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Bankitalia. Le banche e i costi impliciti

di Corrado Liberi - 15/04/2010

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Alcuni giorni addietro la Banca d’Italia ha indirizzato una lettera al direttore generale del ministero Economia e Finanza per segnalare l’esigenza di un intervento legislativo al fine di regolare in modo univoco e definitivo il problema dei costi bancari (con particolare riferimento alle commissioni applicate sugli affidamenti, cioè, grosso modo, prestiti, prestiti e sugli scoperti di conto) problema che, evidentemente, la legge del gennaio 2009 - relativa alla regolamentazione della commissione di massimo scoperto (cms) non è stata in grado di risolvere.
È ben nota la annosa diatriba sulla cms, sulla cui illegittimità sono intervenuti non solo gli organismi di difesa dei consumatori ma particolarmente la magistratura con pronunce anche delle corti costituzionale e di cassazione, alle quali ha dato ampio rilievo la stampa nazionale generando, alla fine, l’intervento parlamentare che, con un iter piuttosto stentato, ha prodotto la citata normativa.
E’ bene tuttavia rammentare che la norma non ha, come era auspicabile e ragionevole, eliminato in modo assoluto la cms ma solo vietato l’applicabilità ai rapporti (somme) non affidati (senza fido) o non utilizzati consentendone tuttavia l’applicabilità ai quei contratti sottoscritti dalla clientela che la prevedono. In buona sostanza nulla è mutato in quanto le banche sono nella posizione di imporre le condizioni al cliente e questo è costretto ad accettarle se vuole ottenere il credito, conseguendone nessuna tutela per il contraente debole. Le banche, di fronte alle nuove norme, sono corse ai ripari ideando tutta una serie di nuovi orpelli tra cui: commissione trimestrale sugli affidamenti; commissione diritti di passaggio a debito; spese di gestione sconfinamento; spese di gestione conto; commissione per messa a disposizione fondi; recupero spese per affidamenti. A queste, ed altre commissioni similari e variamente denominate, si aggiungono non irrilevanti aumenti di tassi per quei rapporti sui quali, per legge, non è applicabile la cms. Data l’importanza della questione è rilevante ricondursi alla normativa per chiarire quanto le conseguenti decisioni delle banche ne tradiscano l’interpretazione letterale.
L’art. 2 bis L. 2/2009, comma 1, testualmente recita:
“Sono nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione fondi … indipendentemente dall’effettivo prelevamento … ovvero … dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi …”“SALVO” che “… il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato … per le somme effettivamente utilizzate … proporzionalmente all’importo e alla durata dell’affidamento” (prestito).
L’art. 2 D.L. 1/7/2009 n. 78, comma 2 così integra il comma 1 dell’art. 2 bis L. 2/2009:
“L’ammontare del corrispettivo… non può comunque superare lo 0,5 per cento, per trimestre, dell’importo dell’affidamento”.
Quindi la prima parte dell’art. 2 bis L. 2/2009, co. 1, da un lato sancisce la nullità di qualsiasi commissione se applicata sull’ammontare delle linee di credito (“messa a disposizione fondi”) ma contestualmente prevede che il servizio di messa a disposizione delle somme assuma a base di calcolo “le somme effettivamente utilizzate”.
Ne consegue che il termine “affidamento” utilizzato nel citato articolo e nel II comma dell’art. 2 del D.L. 1/7/2009 n. 78 deve di necessità ricondursi all’utilizzo effettivo delle linee di credito.
L’interpretazione letterale delle norme non sembra poter generare dubbi in merito alla base di computo: le somme effettivamente utilizzate. Ma se così fosse il legislatore nulla avrebbe innovato rispetto alla precedente commissione di massimo scoperto. Anzi, fatta eccezione ai limiti introdotti per l’applicazione della commissione (“saldo a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido”), sembra quasi venire meno l’importo da assumere a base per il calcolo della nuova commissione, che in precedenza era indicato nel saldo massimo debitore rilevato nel periodo. Ci si dovrebbe quindi ricondurre all’ammontare del fido concesso, come unico elemento certo di riferimento per il calcolo. Tuttavia, come dianzi rilevato, l’art. 2 bis L. 2/2009 comma 1 precisa: “le somme effettivamente utilizzate” e siffatta specifica non può suscitare dubbi in quanto si riferisce all’utilizzo e non al credito accordato, concetti tra loro notoriamente diversi, e quindi in sostanza alla cms.
L’unico elemento certo è relativo alla percentuale massima da applicare per il servizio. Infatti, il citato comma 1 dell’art. 2 bis L. 2/2009, dispone che “il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato… in misura onnicomprensiva” e la integrazione del comma, introdotta con l’art. 2, comma 2 del D.L. 1/7/2009 n. 78, prescrive che “l’ammontare del corrispettivo onnicomprensivo… non può comunque superare lo 0,5 per cento, per trimestre, dell’affidamento…”. Di conseguenza, le citate norme dispongono che i diversi costi del servizio del credito debbono essere tra loro sommati e che tale importo non possa superare lo 0,5% trimestrale (calcolato su un riferimento non esattamente individuato stando ai contenuti della norma) percentuale che in termini di anno si ragguaglia a circa il 2% per effetto della capitalizzazione trimestrale.
Senza voler entrare nel merito della identificazione di un siffatto parametro, si sottolinea la rilevante novità – nel sistema di libero mercato – della determinazione per legge di uno degli elementi di remunerazione del servizio bancario. Il richiamo alla legge è tuttavia fondamentale per evidenziare in che modo la banche continuano a violarla nella lettera e nella sostanza. Certo che i risultati dell’analisi condotta da Bankitalia a meno di un anno dalla entrata in vigore delle norme rivelano quanto meno la faciloneria, la impreparazione dei legislatori, facendo loro grazia di connivenze con le lobbies bancarie. Sarebbe stato più semplice anziché limitarsi a vietare la cms definire illegale la possibilità di addebiti di commissioni e costi quando non materialmente riscontrabili da specifici documenti. In tal modo la materia del contendere sarebbe stata pressoché nulla, anche con benefici fiscali per le stesse banche. Oggi, dinanzi alle proteste della clientela bancaria, di associazioni dei consumatori la Banca d’Italia, per sua stessa ammissione nella lettera al Mef, è stata costretta ad intervenire. E ciò è palese conferma della carenza normativa. Dalla ricerca condotta da Bankitalia emerge che le banche non solo sono riuscite a sostituire, a proprio vantaggio, la cms con altre di differente natura e causale ma in taluni casi, incredibile dictu, ad applicare congiuntamente la cms e quella per la messa a disposizione fondi. E i risultati sono evidenti: dal confronto fra i tassi medi praticati dalle banche nel IV trimestre 2009 (aumentati dell’incidenza della cms) e quelli rilevati nel I trimestre 2010 (incluse le varie commissioni sostitutive della cms) emerge un netto aumento dei tassi trimestrali da 2 a 3 punti percentuali per le operazioni con le famiglie e da 1 a 3 punti percentuali per le imprese. Un onere assai pesante che lo diviene ancora di più in termini annuali per effetto della capitalizzazione trimestrale di tali oneri.
Tra le nuove commissioni introdotte merita una particolare attenzione quella relativa alla “messa a disposizione fondi”. A prescindere dalle modalità di calcolo della percentuale, che talora viene determinata in base alle spese addebitate al cliente nell’anno precedente, quindi in misura differenziata da cliente a cliente (e non si sa come verrà applicata alla nuova clientela), ciò che preme rilevare è che nulla cambia rispetto al concetto informatore della cms. Questa, infatti, è stata definita dalla tecnica bancaria e dalla giurisprudenza, quale remunerazione dell’obbligo assunto dalla banca di tenere a disposizione del cliente l’ammontare dell’affidamento. Come risulta evidente, la legge non solo non ha sciolto l’enigma sulla base di calcolo (saldo massimo debitore nel periodo o ammontare del fido concesso o residuo importo dell’affidamento ancora da utilizzare) ma ha creato ancora più confusione parlando indifferentemente di “somme effettivamente utilizzate” e di “importo e durata dell’affidamento”.
È quindi evidente che il vero problema non è stato affrontato. Infatti quando una banca concede un fido ha ben presente di aver preso l’impegno di mettere a disposizione del cliente quella data somma, in una sola volta o in più volte, a seconda della tipologia del fido. Ne consegue che la banca assume un impegno di cui deve tener conto nelle altre concessioni di fido. Può succedere, e spesso succede, che le banche accordano fidi oltre le risorse disponibili: è un rischio che le banche corrono per incrementare il conto economico. In tale ipotesi le banche attingono la liquidità necessaria dal mercato interbancario a tassi tali da non creare problemi economici: ad esempio l’interbancario a 1 mese presenta un costo dello 0,365% mentre il tasso praticato alla clientela è circa del 13%. Tale differenziale di tassi non giustifica quindi minimamente l’applicazione della cms o di altra equivalente, in quale che sia forma. Che se poi si volesse in qualche modo accondiscendere alla tesi bancaria, al più la commissione andrebbe calcolata sull’importo del fido ancora da utilizzare, in quanto sull’utilizzato il cliente paga gli interessi passivi.
Appaiono quindi più credibili eventuali addebiti in misura fissa e non percentualizzata relativi a: diritti di segreteria; gestione fido, spese fisse di liquidazione contabile, che trovano la giustificazione in una sorta di rimborso di spese effettivamente sostenute.
Bisogna altresì dolersi del fatto che il legislatore, nell’affrontare la problematica dei costi bancari, abbia evitato di prendere posizione sull’abitudine consolidata delle banche di capitalizzare trimestralmente anziché semestralmente gli interessi, come disposto dall’art. 1283 c.c., ed altresì su quello di calcolare tali interessi anche sulle varie commissioni. Argomento sul quale esiste oramai – in senso negatorio – una ponderosa e pacifica giurisprudenza di legittimità e di merito.
Altro argomento che la nuova normativa ha ignorato è quello del tasso di usura. Prima delle modifiche introdotte nel 2009 le segnalazioni delle banche per il calcolo de Tasso Effettivo Globale Medio (la media dei tassi praticati da tutto il sistema bancario e finanziario TEGM) includevano solo alcuni tipi di spese mentre la cms aveva una sua specifica segnalazione. L’innovazione introdotta prevede invece che al fine del calcolo del TEGM le banche includano, oltre gli interessi anche “ogni onere connesso con il finanziamento a carico del cliente”. Ciò vuol dire, in sostanza, che la soglia del tasso di usura viene elevata a beneficio delle stesse banche che potranno muovere a piacimento il costo del credito senza timori di infrangere la legge.
Sono questi gli argomenti che Bankitalia dovrebbe affrontare con il MEF per realmente risolvere il problema dell’accesso e del costo del credito anche a favore del rilancio dei consumi.