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«America, ora siamo in tre»

di Rocco Cotroneo - 01/05/2006

 
Non solo ideologia, anche accordi economici ed energetici Chavez e Morales da Castro «America, ora siamo in tre» Venezuela e Bolivia stringono all’Avana il patto Alba


Lo scenario della festa è identico da mezzo secolo: piazza della Rivoluzione all’Avana, slogan e bandiere rosse. Ma l’occasione riesce a commuovere persino l’eterno protagonista. Fidel Castro è dovuto arrivare alla soglia degli 80 anni (li compirà ad agosto) e a 46 ininterrotti di potere per ritrovarsi finalmente a fianco due fedeli alleati e discepoli che parlano la sua lingua. «Oggi sono l’uomo più felice della Terra. L’America ha due nuovi leader, da oggi siamo in tre». Abbracci e ovazioni. Ad omaggiare il líder máximo sono arrivati il presidente venezuelano Hugo Chavez - ormai un habitué - e soprattutto Evo Morales, eletto da poco in Bolivia. L'occasione è quella dell’allargamento al terzo Paese «fratello» del patto chiamato Alba (Alternativa bolivariana per le Americhe). Alternativa ai nemici comuni: gli Stati Uniti, il neoliberalismo, il libero commercio.

Evo Morales (47 anni) aveva due mesi di vita quando i barbudos guidati da Fidel scendevano dalla Sierra Maestra per conquistare il potere all’Avana. Chavez (52) stava entrando alle elementari.

L’incontro non ha però l’aria di un passaggio delle consegne. Ognuno cita la sua revolución , sorvolando sul fatto che la prima non è mai stata sottoposta al verdetto delle urne e che i due discepoli, invece, sono stati eletti. Il filo conduttore, però, esiste.

Cuba, Venezuela e Bolivia si stringono ufficialmente in una alleanza, che i conservatori Usa vedono come il fumo negli occhi e che invece i protagonisti esaltano come l’inizio di una nuova era di liberazione dal «giogo imperialista». Sul palco, come comprimario, c’è il vecchio leader sandinista Daniel Ortega, che potrebbe tornare al potere nelle elezioni di novembre in Nicaragua. E chissà che tra qualche settimana l’Alba non accolga anche il Perù. Ollanta Humala, il candidato che si ispira a Chavez e Morales, è in vantaggio in attesa del secondo turno delle presidenziali, tra un mese. Dovesse vincere, Avana e Caracas saranno le sue prime destinazioni.

Parlano solo di economia, risorge energetiche e scambi di know-how , i tre leader. Ma gli ultimi eventi in America Latina stanno provocando un terremoto geopolitico. Il Venezuela ha abbandonato il Patto Andino per protestare contro la decisione della Colombia di siglare un patto di libero commercio con gli Stati Uniti. Anche la Bolivia potrebbe farlo. L’ideologia c’entra fino ad un certo punto. Morales ha fatto notare che la decisione colombiana toglierà alla sua già asfittica agricoltura l’unico mercato di esportazione per la soia. Senza più barriere doganali, Bogotà si rivolgerà agli Stati Uniti, che producono a prezzi migliori.

Sempre Chavez ha minacciato di rompere i rapporti diplomatici con il Perù se l’amico Humala non dovesse vincere. O meglio, se dovesse prevalere il suo avversario Alan Garcia, che ha definito un «ladro». Per tutta risposta, il Perù ha ritirato il suo ambasciatore a Caracas. Una vittoria di Humala farà certamente saltare anche il preaccordo di libero scambio con gli Usa messo a punto tra Washington e Lima.

Cosa vuol essere, piuttosto, l’Alba? L’incontro dell’Avana non ha offerto molti dettagli. Il Venezuela continuerà a fornire petrolio a Cuba a prezzi di favore (qualcuno dice gratis) e promette ora diesel alla Bolivia, insieme ad altri aiuti per l’industria petrochimica. Castro risponde con quello che può: ha già mandato 30.000 medici nella favelas venezuelane e intende farlo anche con la Bolivia. Morales ammette che il suo Paese è quello che ha più da guadagnare con l’alleanza. Ma non parla delle grosse difficoltà che sta affrontando con le multinazionali del gas dopo essere arrivato al potere, soprattutto con la brasiliana Petrobras, che da sola pesa in Bolivia per un quinto del Pil nazionale.

Il resto sono slogan. «La migliore difesa è l’attacco - ha detto Chavez dal palco -. E noi ci stiamo difendendo dai progetti imperialisti del libero commercio voluto dagli Stati Uniti».

Dimenticandosi di citare, come ha ricordato il noto osservatore Andres Oppenheimer, il milione e mezzo di barili al giorno che vende al grande nemico del Nord. A 75 dollari l’uno.