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Le quattro borghesie e le contraddizioni post-borghesi

di Carlo Gambescia - 29/04/2006

Fonte: italicum

 

 

Borghesia: un concetto complesso
Dal punto di vista sociologico non è possibile definire in maniera precisa il concetto di borghesia. Soprattutto se si vuole evitare di usare concetti troppo ampi come quello di “spirito borghese”. In realtà la borghesia, intesa come “alta borghesia” per distinguerla, come poi si vedrà, dal concetto di “ceto medio”, è un'entità sociale che ha subito nel tempo profonde metamorfosi. In questo senso, nell'arco storico del suo sviluppo, che ha come sfondo necessario il capitalismo moderno, vanno distinte quattro tipologie di borghesia: la protoborghesia, la borghesia, la neoborghesia e, da ultima, la postborghesia.
Protoborghesia, borghesia, neoborghesia, postborghesia
La protoborghesia è il gruppo sociale più semplice o elementare di borghesia. Affonda le sue radici nel mondo mercantile tardo medievale, cosi ben analizzato da Sombart e Sapori. Il cambiavalute su vasta scala e i grandi mercanti genovesi, fiorentini, veneziani, tedeschi, baltici che trafficano e prestano denaro a re e principi sono tutti esempi di una borghesia, come dire, che viene prima della borghesia. Pur credendo nel risparmio, nella famiglia, nel valore del lavoro, la protoborghesia non ha tuttavia alcun ruolo politico. Anche perché non ha fiducia in se stessa: non si ritiene ancora capace di poter costruire una società, interamente fondata sui valori borghesi. La borghesia, vera e propria, studiata da Marx e Weber, nasce dalla riforma protestante, ha origine anglosassone, puritana e calvinista, crede fermamente nei valori del risparmio, della famiglia, del lavoro, e della crescita economica, come segno di grazia divina e comunitaria, ma crede ancora più fermamente, come dimostreranno le tre rivoluzioni (inglesi, americana e francese), nell'edificazione di una società, dove la borghesia, come gruppo sociale compiuto, sia finalmente l'attore politico principale (dopo lo stato). L'Ottocento sarà il suo secolo d'oro.
La neoborghesia, che ancora attende di essere studiata a fondo, nasce dalla crisi economica degli anni Trenta del Novecento, e può essere definita “neo” rispetto alla precedente, per il più articolato (e già più combattivo, o comunque insinuante) atteggiamento nei riguardi dello stato. La neoborghesia, che pretende a un tempo, libertà economica e sicurezza politica, si appoggia allo stato, che in fondo disprezza o teme, solo perché ha bisogno di aiuto economico. Finge di credere nei valori del risparmio, del lavoro e della famiglia, ma in realtà non ha già più punti di riferimento se non quelli di un crescente individualismo e familismo, valori ben lontani dallo spirito puritano ed eroico della borghesia sette-ottocentesca. La seconda metà del Novecento, vedrà nascere e svilupparsi una neoborghesia, come gruppo sociale maturo in cerca di rilancio, che teorizza, per la prima volta, un individualismo protetto (dallo stato), in grado di garantire la crescita economica.
La postborghesia riguarda l'oggi, ed è perciò un'entità sociale in evoluzione, che viene però “dopo”, le borghesie precedenti. Si tratta di una classe già presente ma che non si è ancora sviluppata totalmente, sospesa tra il vecchio (la volontà di crescita economica) e il nuovo (la volontà di potenza politica). I neoborghesi pretendono solo la libertà economica, i profitti facili senza dare nulla in cambio alla comunità, e per giunta, come possono si sostituiscono al potere politico, dichiarandosi però cinicamente, servitori della comunità. In realtà, al disprezzo e al timore si è sostituita la volontà di eliminare ogni mediazione governativa. Come è provato dal ruolo politico, che oggi svolgono in prima persona, economisti, banchieri, finanzieri e imprenditori.
Le “quattro borghesie” e il rapporto con la politica
Il punto di osservazione ideale per capire il senso dell' evoluzione storica delle “quattro borghesie”, è dettato dal loro rapporto con la classe politica e con le istituzioni dello stato moderno (da quello assoluto a quello democratico e rappresentativo). Con una precisazione: il rapporto borghesie-politica, viene qui ricondotto, come si vedrà più avanti, nell'alveo di un processo ciclico che per quanto riguarda la spiegazione della dinamica dei gruppi, e quindi anche del “gruppo sociale” borghese, implica l' applicazione a ogni “organismo sociale” della metafora sociologica della nascita, infanzia, giovinezza, maturità, senilità e morte. Non si tratta di una “stranezza” di chi scrive, ma di un approccio, usato ad esempio da sociologi del calibro di Sorokin e Maffesoli.
La protoborghesia ha servito re e principi; la borghesia autentica, quella ottocentesca, si è sostituita all'aristocrazia come attore politico principale, pur subendo ancora in larga misura il ruolo rilevante delle istituzioni statali; la neoborghesia si è affiancata alla classe politica penetrando nei gangli vitali dell'economia pubblica e iniziando a fornire direttamente i quadri politici; la postborghesia, che ne sta completando l'opera, punta alla completa sostituzione della classe politica con classi di tecnocrati e alti funzionari (la “tecnostruttura” di Wright Mills) che provengono dal mondo degli affari, e godono del consenso dei suoi vertici.
La sostituzione dell'economia alla politica, indica sul terreno dei metamorfismi sociali un percorso preciso: il passaggio dal capitalismo eroico dei capitani d'industria dell'Ottocento, al capitalismo assistito del Novecento, per poi giungere al presente capitalismo antieroico, composto largamente di speculatori finanziari e di materie prime, tutto dedito al controllo diretto dei governi, attraverso uomini propri. A riguardo, è esemplare il fatto che una legge finanziaria nazionale debba avere il beneplacito di banchieri europei e americani, i quali, oltre ad avere le stesse frequentazioni e formazione, in genere possiedono quote delle stesse società di rating, da cui spesso provengono, chiudendo così il circolo vizioso dell'affarismo, ministri e presidenti del consiglio.
Il ceto medio come eccezione storica
Si può parlare correttamente di ceto medio, solo per la seconda metà del Novecento. All'interno della storia del capitalismo il ceto medio rappresenta l'eccezione, la borghesia la regola. Storicamente discende da quel ceto di artigiani, piccoli impiegati, funzionari, avvocati, insegnanti formatosi economicamente e politicamente nell'Ottocento, sulla scia della rivoluzione industriale e francese. Insomma, il ceto medio nasce come classe recante servizi e “camera di compensazione” dei conflitti sociali (anche nel senso del concetto filosofico hegeliano di “società civile”). La differenza tra borghesia e ceto medio è costituita dal fatto che borghesia, neoborghesia e postborghesia hanno sempre cercato di contrastare, influire, e oggi, perfino sostituire la classe politica, mentre il ceto medio ne ha sempre cercato l'appoggio. Queste tre borghesie (escludendo la protoborghesia, che ha rivestito i caratteri premoderni della dipendenza politica) hanno cercato rispettivamente di competere, addomesticare ed eliminare il politico mentre il ceto medio, attraverso il patto welfarista, ha sempre cercato di porsi sotto la sua potente ala.
Il problema è che il passaggio dalla fase Neoborghese a quella Postborghese, ha aperto una fase di instabilità sociale, sempre più grave, che rischia di travolgere il ceto medio. Dal momento che sta progressivamente scomparendo quel ruolo di controllo politico dell' economia, impostosi negli anni Trenta, su domanda delle classi neoborghesi, all'epoca bisognose di masse di consumatori, per esaurire le scorte e così riprendere a produrre.
Per riassumere, semplificando al massimo: nella seconda metà del Novecento si sono avuti tre processi importanti, e successivi: a) lo sviluppo dell'interventismo statale; b) lo sviluppo del ceto medio, che raccoglie per esclusione tutti coloro che non appartengono all'alta borghesia: funzionari pubblici e privati di medio rango, medi e piccoli professionisti, insegnanti, dipendenti, pubblici, impiegati, operai specializzati; c) e infine negli anni Novanta l'apertura di una transizione dalla fase neoborghese a quella postborghese.
Tuttavia la postborghesia di oggi, a differenza della neoborghesia (che tutto sommato, anche a causa della guerra fredda aveva accettato il welfare per il ceto medio, soprattutto in funzione anticomunista), ritiene di non aver più bisogno del potere politico degli stati, dal momento che i quadri politici, già in larghissima misura, provengono dal potere economico, dal quale prendono, come tecnostruttura, direttamente ordini.
Ceto medio e contraddizioni postborghesi
Lo sviluppo di una postborghesia, molto sicura di sé e del proprio potere nascente, tuttavia è condizionato dal fatto che l'idea di un capitalismo padrone assoluto della scena politica, può scontrarsi di fatto con la liquidazione postborghese della politica, del welfare state e dunque del ceto medio. E dal momento che il capitalismo per crescere ha necessità di consumatori, ecco qui sorgere un elemento di contraddizione.
Da un parte, il capitalismo per continuare a crescere ha bisogno di una borghesia eroica, come nell'Ottocento e al contempo di un ceto medio esteso in grado di consumare quel che viene prodotto sul piano economico, come è avvenuto nelle seconda metà del Novecento. Di più: il capitalismo ha anche bisogno di una classe borghese consapevole di queste esigenze sociali, e capace, come in precedenza quella neoborghese, di tornare sui propri passi e riconoscere l'importanza dell'interventismo pubblico per l'esistenza del capitalismo stesso. Dall' altra parte, la postborghesia di oggi, già impadronitasi in larga parte del potere politico, ritiene che il capitalismo, celebrato come una miracolosa macchina automatica che una volta avviata produce in modo meccanico benessere e consumatori, possa crescere solo a patto di respingere qualsiasi interferenza politica e sociale. Per i postborghesi i consumatori sono “prodotti” naturalmente dal mercato e non artificialmente dalla politica welfarista di sostegno dei redditi.
E' chiaro che la teoria economica postborghese, giornalisticamente nota come “liberismo selvaggio, che tra l'altro privilegia borsa e finanza, può provocare solo macerie. Dal momento che un capitalismo puro senza quei consumatori (che da solo non può “produrre”) non ha assolutamente futuro. Da questo punto di vista, il rilancio negli anni Novanta dell'iperconsumismo, come estrema forma di razionalizzazione che procede di pari passo con lo smantellamento del welfare e con l'ascesa del potere postborghese, potrà essere sostenuto solo fin quando l'economia del debito, sulla quale si regge l'intero sistema, riuscirà a favorire mediante forme di credito al consumo e dilazione debitorie, una crescente produzione (e quindi consumo) di beni e servizi.
I “re fannulloni”
Fin qui si è parlato della postborghesia, come di una classe dominante che viene “dopo” l'esperienza borghese e neoborghese (e in argomento si leggano le riflessioni di Costanzo Preve apparse in precedenza su questa rivista, ma anche altrove). La si è definita una classe dedita cinicamente al perseguimento di facili profitti. E che perciò non ha più le qualità positive delle due borghesie precedenti, e neppure ne sta rivelando di nuove. Ora, è difficile dire se la sua scarsa capacità di “gestire” il capitalismo sia frutto di avidità, malafede, calcoli sbagliati, pura stupidità.
Sicuramente la postborghesia è una classe senile o decadente: da “fine ciclo” politico e sociale. Si tratta infatti di una “costante sociologica”: ogni gruppo sociale dopo una lunga fase di sviluppo, tende a chiudersi, e vivere, come dire, di luce riflessa, come quegli individui che una volta entrati nelle fase senile della propria esistenza, vivono di ricordi e di quel che resta dei risparmi accumulati in una vita di produttivo lavoro, così un gruppo sociale, come quello borghese, vive oggi di quel che il sistema capitalistico ha accumulato in passato grazie all'opera dei protoborghesi (che ne rappresentano la vivace infanzia), dei borghesi ( la vigorosa gioventù) e dei neoborghesi (la solida ma impegnativa maturità). Con l'arrivo della senilità postborghese, l'orizzonte di vita e idee si è andato gradualmente restringendo: le forze diminuiscono e come per i “re fannulloni”, anche i re della finanza e della borsa, rischiano di sprofondare a poco a poco in una routine quotidiana fatta di non sudati guadagni, di vecchie credenze, sogni e purtroppo miraggi, se non allucinazioni come quella che il sistema capitalistico possa automaticamente riprodursi all'infinito.
Sarebbe tuttavia pericoloso attendere passivamente il termine del ciclo e la naturale estinzione della fase postborghese, dal momento che i costi sociali di una sua lunga agonia economica, potrebbero essere altissimi. Soprattutto se la crisi di un gruppo sociale, quello postborghese, si estendesse, come è possibile, al capitalismo stesso.
Come riuscire allora a deporre i re fannulloni, senza ricorrere a un Maestro di Palazzo? E dunque al capitalismo stesso? Ma, in realtà, può esistere un capitalismo privo di una classe borghese?