La Turchia in Medio Oriente: una nuova potenza regionale
di Sergio Romano - 21/05/2010
La Turchia cede una grossa partita del suo uranio all’Iran. Possiamo sempre considerarla l’anello duro della catena Nato o piuttosto quello debole dell’Occidente? Non le sembra che la politica turca guardi sempre più verso i suoi correligionari mediorientali che verso l’Unione Europea? Questo voltafaccia non era prevedibile?
Nerio Fornasier
Caro Fornasier, Dopo la fine della Guerra fredda e la disgregazione dell’Unione Sovietica, la Turchia aveva di fronte a sé due strade. Poteva puntare sull’adesione dell’Unione Europea e fare in tal modo una scelta nettamente occidentale; oppure diventare la maggiore potenza regionale di un’area che si estende dai Paesi arabi del Levante sino al Caucaso, all’Iran e alle Repubbliche islamiche dell’Asia Centrale. Ha scelto l’Europa e si è dedicata con grande impegno a realizzare le riforme che avrebbero soddisfatto le richieste dell’Unione Europea. Ma ha dovuto constatare che alcuni Paesi — in particolare Austria, Germania e Francia — erano pregiudizialmente ostili alla sua adesione. I negoziati sono cominciati, ma con reticenze e ostacoli che dimostrano quanto il percorso sia destinato a essere lungo e accidentato. Era inevitabile, in queste circostanze, che la Turchia non trascurasse i suoi interessi regionali. La sua prospettiva è quindi cambiata. Negli anni in cui era «occidentale» i suoi rapporti con gli Stati Uniti, con Israele e con la Nato erano più importanti di quelli che avrebbe potuto stabilire con la Siria, con l’Iraq, con le Repubbliche dell’Asia Centrale e con l’Iran. Da quando alcuni Paesi europei hanno dato chiari segni di non desiderare la sua adesione all’Ue, la Turchia ha modificato le sue priorità e dedicato ai problemi della sua regione più attenzione di quanta non ne dedicasse precedentemente. Ha ricucito il rapporto strappato con la Siria di Bashar Al Assad. Ha eccellenti rapporti con l’Azerbaigian. Ha offerto una mano all’Iran per aiutarlo a uscire dal vicolo cieco in cui il regime degli ayatollah si era rinchiuso. E non ha esitato a prendere posizioni anti-americane o anti-israeliane quando esse minacciavano la stabilità delle regione. Questo riallineamento è stato favorito da due fattori. In primo luogo la Turchia, dopo la vittoria del Partito Giustizia e sviluppo nel marzo del 2003, ha un governo islamico moderato, ma più conforme all’identità religiosa della regione. E ha creato un sistema politico che parecchi musulmani sperano di adattare al futuro del loro Paese. In secondo luogo l’invasione americana dell’Iraq, la guerra di Israele contro il Libano del 2006 e l’operazione contro Gaza alla fine del 2008 hanno giustificato agli occhi della Turchia il suo riallineamento e le hanno consentito prese di posizione (penso in particolare al clamoroso scontro fra Erdogan e il presidente israeliano Shimon Peres a Davos) che la regione ha apprezzato. Questo non significa che la Turchia abbia oggi istituzioni meno occidentali. Le sue riforme costituzionali si propongono di eliminare caratteristiche (il potere dei militari) che l’Unione Europea considerava incompatibili con uno Stato democratico. La Nato non può più contare su un alleato totalmente schierato sulle posizioni americane. Ma può compiacersi del fatto che la Turchia sia oggi il più avanzato e democratico dei Paesi del Medio Oriente, forse un modello per l’evoluzione politica della regione.

