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Iraq, Truppe “da combattimento” Usa verso il ritiro

di Ornella Sangiovanni - 29/06/2010




Il ritiro delle truppe “da combattimento” statunitensi dall’Iraq è già completato al 60 per cento, due mesi prima della scadenza fissata – fine agosto.

Queste le informazioni che arrivano dai comandi militari americani, che sottolineano che tutto procede secondo i piani, sia per quanto riguarda gli uomini che l’equipaggiamento.

In Iraq, sono otto le basi Usa nelle quali si lavora senza sosta – fra queste quella, enorme, di Camp Victory, nei pressi dell’aeroporto internazionale di Baghdad – smistando una gran quantità di mezzi e attrezzature, per decidere cosa è opportuno rimandare negli Stati Uniti, inviare in Afghanistan, oppure distruggere.

Per decisione del presidente Barack Obama, entro il 31 agosto tutte le cosiddette “truppe da combattimento” dovranno lasciare l’Iraq: rimarrà una “forza residua” di circa 50.000 uomini.

Il ritiro totale è previsto entro il 31 dicembre 2011 – la scadenza stabilita dall’accordo “di sicurezza” (il cosiddetto SOFA) firmato con il governo di Baghdad dall’allora presidente George W. Bush a fine 2008.

“Stiamo ridimensionando la forza”, dice da Camp Victory il generale Gus Perna, che ha la responsabilità dell’operazione: sta in uno spiazzo dove ci sono 330 veicoli militari che stanno per partire per il Kuwait, da dove poi lasceranno il Paese.

Da febbraio 32.000 veicoli usciti dall’Iraq

Si tratta di un’operazione assai impegnativa sotto l’aspetto della logistica.

Perna spiega che da febbraio sono oltre 32.000 i veicoli già usciti: blindati resistenti alle mine, e Humvee utilizzati per il trasporto delle truppe. Prendono la direzione sud – verso il Kuwait. Da lì tornano negli Stati Uniti, oppure vanno in Afghanistan, dove è in corso un’altra guerra, che apparentemente non finirà tanto presto.

Partono anche i container, con all’interno equipaggiamenti militari di vario tipo: più di 800.00 i pezzi che hanno finora lasciato l’Iraq.

Camp Victory è il centro da cui vengono coordinate le operazioni: poi ci sono quattro basi nel nord, una nell’ovest, e due nel sud – dove si decide che cosa fare di materiali, veicoli, etc. etc.

Ufficiali statunitensi incaricati della logistica del ritiro spiegano che per ogni veicolo da smistare ci vuole un’ora. Dopo che si è deciso cosa farne, di solito resta nella base dai tre ai cinque giorni, prima di partire per il sud – in un convoglio.

Ogni giorno fra i 30 e i 40 veicoli lasciano Camp Victory. Nel mese di giugno, ne sono usciti dall’Iraq circa 3.500 – il numero più alto quest’anno.

Attualmente in Iraq ci sono 84.000 militari americani: 34.000 se ne andranno entro agosto, gli altri 50.000 resteranno con compiti di addestramento e affiancamento delle forze irachene.

Tutto sta andando liscio

Tutto sta andando liscio, dunque, secondo gli americani - e anche secondo gli iracheni.

Il Generale Mohammed al-Askari, portavoce del ministero della Difesa di Baghdad, dice soddisfatto che  "il ritiro è arrivato a oltre il 60 % di quanto previsto, e finora non ci sono stati problemi".

E agli iracheni viene consegnato l’equipaggiamento in eccesso, ovvero tutto ciò che gli americani valutano anti-economico rimandare negli Stati Uniti (es, le munizioni per i fucili): finora il valore della consegna è di quasi 92 milioni di dollari.

Una enorme quantità di materiale viene distrutta: camion militari che hanno accumulato troppe migliaia di chilometri vengono smontati, fatti a pezzi, e venduti a iracheni che commerciano in rottami metallici (è uno dei nuovi business). Distrutti anche – a decine - computer e stampanti. Tutta roba ritenuta “inutilizzabile”.

Mentre ogni giorno enormi gru sollevano container caricandoli sui camion diretti in Kuwait.

Fine della ‘missione di combattimento’

La “missione di combattimento” degli Stati Uniti in Iraq è finita – dopo sette anni. Anche se in molti sottolineano che i 50.000 uomini che resteranno da settembre in poi sono pur sempre militari, addestrati a fare la guerra.

Ma le parole sono importanti. O meglio, tali sono considerate a Washington.

Dove nessuno, apparentemente, dibatte più (come succedeva fino a qualche tempo fa) dell’opportunità di questa tappa del ritiro Usa, in una situazione di vuoto politico di cui non si vede ancora la fine, a oltre tre mesi dalle elezioni legislative irachene dello scorso 7 marzo. Elezioni che ancora non hanno prodotto un governo.

La convinzione è che ormai gli americani potrebbero in ogni caso fare ben poco per influenzare gli eventi iracheni.

Ed è così che persino uno come Michael O'Hanlon, “esperto” di Iraq presso la Brookings Institution (uno dei più influenti think-tank di Washington), dice che la data del 31 agosto non va considerata una causa di preoccupazione.

"Sono generalmente ottimista", commenta, sottolineando che “la fine della ‘missione di combattimento’ è in parte un cambiamento semantico”. I 50.000 uomini che rimarranno – aggiunge – saranno ancora capaci. Capaci di combattere – è sottinteso.

La realtà è che gli Stati Uniti di “cause di preoccupazione” ne hanno una nuova, e grossa.

Si chiama Afghanistan.

Fonte: Agence France Presse