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Iraq, Le compagnie petrolifere ignorano la politica per approfittare del boom nel sud

di Simon Webb - 13/06/2010




DUBAI - Rumaila, il motore dell’industria petrolifera irachena e il maggiore dei giacimenti in produzione, è in piena attività, mentre dirigenti, ingegneri, e personale incaricato delle trivellazioni danno avvio a una enorme modernizzazione per triplicarne quasi i milioni di barili prodotti giornalmente.

All’aeroporto di Bassora, la capitale del sud dell’Iraq, i funzionari fanno fatica a smaltire il numero senza precedenti di persone che arrivano per partecipare al nascente boom petrolifero del Paese.

L’Iraq può avere difficoltà a formare un nuovo governo a quasi tre mesi dalle elezioni, ma le compagnie petrolifere scelte per attuare i maggiori progetti di sviluppo di giacimenti al mondo stanno andando avanti con investimenti che potrebbero portare il Paese nell’elite dei produttori mondiali di greggio.

E, nonostante la scorsa Amministrazione non sia riuscita ad approvare una nuova legge per regolamentare un settore energetico vitale per la ricostruzione del Paese dopo anni di guerre e sanzioni, l’industria petrolifera irachena sta vivendo un boom.

“Le compagnie non rimarranno in attesa a guardare”, dice Raad Alkadiri – della PFC Energy che ha sede a Washington. “E’ stato lo stesso governo iracheno a incoraggiare un atteggiamento di questo tipo dicendo: ‘Voi andate avanti, e la politica se la sbroglierà da sola’”.

Il progetto per Rumaila è quello più avanzato, ed è stato il primo firmato da Baghdad, con la BP e la cinese CNPC.

Weatherford International, una compagnia di servizi petroliferi, è già operativa sul posto: è una delle imprese che hanno vinto parte di un contratto da 500 milioni di dollari per scavare pozzi nel giacimento, e ha già  300 persone che lavorano in Iraq.

“Siamo ancora agli inizi”, dice Alex Munton della Wood Mackenzie, una società di consulenza con sede a Edimburgo. “Ma il contratto per le trivellazioni c’è, e il ritmo a cui procedono le attività finora è un indicatore del fatto che stanno partendo in quarta, come avevano detto che avrebbero fatto”.

L’Iraq è seduto su riserve petrolifere che sono le terze al mondo, e ha firmato contratti che aumenterebbero la sua produzione di circa 10 milioni di barili al giorno entro il 2017, generando altri 700 milioni di dollari al giorno in proventi petroliferi ai prezzi attuali.

Anche se potrebbe non raggiungere mai questo obiettivo, e gli aumenti della produzione nel prossimo anno o giù di lì si prevedono molto più modesti, attorno ai 600.000 barili al giorno, i contratti stessi hanno incoraggiato le compagnie ad andare avanti il più rapidamente possibile.

Per iniziare a recuperare gli investimenti, esse devono aumentare la produzione dei giacimenti già attivi del 10 per cento. Per quelli non ancora sfruttati, hanno invece un target iniziale che prende il nome di first commercial output per dare il via al recupero dei costi.

Raggiungere rapidamente i target riduce l’esposizione dell’investimento di capitali verso l’Iraq, consentendo alle compagnie di riciclare soldi già investiti. Più velocemente raggiungono i target, prima possono iniziare a riciclare gli investimenti, riducendo la necessità di nuova esposizione.

“La realtà è che più rapidamente riesci ad arrivare alla produzione commerciale su questi contratti, prima puoi recuperare l’investimento e iniziare a ricevere la remunerazione”, dice Alkadiri.

Il governo uscente, che non è riuscito ad approvare una nuova legge sul petrolio per fornire un quadro per gli investimenti, dice che i contratti sono validi sulla base delle leggi vigenti.

Finora, l’incertezza legale non ha fatto molto per scoraggiare gli investimenti, dice Hadid Hassan, avvocato di Baghdad della al-Tamimi & Co, che ha lavorato sui contratti.

“Non è sufficiente a fermarli”, dice. “Stanno già firmando contratti di subappalto: non li firmerebbero se non fossero pronti ad andare avanti e a spostarsi a sud”.

Sul campo


Nel vuoto politico che è emerso dopo elezioni che nessuno ha vinto in modo netto, né lo sfidante principale, Iyad Allawi, né il Primo Ministro Nuri al-Mailiki hanno fatto capire di avere intenzione di imbarcarsi in quello che sarebbe un incubo politico per le compagnie petrolifere: un riesame totale e una modifica degli accordi.

La tassa sui profitti che l’Iraq prende dai contratti è fra le più alte al mondo: per il governo sarebbe difficile spremere di più, dicono dirigenti dell’industria petrolifera.

Con una posta in gioco così alta, una nuova Amministrazione sarebbe riluttante a invertire la marea di attività che i contratti hanno messo in moto. Sette anni dopo l’invasione guidata dagli Usa, il Paese pompa ancora una quantità di greggio inferiore ai livelli di prima della guerra.

“L’Iraq non ha altra scelta se non quella di andare avanti con questi contratti”, dice Luay al-Khattib, dell’Iraq Energy Institute di Londra. “Qualsiasi governo li onorerà, non perché sono perfetti, ma perché non hanno scelta. Di tempo ne hanno sprecato già troppo”.

L’Iraq ha di fronte sfide enormi per costruire la capacità di gestire la dimensione dei progetti petroliferi in corso: molti dei suoi lavoratori e dei burocrati più qualificati hanno lasciato il Paese durante gli anni della violenza confessionale seguiti alla guerra, il che ha determinato capacità ridotte della sua Amministrazione e della sua compagnia petrolifera nazionale per gestire i megaprogetti nella maggior parte dei suoi giacimenti petroliferi più grandi.

Secondo fonti dell’industria petrolifera, le compagnie già considererebbero la South Oil Company irachena un partner frustrante.

“Questi sono alcuni dei progetti più grossi al mondo”, dice una fonte che conosce bene le operazioni in corso a Bassora. “E la capacità strategica di pianificazione dell’Iraq sta mostrando i danni provocati da anni di declino e di fuga dei cervelli”.

All’interno dell’Amministrazione, sono in corso sforzi per formare i burocrati così da metterli in grado di gestire il sovraccarico di attività previsto.

“Adesso a Bassora c’è un livello di attività senza precedenti”, dice Andrew Doust, della Coffey International Development, che è stata coinvolta nella formazione di oltre 100.000 lavoratori iracheni del settore pubblico dopo la guerra. “Questo sicuramente metterà alla prova i sistemi iracheni molto più di quanto sia successo in passato”.

All’aeroporto di Bassora, il vecchio Iraq sta già facendo fatica a gestire il nuovo. Quelli che arrivano per partecipare al boom petrolifero agli inizi si affollano per ore attorno a un banco dove c’è un solo funzionario per approvare visti che sono già stati concessi da Baghdad, dice un consulente che è appena stato nella regione – a condizione di restare anonimo.

“Non riescono neppure a gestire in modo adeguato con il personale necessario l’unica porta di ingresso al Paese per qualche centinaio di miliardi di dollari”, commenta.



(Traduzione di Ornella Sangiovanni)