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Afghanistan. L`offensiva atlantica è in panne

di Ugo Gaudenzi - 11/06/2010

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Il generale Fabrizio Castagnetti, capo di stato maggiore dell’Esercito, ha presenziato il 4 giugno, presso il Policlinico Militare di Roma, il 175° anniversario della Fondazione del Corpo Sanitario dell'Esercito.
E allora? Direte voi.
Intanto c’è da notare la data dell’anniversario: la fondazione del Corpo di Sanità viene fatta risalire al 1833, a Carlo Alberto di Savoia, quando le terre di Piemonte, la Savoia, Nizza, Genova e Sardegna prendevano nome da quest’ultima regione, barattata dagli Asburgo ai Savoia nel 1720 in cambio del regno di Sicilia.
Poi è interessante registrare che il corpo viene oggi dispiegato per “compiti umanitari” e “sociali” nelle zone oggetto del grazioso intervento delle forze multinazionali “di pace”. Nei teatri delle guerre d’aggressione contemporanee, insomma. Nel nostro Vicino Oriente: in Iraq, in Afghanistan, in  Libano.
Quindi è doveroso sottolineare in estrema sintesi il discorso del capo di stato maggiore. Che, senza tanti giri di parole, ha trattato del vistoso calo degli arruolamenti volontari di soldati italiani in tali zone belliche. Chiedendosene di fatto il perché.
Cerchiamo di aiutarlo noi.
Nel loro complesso gli arruolati per “andare a portare la pace”, mettiamo: in Afghanistan, possono essere divisi in due nette categorie.
Una minoranza, quella più attiva, è composta da giovani, chiamiamoli così, esuberanti. Tra loro, i più, credono di andare veramente in “missione per la patria”, e ne sono tanto orgogliosi da portarsi appresso una qualche vecchia bandiera nazionale italiana con l’aquila e il fascio o da tatuarsi sul corpo simboli o slogan democraticamente assai scorretti.
Una maggioranza sceglie invece la missione all’estero per arrotondare il proprio reddito, per permettersi un futuro. Una volta si andava all’estero con le valigie di cartone, adesso si imbraccia il mitra.
Ma questa maggioranza non è certo “motivata”. Va a Kabul per raccogliere il denaro necessario per mettere su una famiglia, una casa, una vita… non vuole certo rischiare la morte.
E 25 italiani morti in sei anni tra le montagne afgane non sono una bazzecola. Di qui il calo il misterioso calo delle “vocazioni”.
E non è tutto.
Guardate alla composizione sociale dei nostri “soldati di pace”, portati a fare la guerra dopo le invasioni altrui. La stragrande maggioranza proviene dal Mezzogiorno d’Italia: da lì dove sono più diffusi disoccupazione e disagio civile. Un elemento in più da considerare.
Caro ministro La Russa, la smetta di cianciare sui “nostri ragazzi”, o, purtroppo, quando le cose vanno male, sui “nostri eroi”.
Se proprio vuole fare l’amerikano, ne dovrebbe copiare i metodi: arruoli civili stranieri armati sotto contratto. Sono gli unici a svolgere con diligenza il compito di difendere le conquiste belliche occidentali. D’altra parte nessuno lo dice, ma tutti lo sanno: ormai la sicurezza anche delle nostre basi militari o delle nostre ambasciate è delegata ai mercenari, ai contractors. O no?
La “patria” la lasci stare. Non c’è una patria da difendere. Né a Nassiriya, né a Tiro, né a Kabul.