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Dershowitz contro Chomsky, i dilemmi dei liberal

di Maurizio Molinari - 04/05/2006

 
DIBATTITO A CONFRONTO I LIBRI DEI DUE GURU: UNO CONSIDERA IL SUO PAESE UN FARO DI DEMOCRAZIA, L’ALTRO UN PERICOLO PER L’UMANITÀ


L’uno elogia la democrazia americana, l’altro ne denuncia la degenerazione; l’uno ritiene la guerra preventiva una realtà della Storia e suggerisce di codificarla nel diritto internazionale, l’altro la considera l’architrave di una dottrina politica basata sull’abuso del potere; l’uno continua a vedere nell’America il faro della democrazia nel mondo, l’altro lo ritiene spento e pericoloso.

A descrivere il duello di idee fra due voci di spicco del firmamento liberal come Alan Dershowitz e Noam Chomsky sul ruolo dell’America nel mondo del dopo-11 settembre sono due volumi che in comune hanno solo il fatto di superare le 300 pagine. Il giurista di Harvard protagonista negli anni ‘60 delle battaglie del movimento per i diritti civili ha scritto «Preemption, a Knife that Cuts both Ways» (Prevenzione, un’arma a doppio taglio) mentre lo scrittore portabandiera della sinistra pacifista ha firmato «Failed States, The Abuse of Power and the Assault on Democracy» (Stati Falliti, l’abuso del potere e l’assalto alla democrazia). La lettura comprata dei due volumi, arrivati quasi contemporaneamente nelle librerie, aiuta ad esplorare il duro confronto in atto nel laboratorio di idee liberal da cui in genere attinge il partito democratico per elaborare le proprie politiche.

Tanto Dershowitz che Chosmky partono dalla volontà di descrivere l’America uscita dal crollo delle Torri Gemelle e di analizzare l’impatto delle politiche scelte per combattere il terrorismo su scala globale. Ma l’approccio non potrebbe essere più divergente. Dershowitz affronta il fulcro della dottrina Bush, la guerra preventiva, per smitizzarla: spiega che la sua genesi è nella scelta dell’uomo di difendersi da chi lo minaccia con un coltello, snocciola i precedenti storici in cui è stata applicata fino a declinarla nel diritto penale interno (l’arresto di boss mafiosi intenzionati a continuare una catena di delitti) e nel diritto umanitario, prendendo ad esempio l’importanza che avrebbe avuto un «intervento preventivo» in Ruanda a metà degli anni ‘90. Ma l’intervento preventivo è un’arma a doppio taglio - spiega Dershowitz - perché se a volte può essere giustificato altre non lo è affatto: la differenza è quella che passa fra la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando Israele dovette attaccare Siria ed Egitto per evitare di essere cancellata dalla carta geografica, e l’intervento americano in Iraq nel 2003, non legato a minacce dirette per gli Usa. La conclusone è che per far venir meno il «doppio taglio» la comunità internazionale deve darsi una «giurisprudenza sulla prevenzione e la pre-azione».

Se Dershowitz suggerisce di regolamentare gli interventi preventivi, Chomsky ritiene piuttosto che «l’asserito diritto degli Usa di intervenire militarmente negli Stati falliti in tutto il mondo pone in pericolo tanto il popolo americano che tutti gli altri». La scelta di intervenire in Stati «che non sono capaci o non vogliono difendere i loro cittadini dalla violenza» per Chomsky chiama in causa l’America stessa per via del fatto che proprio l’amministrazione Bush è la prima a voler agire «considerandosi oltre i limiti imposti dal rispetto delle leggi nazionali ed internazionali». Il docente di filosofia al Mit di Boston è convinto che la dottrina dell’intervento preventivo non abbia nulla a che vedere con i pericoli per la sicurezza degli Usa dopo l’11 settembre, quanto piuttosto con la volontà dei suoi leader politici di «militarizzare il pianeta, aumentando i rischi di guerra nucleare». Da qui anche il disaccordo con Dershowitz sull’interpretazione della legge internazionale: se il giurista di Harvard afferma che la Corte Internazionale dell’Aja non è in grado di codificare le azioni preventive in quanto espressione di Stati che nei loro codici non le prevedono, secondo Chomsky le Corti e convenzioni espresse dall’Onu devono essere difese ad oltranza.

Nulla da sorprendersi dunque se le conclusioni dei volumi vanno in direzione opposta: Dershowitz chiede alla comunità internazionale di prendere atto della necessità di codificare la guerra preventiva al fine di evitarne futuri possibili eccessi, anche da parte degli Usa, mentre Chomsky chiede alla Casa Bianca un’inversione di rotta di 180 gradi sul rispetto della Corte penale internazionale, della Convenzione di Ginevra e dell’«interpretazione tradizionale» della Carta dell’Onu. Il duello di idee non potrebbe essere più esplicito e ben descrive il dilemma dei democratici di fronte all’eredità politica di Bush: innovarla o cancellarla.