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Magia naturale e magia diabolica nel pensiero di Giambattista Della Porta

di Francesco Lamendola - 02/06/2010


Una strana dimenticanza sembra essere scesa su Giambattista Della Porta, uno degli uomini più intelligenti, più colti e intellettualmente più audaci che vissero in quel secolo, già di per sé straordinario, che fu il Cinquecento; è significativo anche il fatto che, dopo essere incorso nei sospetti dell’Inquisizione, nessuno degli intellettuali “laici” e “progressisti” della modernità si sia preso il disturbo di tornare a lui, se non con l’entusiasmo un po’ partigiano del militante, almeno con l’umana simpatia e con il sincero desiderio di conoscenza dello studioso.

Stranezza solo apparente, poiché già da tale circostanze emerge la più verosimile spiegazione: Della Porta non è MODERNO, nel senso che oggi si vuol dare alla parola. Curioso ed aperto sul mondo dell’esperienza a trecentosessanta gradi - si interessò di crittografia, di meteorologia, di magia, di idraulica, di chimica, di ottica, di magnetismo, di medicina, di geologia, di botanica, di anatomia, di mnemotecnica, di fisiognomica,di teatro - e così coraggioso da sostenere, senza batter ciglio, che il sapere magico è reale e che egli stesso lo ha esplorato, sfrondandolo dell’involucro diabolico in cui era stato fino allora avvolto -, gli mancano, però, due requisiti essenziali della modernità: non crede che tutto il reale sia razionalmente spiegabile e non crede che lo straordinario sia soltanto il nome che noi diamo a ciò che ancora non sappiamo, pur ammettendo che ciò accade per un certo ambito di fenomeni.

Difficile, quindi, se non impossibile, fare di Della Porta una bandiera della libertà di pensiero, possibilmente contro una Chiesa oscurantista, ignorante e superstiziosa, come è stato fatto per Galilei, Campanella e Sarpi (coi quali tutti, peraltro, il Nostro ebbe frequentazioni dirette); e si sa che i nostri intellettuali “laici” e “progressisti” non si scomodano se non per celebrare le “magnifiche sorti e progressive” della modernità e che vivono nell’ossessione di poter alimentare, magari involontariamente, un’armata di straccioni sanfedisti i quali non si prosternano, pensa un po’ che arroganza, davanti agli altari della Dea Ragione…

Sia detto fra parentesi, Della Porta era talmente gentiluomo che, pur protestando, inizialmente, per la pretesa di Galilei di avere “inventato” il cannocchiale, rivendicando a se stesso tale merito (in una lettera al Cesi), ben presto si astenne da ogni polemica e si unì al coro degli estimatori dello scienziato pisano; anche se, poi, l’Accademia dei Lincei gli avrebbe dato pienamente ragione, come già aveva fatto, fin dal 1610, Giovanni Keplero.

Ma quanti sono, oggi, i manuali scolastici, quante sono le persone di media cultura che ricordano la priorità di Della Porta nella realizzazione del telescopio? Più o meno, crediamo, quanti sono quelli che ricordano come, nella polemica sulla natura delle comete intercorsa fra Galilei e il gesuita Orazio Grassi, di cui è testimonianza «Il Saggiatore», era il secondo ad avere pienamente ragione, e non il primo…

L’opera di Della Porta su cui vogliamo soffermare la nostra attenzione non è la celebratissima «Magia naturalis», ma una vastissima opera a carattere enciclopedico, la «Taumatologia», della quale ci rimane solamente l’Indice, recentemente scoperto, poiché la morte improvvisa dell’Autore, - avvenuta nel 1615, in seguito a un rapida malattia - gli impedì di portarla a termine.

Nelle sue intenzioni, doveva trattarsi di una specie di terza edizione della «Magia naturalis», dopo quelle del 1558 in quattro libri e del 1589 in ben venti libri.

La parte più interessate, per comprendere le idee di Della Porta riguardo al mondo della magia, è il quinto libro, intitolato «Trattansi i più ascosti rimedij della natura»; in cui, dopo aver reso omaggio alle tendenze culturali del suo tempo, con una frecciata contro gli aristotelici ignoranti e presuntuosi e definendo la natura in termini meccanicistici e quasi cartesiani («la gran machina del Mondo»), sostiene che, di fatto, magia colta e magia naturale coincidono, ricollegando le proprie ricerche a quelle di Agrippa, Paracelso, Cardano.

In sostanza, la magia non è che la conoscenza dei segreti della natura che giacciono su un piano diverso dall’ordinario: ad esempio, la conoscenza del potere del fegato del pesce di cui parla il libro biblico di Tobia, per scacciare il demonio che uccide i mariti di Sara; segreti che i demoni, appunto, rivelano agli uomini attraverso la pratica della magia nera, poiché essi li conoscono tutti, essendo detentori di un sapere superiore all’umano; ma che gli uomini, nondimeno, possono esplorare anche da sé, senza bisogno di affidarsi a delle guide così abominevoli.

Per Della Porta, lo spirito può agire sulla materia anche a distanza, per esempio operando delle guarigioni senza neppur bisogno che il medico venga a visitare personalmente il malato (forse aveva anche presente la guarigione miracolosa operata da Cristo sul servo del centurione); e, appoggiandosi all’autorità di Avicenna, sostiene che l’elemento fondamentale per piegare gli elementi della natura al proprio volere, è l’intensità del desiderio. Il mago, insomma (cosa che egli negava di essere, forse anche per non esporsi ulteriormente ai sospetti dell’Inquisizione) è colui che sa volgere a proprio vantaggio la conoscenza dei misteri della natura e che sa, al tempo stesso, concentrare su un determinato oggetto tutta la propria forza di volontà e tutto l’ardore che da essa si sprigiona, costringendo le cose a piegarsi docilmente innanzi a lui.

Il malato che si fida ciecamente del proprio medico e che si abbandona a lui senza riserva alcuna è già sulla via della guarigione, osserva Della Porta; tanto più che l’uomo è stato fatto di poco inferiore agli Angeli, come dicono i Salmi, e nulla è in grado di resistergli, se egli si propone una determinata meta con tutta la determinazione di cui è capace.

Ha scritto Luisa Muraro nella sua interessante monografia «Giambattista Della Porta mago e scienziato» (Milano, Feltrinelli Editore, 1978, pp. 37-40):

 

«Invece di pensare una natura tutta pervasa di mistero,  il Porta distingue nettamente tre livelli di conoscibilità.  Ci sono fenomeni che discendono da principi naturali noti;  ci sono fenomeni il ci principio non ci è conosciuto ma  su cui possiamo formulare delle ipotesi esplicative;  e ci sono infine fenomeni inesplicati ed inesplicabili. Il libro V [della “Taumatologia”] tratta di questi ultimi e si intitola perciò “Criptologia”: “Trattansi in questo libro i più ascosi segreti, che nel più riposto seno della natura riposti sono, de’ quali né natural principij, né verisimil cagioni render si possono”.

E sono, riassumendo un po’: scacciare  i demoni dai corpi umani;  togliere le malie d’amore, gli impedimenti al coito e alla generazione; fare che una persona si innamori di altri;  togliere le infatuazioni; interpretare i sogni e prevedere il futuro; guarire a distanza,  con una verga scoprire oro, argento e altri tesori;  ottenere con amuleti la benevolenza dei potenti.

Abbiamo qui un campionario delle prestazioni tipiche delle fattucchiere  e dei maghi. Sono prodigi che si distinguono da quelli della magia naturale in quanto, a giudizio dei demonologi e del senso comune, sarebbero impossibili senza un aiuto soprannaturale. Si tratta, è vero,  di MAGIA BIANCA, cioè benefica, ma si sa che il detentore d’un potere lo può usare in bene come  in male. La magia bianca  era perciò proibita e punita come la magia  malefica. Che di stregoneria si tratti non c’è dubbio, poiché lo dice lo stesso Della Porta: questi segreti, scrive, sarebbero stati malagevoli a scoprirsi dall’uomo, “ma gi sono  stati manifestati dai demonij”. I quali, dopo essere stati scacciati dal Paradiso,  furono privati della grazia divina, non però delle loro naturali conoscenze sulle virtù dei cieli, dei metalli, delle pietre,  delle erbe e degli animali. Queste conoscenze,  prosegue l’autore, essi comunicano agli uomini,  non per amore ma per portarli alla dannazione eterna.  Infatti le comunicano associandovi cerimonie blasfeme, esecrande imprecazioni e bestemmie, affinché gli uomini attribuiscano  gli effetti naturali al contorno superstizioso  e siano così spinti a offendere Iddio.  È una frode diabolica, conclude il Porta, da me scoperta e di ciò mi glorio più d’ogni altra cosa in 70 anni di vita, avendo in tal modo aperto agli investigatori, a me stesso per cominciare, una strada prima preclusa dal timore d’offendere Dio.

Non so come egli pensasse di far accettare simili argomenti ai teologi dell’Inquisizione romana;  bene fa a ricordar loro d’essere ormai un uomo vecchio, al quale si può concedere di pensare delle stravaganze,. Ma stamparle no di certo.

L’excursus demonologico doveva servire a rinforzare  una posizione veramente difficile da sostenere e non soltanto davanti ai teologi. Che è il valore di tutta la tradizione magica, anche di quella popolare. I riti blasfemi,  i sacrifici di esseri umani e bambini,  insomma tutto il cerimoniale della stregoneria, altro non sono che l’involucro diabolico d’un sapere autentico, d’un potere reale, di cui l’uomo può appropriarsi  senza più niente attribuire al diavolo.  Il contorno diabolico, reso ora superfluo,  si sarebbe storicamente insinuato, sostiene il Della Porta,  in tempi recenti, coprendo fatti prodigiosi i quali hanno il loro fondamento nella natura,  ma nel suo “più riposto seno”, oltre l’intendimento umano, tanto che per conoscerli  è stata utile, se non necessaria, una specie di rivelazione diabolica.

Non è difficile capire quello che il Della Porta intende dire:  che c’è un contenuto di verità anche nella magia popolare, anche nella stregoneria, nonostante il rituale sacrilego che l’accompagna,. E la scienza, per lui la magia naturale, deve accogliere questi contenuti veri, benché non possa tradurli in discorso di trasparente razionalità. “Gli ignoranti filosofi quando  per i principij d’Aristotele  non ne posson render cagione (come se tutte le cose sapute avesse) li giudican superstizioni”; non cos’ si comportano I DOTTI i quali ben sanno”che delle infinite numero delle cose che si veggono in questa gran machina del Mondo […] apena una particella ne sappiamo”.

Ma esiste un criterio che consenta di riconoscere per vere certe cose, benché prive d’ogni possibile spiegazione?  Esiste ed è molto semplice: che la loro EFFICACIA sia provata, SPERIMENTATA da qualcuno. Il Della Porta dice d’averlo fatto: “avendogli io semplicemente esperimentati, [questi segreti] mi sono verissimi riusciti

Magia colta e stregoneria, inquinamenti diabolici a parte,  discendono insieme da quella magia naturale che in tempi remoti fui praticata da tutti i sapienti. Le pratiche considerate oggi superstiziose  si trovano infatti “quasi in tutta l’antiqua Medicina.

“Era antiquamente la natural magia da tutti i sommi filosofi e grandi nella sapienza  amata e riverita”, scrive il Della Porta ricorrendo a un argomento  che troviamo sempre ripetuto, da Apuleio a Bacone a Agrippa. Ma nessuno osa quanto lui accorciare le distanze tra magia dotta e magia popolare, tra un sapere che l’uomo colto acquista lentamente  e le superstizioni popolari. Al Della Porta manca il senso aristocratico della tradizione magica.  Perciò è sulla strada di corromperla; nel Cinquecento , con l’affermarsi dei procedimento tecnici nelle operazioni sula natura, lo spirito di quella tradizione non si poteva forse salvare  se non enfatizzandone l’aspetto iniziatico, segreto, come fa Agrippa.  Il Della Porta guarda prevalentemente a un altro aspetto di quella stessa tradizione, che era l’efficacia attribuita al desiderio, mago essendo colui che modifica il corso normale degli eventi per far esistere qualcosa che stava soltanto nella fantasia. Lui stesso ricevete dalla voce popolare il nome di mago (per liberarsi del quale dovete poi faticare non poco), e non fu u abuso, perché quel nome prima che a lui era stato data ad Agrippa, Paracelso, Cardano, e ancor prima ad Alberto Magno, a Ruggero Bacone, a Roberto Grossatesta…, come a chi si adoperava per realizzare desideri  solo umani, di salute, ricchezza, preveggenza, e per soddisfare un’autonoma  curiosità sulle cose di questo mondo.

Il libro della “Criptologia” non a caso termina con una riflessione sulla potenza del desiderio umano. In fondo, i prodigi di cui non troviamo una spiegazione razionale, potrebbero spiegarsi così: certamente  non con l’intervento diabolico e nemmeno  con le leggi della natura esterna, ma  con un’efficacia diretta del desiderio. Forse ha ragione Avicenna, che “l’uomo rapito dall’ardente desiderio di conseguir un’impresa,  costringe tutte le cose ad ubidirlo”, forse quel potere gi viene dall’essere creato ad immagine di Dio, come un MIRACOLO al di sopra della natura; e in ogni caso “perché vogliam dubitare che rapito in eccesso di desiderio, tutte le create cose non si sforzino ubbedire al suo Imperio?

Dalla forma stessa di questa domanda si capisce che il Porta, più che un’ordinaria certezza, vuol far accettarla possibilità dello straordinario. Questa possibilità infatti è essenziale a lasciare indefinito l’orizzonte dea scienza ordinaria, così come lui la concepisce: investigazione progressiva di una natura che non finisce là dove finisco no le deduzioni razionali. Lo straordinario che egli ha in mente rientra nondimeno nell’esperienza umana. L’ordine naturale non è superrato da u soprannaturale, ma dall’uomo stesso, e precisamente dal suo desiderio quando è “in eccesso”. Accade allora che la sua volontà si comunichi alle cose, tramite le immagini e le parole. Nei segni, infatti, naturale materiale e natura spirituale  sono in contatto diretto. “Da qui la cagion dell’immagini, parole, e loro effetti provengono, e che [non] sono altro che testificazioni del suo volere, della sua mente”. Da qui discende, come già aveva detto Avicenna,  “che l’infermo guarisce, che creda senza dubbio al suo medico”.»

 

Il tratto più caratteristico del pensiero di Giambattista Della Porta è il senso acuto dei limiti della ragione; ed è anche il tratto che ne fa un intellettuale decisamente pre-moderno e tale, perciò, da non trovare troppe simpatie fra i nipotini dell’Illuminismo e del Positivismo arroccati, oggi, nelle posizioni culturali dominanti.

Se poi si aggiunge che Della Porta ha avuto il torto di scoprire il telescopio prima di Galilei e la signorilità di non farne una lunga, astiosa polemica; se si aggiunge che, a diciassette anni (ma forse la notizia, riportata dal Cesi, va presa con le pinze) già si presentava alla corte di Filippo II, per offrire al sovrano spagnolo la sua «Magia naturalis»… Filippo II, il campione dell’assolutismo e della Controriforma: figuriamoci! Davanti a un fatto de genere, anche i più impavidi intellettuali odierni, politicamente corretti e sacrosantamente anticlericali, impallidiscono e retrocedono; più o meno come fanno davanti alle immagini di Heidegger che stringe la mano a Hitler (ma senza scandalizzarsi troppo davanti a quelle di Gorkij e di tanti altri che s’intrattengono fraternamente con  il “compagno” Stalin).

Non basta.

Il Della Porta, come si è visto, non sente il fascino della tradizione dotta della magia; e, in questo, è indubbiamente molto lontano da uomini come John Dee, Agrippa, Paracelso e dallo stesso Giordano Bruno. Ogni aristocraticismo è estraneo alla sua natura: eccezion fatta, tutt’al più  - altro tributo che egli paga generosamente al “gran secolo”, al Seicento che batte alle porte - per il piano letterario; anche se, in fin dei conti, il suo registro linguistico è piuttosto turgido e, a volte, stucchevole, che non propriamente ricercato e aristocratico; come si vede, del resto, nelle sue numerose commedie.

Nessuna possibilità di agganciarlo al filone principale dei celebri maghi-scienziati del Rinascimento, dunque, e alla loro grande tradizione, ricca di prestigio europeo… Del resto, pur essendo egli di casato aristocratico, la sua passione per le forme corpose e popolaresche del teatro, che valse una discreta fortuna internazionale alle sue commedie, testimonia a sufficienza la sua irriducibilità ai parametri culturali di tutte le ideologie. È come se egli avesse avuto il dono di abbeverarsi a tutte le sorgenti culturali del suo tempo, senza però lasciarsi imprigionare in uno schema rigido e predeterminato.

Questa, forse, è anche la giusta chiave di lettura del suo pensiero magico e occultistico. Uomo di immensi interessi culturali e di infinite letture, ma anche di sano e concreto buon senso, apprezzato dai contemporanei per le sue doti di profonda umanità, Della Porta rifuggiva istintivamente dagli atteggiamenti solenni e un po’ istrioneschi che non dispiacevano, invece, ad uomini come Paracelso e Dee e preferiva affidarsi all’esperienza diretta, come lo studio delle proprietà dei semplici, tenendo, al tempo stesso, una finestra sempre aperta sul regno del possibile.

Per lui, non è detto che si possa spiegare ogni cosa, perché esistono fenomeni dei quali la ragione non è in grado di rendere conto; ma ciò che la ragione astratta non riesce a penetrare, può essere sperimentato in maniera diretta, purché si possiedano conoscenze approfondite sulle piante, sui minerali e sui loro effetti. Significativamente, a questo sapere pratico egli unisce reminiscenze letterarie dalla Bibbia e dagli autori classici, come Virgilio, oltre che dalla tradizione neoplatonica, specialmente da Porfirio e Giamblico; amalgamando il tutto in un quadro d’insieme che sfugge a ogni possibilità di una rigida teorizzazione, perché risulta da un sapiente dosaggio di stimoli concettuali dalla provenienza più disparata.

Sono questo spirito enciclopedico, questa umiltà davanti all’evidenza del fatto e questa fiducia rinascimentale nella ragione e nella volontà, ma non senza la consapevolezza dei loro limiti, che fanno di Giambattista Della Porta un personaggio strano e affascinante, davanti al quale abbiamo sempre l’impressione che qualcosa della sua personalità e del suo messaggio culturale ci sia sfuggito; che permanga un “residuo”, una porzione di realtà che non si lasciano afferrare pienamente né, tanto meno, incasellare in un sistema chiuso.

Il pensiero di Della Porta è aperto, apertissimo: e, come tale, costituisce ancora oggi un forte richiamo alla ricerca disinteressata e libera da pregiudizi di qualunque natura; ivi compresi quelli di coloro i quali, in nome della libertà di pensiero, vorrebbero stabilire in anticipo che cosa sia possibile nel campo dei fenomeni naturali, e che cosa non lo sia…