarsi senza perdere la sua anima. L’architettura e la città contempo-ranee nascono congelate, l’ar¬chitettura e la città vive di una volta si trasfor¬mano.
La città italiana è altro dalla singola manife¬stazione artistica di un designer, al contrario di quanto pensano molti amministratori che invi¬tano le archistar a implementare un grande progetto. Inoltre, è uno sbaglio credere di otte¬nere la densità giusta attraverso una crescita verticale della città, perché tale dimensione ali¬menta un processo di scollegamento tra gli ele¬menti urbani e tra le persone. La cultura urba-nistica che pretende simboli di “progresso” co¬me grattacieli e vasti spazi aperti dimostra di es¬sere antiquata. Un piano che si basa su di un motivo geometrico astratto e ripetuto non può adattarsi alla cultura urbanistica insediativa di coloro i cui antenati scolpirono nella pietra al¬cuni dei posti più splendidi della terra. Il pro¬getto convenzionale ed elementare, mascherato da un’apparente gradevolezza formale, si carat¬terizza per una mono-funzionalità, una man¬canza di tessuto connettivo fatto di strade, piaz¬ze e isolati capaci di innestare quel livello di complessità che dà vita alle città, e rappresenta un modello urbanistico fallimentare.