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La Turchia rompe con Israele. Ma stavolta può essere un divorzio serio

di Stefano Torelli - 02/06/2010




Già prima dell’attacco israeliano alla “Freedom Flotilla”, di cui la Turchia era il principale sponsor, le relazioni tra Tel Aviv ed Ankara non erano sicuramente nella fase migliore della loro storia.

Fino a qualche anno fa addirittura strettamente alleati, soprattutto in funzione anti-siriana, i due Paesi hanno cominciato a distanziarsi progressivamente negli ultimi tempi. Nonostante l’alleanza sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Europa, funzionale ad avere una maggiore sicurezza nella regione mediorientale, con l’inizio del nuovo secolo e la redistribuzione regionale di potere Turchia e Israele avevano iniziato ad avere politiche diverse, in parte divergenti, come dimostrato ad esempio dall’avvicinamento turco all’Iran, proprio mentre quest’ultimo diventava più aggressivo di prima nei confronti dello Stato israeliano.

Ma, ad ogni modo e per molti fattori, i rapporti bilaterali tra Israele e Turchia già da tempo avevano cominciato ad incrinarsi. La manifestazione più lampante di tale deterioramento dei rapporti si è avuta nel gennaio del 2009, quando a seguito dell’operazione “Piombo Fuso”, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan polemizzò duramente con il presidente israeliano Shimo Peres durante un incontro del Forum economico internazionale di Davos, arrivando ad abbandonare la sala. In effetti già nel 2006, quando Hamas si era reso protagonista della vittoria elettorale nei Territori palestinesi, Ankara aveva ricevuto esponenti di spicco del movimento islamico, provocando le ire di Tel Aviv.

La Turchia, dopo l’episodio di Davos, ha continuato a condannare pubblicamente Israele per la sua politica nei confronti dei palestinesi, ergendosi a paladina dei diritti della popolazione di Gaza e della Cisgiordania agli occhi di tutto il mondo arabo-musulmano. Certamente un ruolo nuovo, che dà non poco fastidio al governo israeliano.

Poi è stata la volta dei messaggi, diretti o meno, tramite alcune azioni dal forte carattere simbolico. Prima su tutte, lo scorso inverno, la cancellazione di un’esercitazione aerea congiunta che si sarebbe dovuta tenere in Turchia tra le forze aeree turche ed israeliane, proprio mentre l’esercito turco si apprestava, d’altro canto, a condurre la prima esercitazione militare congiunta alle forze armate siriane. Tutto ciò mentre la Siria, nemico israeliano ed ancora formalmente in stato di guerra con Tel Aviv, si era momentaneamente tirata fuori dai negoziati indiretti con Israele (sempre con la mediazione della Turchia), a causa delle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza. All’inizio di quest’anno si è assistito alla cosiddetta “crisi della sedia”, nel momento in cui il vice-ministro degli Esteri israeliano Danny Ayalon, in una conferenza con l’ambasciatore turco in Israele Oguz Celikkol, aveva riservato a quest’ultimo un posto a sedere molto più basso degli altri, per di più senza porre sul tavolo la bandiera turca, ma solo quella israeliana; il tutto in segno di protesta per una soap opera andata in onda in Turchia in cui veniva lesa, a giudizio di Tel Aviv, l’immagine israeliana. Nel mondo della diplomazia, tanto è bastato perché si creasse un’altra piccola crisi diplomatica.

Le relazioni sono continuate ad essere tese, ma probabilmente nessuno si aspettava che si potesse giungere al livello cui si è arrivati ieri. L’azione israeliana, che ha comportato l’uccisione di una decina di civili turchi (se le fonti venissero confermate, anche un parlamentare di Ankara), su una nave battente bandiera turca e in acque internazionali, potrebbe davvero segnare il punto di non ritorno nel deterioramento delle relazioni tra Tel Aviv ed Ankara. Erdogan ha pubblicamente dichiarato che Israele ha commesso un atto di terrorismo e il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha parlato di “conseguenze irreparabili”, dopo l’operazione congiunta della marina e degli elicotteri israeliani. La Turchia ha già richiamato in patria il proprio ambasciatore a Tel Aviv e i rapporti sono stati congelati.

Per il processo di stabilizzazione del Medio Oriente non sarebbe potuto accadere un fatto più grave. Ankara rappresentava, per Israele, l’unico interlocutore davvero credibile e allo stesso tempo abbastanza influente nell’area. Lo scenario che si pone davanti agli occhi adesso è dei peggiori. Ieri migliaia di persone hanno tentato di assaltare il consolato israeliano ad Istanbul, proprio mentre il primo ministro turco dava dei terroristi al governo israeliano. Prevedibilmente, i rapporti tra i due Paesi non saranno più come prima per un lasso di tempo presumibilmente abbastanza ampio. Ciò comporta la sospensione di qualsiasi negoziato indiretto tra Siria e Israele, un indurimento delle posizioni turche nei confronti di Tel Aviv, un duro stop al processo di pace in Palestina (di cui la Turchia si poneva come uno dei maggiori promotori) e un isolamento maggiore di Israele.

La Turchia rappresentava la maggiore speranza di uscita dall’isolamento israeliano nella regione. Adesso dovremo aspettarci un allineamento sempre più convinto della Turchia alla Siria e all’Iran e un Israele forse ancora più intimorito e pronto a colpire dovunque. 

* per Osservatorio Iraq