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Usa: addio al primo emendamento

di Michele Paris - 26/06/2010



Una recente, importantissima sentenza della Corte Suprema americana, ha messo ancora una volta in evidenza il pericoloso restringimento delle libertà individuali negli Stati Uniti in nome della lotta al terrorismo. Con una netta maggioranza, il tribunale costituzionale a stelle e strisce ha fissato una pesante limitazione alla libertà di parola dei cittadini, sancita dal Primo Emendamento della Costituzione, subordinandola alle necessità della sicurezza nazionale e al dettato delle leggi federali in materia di anti-terrorismo.

La disputa finita di fronte alla Corte Suprema (“Humanitarian Law Project contro Holder”) riguardava una serie di associazioni a difesa dei diritti umani, gruppi no-profit e singoli cittadini americani che, nel 2007, erano stati al centro di una sentenza della Corte d’Appello di San Francisco, con la quale veniva stabilita la non perseguibilità delle loro attività pacifiche a favore di organizzazioni bollate come terroristiche dal governo americano.

Tali attività riguardavano, in particolare, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) attivo clandestinamente in Turchia, e il gruppo nazionalista delle Tigri Tamil (LTTE) dello Sri Lanka, entrambi ufficialmente dichiarati organizzazioni terroristiche nel 1997 dall’allora Segretario di Stato di Bill Clinton, Madeleine Albright. Il lavoro svolto dagli attivisti americani a favore del PKK e delle LTTE consisteva esclusivamente in aiuti umanitari, consulenze legali per risolvere pacificamente i conflitti con le autorità governative e consigli per promuovere le rispettive cause presso organismi internazionali come le Nazioni Unite.

Secondo il governo, appellatosi alla sentenza dei giudici federali, queste attività pacifiche violano la legge sul terrorismo del 1996 (“Antiterrorism and Effective Death Penalty Act”), traducendosi in “supporto materiale” ad organizzazioni terroristiche straniere che possono mettere a rischio la sicurezza nazionale. Un punto di vista alquanto discutibile, fatto proprio dalla Corte Suprema, che ha così deciso che la legge in questione deve vietare non solo contributi in denaro, armi ed altri beni tangibili, ma anche la fornitura di “servizi”, “addestramento” e “consulenza legale” a scopi interamente pacifici.

Secondo il presidente del supremo tribunale americano, John G. Roberts, un supporto di questo genere “libererebbe altre risorse” all’interno delle organizzazioni terroristiche, favorendo il perseguimento di azioni violente, e “legittimerebbe gli stessi gruppi, mettendo a repentaglio le relazioni degli Stati Uniti con i paesi alleati”. Oltre al presidente, con la maggioranza hanno votato i tre giudici di estrema destra (Antonin Scalia, Clarence Thomas e Samuel Alito), il conservatore più moderato Anthony Kennedy e il progressista John Paul Stevens. Contrari si sono dichiarati invece gli altri tre giudici liberal, Ruth Bader Ginsburg, Sonia Sotomayor e Stephen Breyer.

A riassumere l’assurdità della sentenza è stato proprio il giudice Breyer, il quale, con una mossa insolita per la Corte Suprema, ha voluto leggere una parte dell’opinione della minoranza. Secondo Breyer, la maggioranza ha erroneamente messo sullo stesso piano il supporto “materiale” e quello “morale” o “umanitario”. Una collaborazione di quest’ultimo genere, infatti, rientra precisamente nelle protezioni garantite dal Primo Emendamento. La decisione della Corte Suprema, al contrario, rischia pericolosamente di limitare o punire la libertà di espressione se valutata pericolosa per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Ciò risulta tanto più grave se si pensa che la classificazione dei gruppi terroristici, o presunti tali, da parte di Washington risponde pressoché esclusivamente alle esigenze della politica estera americana. Solo per citare un paio di esempi, negli anni Ottanta, l’African National Congress che si batteva contro il regime di apartheid in Sudafrica rientrava nella categoria delle organizzazioni terroristiche, mentre al contrario i guerriglieri islamici che combattevano le truppe sovietiche in Afghanistan, da cui sarebbe nato il fondamentalismo legato ad Al-Qaeda, trovavano ampio sostegno negli USA.

Lo stesso giudice Breyer ha offerto poi un altro confronto che rivela la pericolosa deriva sulla questione dei diritti civili degli ultimi anni. In passato, la Corte Suprema aveva cioè garantito le protezioni del Primo Emendamento anche ai cittadini americani aderenti al Partito Comunista, nonostante esso propagandasse il rovesciamento del governo statunitense.

Come previsto, le reazioni da parte delle organizzazioni umanitarie sono state molto dure. Con questa sentenza si rischiano fino a 15 anni carcere anche solo discutendo o parlando pubblicamente a favore di una delle organizzazioni sulla lista nera del Dipartimento di Stato americano. Secondo un avvocato difensore, la decisione della Corte in sostanza “rende un crimine il lavoro di quanti si battono per la pace e per il rispetto dei diritti umani”.

Il principio che l’interesse del governo nel combattere il terrorismo sia sufficiente per calpestare la libertà di parola prevista dal Primo Emendamento ha così ottenuto la suprema ratifica negli Stati Uniti. Ben poco rassicurante per le prospettive future sarà poi la prossima composizione della Corte Suprema, dal momento che la candidata a sostituire a breve il giudice John Paul Stevens è proprio il procuratore generale (“solicitor general”) Elena Kagan, la quale aveva appunto sostenuto le ragioni del governo in difesa della legge anti-terrorismo nel corso del dibattimento che ha preceduto la sentenza.

Il caso in questione, in definitiva, ha dimostrato come la Corte Suprema, a maggioranza conservatrice, non fa altro che assecondare il progressivo attacco ai diritti democratici in corso negli Stati Uniti ormai da quasi un decennio. Un assalto iniziato dall’amministrazione Bush e portato avanti, senza distinzioni, anche dal presidente Obama.