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Cosa cambia in Cile

di Pierpaolo Ciancio - 14/04/2010


 
Cosa cambia in Cile

Il primo governo conservatore della recente democrazia cilena si è insediato al palazzo della Moneda il 12 marzo. In forza del favore del 51,61% dei voti ottenuto nella seconda consultazione del 17 gennaio, il Presidente Sebastián Piñera candidato della Coalición por el Cambio, composta dall’Unión Demócrata Independiente, dal suo partito del Renovación Nacional e da tre formazioni minori (Chile Primero, Norte Grande e Humanista Cristiano), è il nuovo presidente del Cile. Sconfitto al ballottaggio il capo della Concertación de Partidos por la Democracia Eduardo Frei Ruiz-Tagle, fermo al 48,38% dei consensi. Per la prima volta dal 1989, anno della fine della dittatura Pinochet, la coalizione di centro-sinistra è costretta a lasciare il governo nelle mani di uno dei pochi dirigenti di destra che nel 1988 si espresse per la fine della dittatura. Piñera risultava favorito alla luce dell’esito della prima tornata elettorale, che lo vedeva in vantaggio con il 44,06% delle preferenze, seguito in ordine da Frei (29,6%), dal candidato indipendente Marco Enríquez-Ominami (20,14%) di Nueva Majoría por el Chile, e da Jorge Arrate (6,22%) capo di Juntos Podemos Más, la sinistra radicale.

Nonostante il favore dei sondaggi, l’esito delle urne non era scontato. Il paese ha dimostrato di preferire ancora programmi e candidati se non di sinistra, quanto meno progressisti. La Concertación raccoglieva, al fianco della Demócrata Cristiano de Chile di Frei, il Partido por la Democracia, il Partido Radical, ed il Partido Socialista al governo con la presidente uscente Michelle Bachelet, che nel 2005 sconfisse al ballottaggio proprio Piñera. La Bachelet ha svolto un mandato apprezzato dai cileni, lasciando però sul campo dei nodi che hanno diviso l’elettorato di sinistra. La Concertación ha dovuto rivaleggiare con la sorpresa di queste elezioni, Marco Enríquez-Ominami, deputato uscente dal Partito Socialista, che ha raccolto consensi proponendo un’alternativa al tradizionale bipolarismo del paese, unendo un programma di politiche sociali progressiste ad una politica economica liberale. Il diffuso consenso raccolto dalla Bachelet, che ha toccato il suo apice a seguito delle decisioni politiche prese a seguito del terremoto dello scorso 27 febbraioi, è da leggere come una fiducia alla persona più che alla coalizione: Frei ha alle spalle un’esperienza alla Moneda nel mandato 1994-2000, raggiunta peraltro col consenso più marcato della storia recente del paese, ma la sua candidatura non ha convinto molti, nemmeno all’interno della Concertación. Trova così ragion d’essere l’exploit di Marco Enríquez-Ominami, una candidatura nata per convogliare la ricerca di cambiamento di molti cileni rivolti a sinistra. Oltre ai nodi lasciati dal governo uscente hanno gravato sul candidato democristiano le scarse aspettative di continuitàii del lavoro di ristrutturazione interna avviato, seppur superficialmente, dalla Bachelet.

In vent’anni di governo, il centro sinistra non è riuscito a ridimensionare la forte disuguaglianza sociale all’interno del paeseiii, i cui valori assoluti, seppur ridotti dal governo socialista uscente, si attestano nella media regionale, storicamente la prima in termini di disuguaglianza withiniv: il dato rivela tutta la sua problematicità se considerato relativamente alla ricchezza internav, scontrandosi con un’economia considerata tra le più stabili della regione.

Nel settore educativo si sono avute riforme strutturali solo mettendo alle corde la neo-eletta Bachelet. La così chiamata “revolución pingüina” mossa dagli studenti ha costretto il governo ad inserire nella sua agenda modifiche all’apparato scolastico, riformare la Ley Orgánica Constitucional de Enseñanza (LOCE), istituire un Sovraintendente all’Educazione e ricorrere al primo impasto di governo.

Le rivendicazioni territoriali degli indios Mapuche in Auracania, nel sud del paese, seguono irrisolte, non essendo state considerate nemmeno dall’ultimo governo, nonostante le mobilitazioni indigene abbiano costretto più volte all’uso della forzavi. La mancata candidatura di un capo mapuche all’ultima tornata elettoralevii è naturale conseguenza delle politiche del governo, inclini a soffocare più che ad ascoltare gli indigeni.

Le questioni economica, scolastica ed etnica hanno un filo conduttore riconducibile ben più a monte dell’ultima legislatura, arrivando alla Costituzione cilena, eredità degli anni della dittatura Pinochetviii, dai forti connotati repressivi e caratterizzata dall’apertura ad un liberismo poco regolamentato. Da qui la privatizzazione del settore scolastico, la vendita delle ricche terre popolate dagli indios ad imprese ittiche e di legname, la repressione delle manifestazioni mapuche e la difficoltà dei governi a contenere disuguaglianza e povertà, e a ridare fiato ad un settore pubblico strozzato. Le inefficienze del nuovo piano di trasporto urbano della capitale, il Plan Transantiago lanciato il 9 febbraio 2007, appaiono a proposito emblematiche. Il progetto ha sostituito le numerose piccole imprese di trasporto diffuse su tutto il tessuto urbano con un consorzio di dieci grandi concessionarie, modernizzando al contempo infrastrutture e modalità d’accesso: la frequenza ridotta nelle zone periferiche, il taglio della copertura delle bidonvilleix e l’introduzione del biglietto elettronico hanno creato disfunzioni tali da costringere il governo ad un investimento straordinario in infrastrutture, macchinari, personale e sovvenzioni superiore al miliardo di dollari.

E’ mancata la volontà al governo Bachelet di apportare riforme strutturali al paese che, per essere tali, devono riguardare la Costituzione. Il problema è proprio di tutta la ventennale parentesi di governo della Concertación, e circoscriverlo alla sola amministrazione Bachelet costituirebbe un torto. Le responsabilità dell’ultimo governo sono da ricercare nelle aspettative mancate di un coinvolgimento attivo, tanto in politica interna che estera, nel processo di riforme e di accordi sovrannazionali intrapreso dai vicini paesi socialistix. L’unico passo registrato verso la promozione dell’integrazione regionale è avvenuto con l’adesione alla neonata Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños, stipulata peraltro il 23 febbraio a mandato Bachelet scaduto. L’amministrazione socialista è stata incapace di coinvolgere il paese nella regione, mantenendo lo storico atteggiamento di distacco economico e politico nei riguardi dei paesi vicini e dei loro tentativi di coesione, limitandosi ad osservare i movimenti regionali certi della forza dell’economia del paese, uscita con agilità dalla recessionexi e gratificata internazionalmente con l’ingresso nell’OCSExii. Membro dell’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation), il Cile privilegia relazioni commerciali trans-pacifiche, in particolare con Cina e Giappone, assecondando la crescente domanda asiatica di rame, non disdegnando al contempo la cooperazione economica con Washington. Resta invece ai margini dalla scena regionale, dove compare dal 1996 esclusivamente in qualità di paese osservatore del Mercosur (affiliazione dovuta alle alte importazioni da Brasile e Argentina), e dal settembre 2006 come membro associato alla Comunidad Andinaxiii.

La partita è ora nelle mani di Piñera. Ricco imprenditore, proprietario di un canale televisivo (Chilevisión), forte azionista della compagnia aerea nazionale (LAN-Chile) e della squadra di calcio Colo-Colo, incarna le peculiarità dei capi populisti promettendo un milione di nuovi posti di lavoro, la riforma tributaria, e preoccupando tanto per problemi tipici del caso (conflitto d’interessi, politica economica ultraliberista) quanto per questioni proprie della storia cilena (diritti umani e ritorno al governo di esponenti militari). Certamente sarà ricordato come l’artefice del ritorno (per via democratica) della destra al governo dopo quasi mezzo secoloxiv. Eredita una situazione invidiabile, incrinata solo dal peso del terremoto di fine febbraio: l’economia è in buona salute (crescita 2010 al 4,5%), beneficia del piano di interventi pubblici avviato dalla precedente amministrazionexv, di una congiuntura globale che allenta (lentamente) la morsa e delle garanzie (accumulate e attese) dei proventi del rame. Da osservare saranno le mosse del neo-eletto presidente tanto in politica estera, con riferimento ai processi regionalisti, quanto in politica interna, riguardo a politiche e diritti sociali.

Forte della situazione ereditata, Piñera non si sbilancerà verso alcun processo di integrazione regionale, osservando guardingo le evoluzioni dei processi in corso. Sono alle porte le elezioni politiche brasiliane (previste per il prossimo ottobre), nel 2011 terminerà anche il mandato alla Casa Rosada di Cristina Kirchner, e le recenti elezioni parlamentari argentine lasciano spazio ad un possibile spostamento dell’asse a destra. Le opportunità economiche scaturite da una maggiore integrazione di Santiago nel sub-continente sono notevoli, ma restano imprescindibili dall’identificazione politica con i movimenti regionali: una scelta in questa direzione mancata finanche all’amministrazione socialista, non sarà presa da Piñera, a meno di un capovolgimento della scena politica regionale, seppur circoscritto ai due maggiori interlocutori regionali, Brasile e Argentina. Più probabile sarà un’intensificazione delle relazioni già salde con i paesi d’oltre Pacifico e con gli Stati Uniti. Proprio da Washington può arrivare l’incentivo a creare un (ennesimo) asse commerciale alternativo alle proposte di Venezuela, Ecuador, Brasile e Bolivia, che raccoglie quei paesi (tutti andini) distanti dal vento socialista della regione. Piñera si muoverà con cautela, consapevole dell’orientamento politico della maggioranza dell’elettorato e della solidità delle basi economiche del paesexvi.

Sul versante interno, Piñera beneficia del vantaggio indotto dal disinteresse della precedente amministrazione socialista nei riguardi di un impegno rivolto ai diritti sociali delle minoranza etniche (Mapuche) ed economiche. L’elettorato non si aspetta interventi in materia, analoghi a quelli avvenuti in Bolivia con l’elezione di un indios al governo, in Venezuela con la statalizzazione delle maggiori imprese o, più a fatica, in Brasile, con interventi pubblici tesi a raggiungere la fetta più emarginata della popolazione. Se è vero che la Bachelet non si è impegnata a riscrivere dovutamente la Costituzione per intervenire strutturalmente nei problemi del paese, è oggettivo il suo impegno sociale teso a estendere la copertura sanitaria, istituire la “pensione sociale” rivolta a più di un milione di cittadini, incrementare la redistribuzione del reddito, creare una rete nazionale di asili nido e promuovere la partecipazione femminile al mercato del lavoro ed alle cariche pubbliche. Piñera si trova a dover amministrare un paese parzialmente riformato, con processi di sviluppo avviati cui difficilmente rinuncerà, consapevole sia della presenza di una componente progressista nella sua maggioranza fuoriuscita dalla Concertación, sia soprattutto del grande debito prodotto dall’accentuata disuguaglianza sociale che non converrà esacerbare. Promette di continuare sui binari tracciati dalla Bachelet: certamente li percorrerà tralasciando a sua volta la ristrutturazione economica e sociale del paese.

* Pierpaolo Ciancio, dottore in Scienze politiche-economiche, collabora con “Eurasia”


i Il forte sostegno popolare alla Bachelet ha raggiunto secondo i sondaggi del Centro de Estudios Público (CEP) punte superiori all’ 80%. Vedi “Evolución de aprobación de gobiernos de Patricio Aylwin, Eduardo Frei, Ricardo Lagos y Michelle Bachelet”, Santiago, agosto 2009. Il Centro de Estudios de la Realidad Contemporánea riporta che nel mese di dicembre 2009 il 75% dei cileni vedeva in modo positivo il presidente uscente. Vedi http://www.cerc.cl

ii “Essere progressista significa garantire diritti sociali permanenti perché la correzione delle disuguaglianze sia efficace nel lungo periodo. Non si tratta di dare assistenza oggi per riprenderla domani”, ha affermato la Bachelet in un rapporto del ministero della pianificazione, www.mideplan.cl

iii Il sesto report sui bilanci familiari dell’Instituto Nacional de Estadisticas de Chile (INE), evidenzia come nel 2008 il quintile più ricco della popolazione contribuisca per il 51,03% alla produzione del paese. Il report completo è visualizzabile all’indirizzo http://www.ine.cl/canales/chile_estadistico/encuestas_presupuestos_familiares/2008/Presentacion%20EPF%202006-2007.pdf

iv Vedi la tabella statistica del report 2009 dell’United Nation Development Program (UNDP), visualizzabile all’indirizzo http://hdr.undp.org/en/media/HDR_2009_EN_Indicators.pdf

v L’INE riporta che a fine dittatura, nel 1989, il 38,6% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà: oggi la media si attesta su valori inferiori al 13%.

vi Per un approfondimento sul tema, rimando a Maria Rosaria Stabili e José Bengoa, “Il Cile è vicino”, Limes, Febbraio 2008.

vii Alle precedenti elezioni la candidatura di Aucán Huilcamán Paillama, leader dell’organizzazione Mapuche Consejo de Todas las Tierras, era stata respinta dal Tribunale Superiore Elettorale per il non raggiungimento delle firme necessarie.

viii La Costituzione “pinochettista” entrò in vigore nel 1980.

ix La voce trasporti e comunicazione è la spesa che più grava sulle famiglie cilene (22,7%), precedendo finanche alimenti e bevande (22,5%), Vedi link nota 3.

x Riferendosi ai governi di Tabaré Vásquez (Uruguay), Néstor e Cristina Kirchner (Argentina) e Michelle Bachelet, Maurice Lemoine usa termini azzeccati: “Rappresentando il progressismo contro la destra oligarchica, rinunciando al tempo stesso a introdurre profonde riforme sociali, questi leader hanno ceduto alle esigenze del capitale privato”, http://www.monde-diplomatique.it/ricerca/ric_view_lemonde.php3?page=/LeMonde-archivio/Maggio-2009/0905lm06.01.html&word=Michelle;Bachelet

xi L’economia cilena ha sofferto le conseguenze della crisi asiatica del 1997 – 1998, contraendosi ulteriormente per gran parte della prima decade del secolo. Il governo aveva accumulato oltre 25,5 miliardi di dollari (a cui si affiancano i 24,2 miliardi di dollari di riserve della banca centrale), risparmiati al momento dell’aumento del costo del rame seguito alla crescente domanda cinese. A inizio 2009, in piena recessione globale, il governo ha reagito con un piano di espansione economica, attingendo al 20% delle riserve. Vedi http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Dicembre-2009/pagina.php?cosa=0912lm18.02.html#4

xii Lo scorso 11 gennaio è stato deliberato l’ingresso del Cile nell’OCSE, primo paese dell’America Latina a diventare membro effettivo. Per l’ufficializzazione si attendono solamente tempi e pratiche formali. Per approfondimenti vedi http://www.oecd.org/document/26/0,3343,en_33873108_39418658_44365210_1_1_1_1,00.html

xiii Nel 1976 sotto la dittatura Pinochet, il Cile uscì dal Patto Andino, precursore dell’attuale Comunità.

xiv L’ultimo governo di destra (Jorge Alessandri) è datato 1958 – 1964.

xv Vedi link nota 11

xvi “Cercheremo la strada del dialogo e dell’accordo perché questo è il modo più solido di costruire un paese”, ha affermato Piñera in una delle prime apparizioni pubbliche dopo la vittoria. Vedi http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Il-Cile-sceglie-la-destra-Pinera-Faremo-un-governo-di-unita-nazionale-Basta-coi-muri_4214215846.html