Cresce l’energia pulita
di Alessandro De Pascale - 07/07/2010
L’Istat pubblica uno studio per «delineare un quadro delle caratteristiche energetiche del Paese in vista del raggiungimento degli obiettivi prefissati per il 2020». Aumentano le rinnovabili, invariato il petrolio.
I «principali risultati» dello studio, realizzato con i dati del ministero dello Sviluppo economico, del gestore nazionale della rete elettrica Terna e dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico (Enea), sono che nel 2009 «risulta ancora predominante la quota dei combustibili fossili, e in particolare dei prodotti petroliferi, che incidono per il 41% sul consumo interno lordo». Anche se, bisogna dirlo, la quota di questa fonte nel periodo 2000-2009 «è notevolmente diminuita (-8,5%), mentre è salita quella delle rinnovabili (3,8%) e di gas naturale (4,1 punti percentuali)».
Ma nonostante questo, rispetto agli altri Paesi dell’Ue, l’Italia ancora «si contraddistingue per una maggiore vulnerabilità dal lato degli approvvigionamenti e per una maggiore dipendenza dagli idrocarburi». Infatti nel 2009 i prodotti petroliferi hanno soddisfatto il 41% della domanda energetica del Paese ma ne produciamo solo il 6,2%. Il nostro mix energetico è poi composto dal gas naturale (35,5%), fonti rinnovabili (10,7%) e combustibili solidi (7,4%). Il 90 per cento del quale è garantito dalla nostra produzione nazionale. La disponibilità da fonti rinnovabili, rispetto al 2008, è aumentata dell’1,8%, nessuna variazione per la quota di petrolio, mentre è cresciuta anche quella di gas naturale, del 4,1%.
Tuttavia gli obiettivi comunitari restano lontani. L’Italia dovrà infatti produrre il 17% della propria energia da fonti rinnovabili ma siamo appena al 5,2%. La nostra energia pulita arriva soprattutto dall’idroelettrico (70,4%), da sempre fonte primaria dell’Italia che utilizziamo fin dagli inizi del ‘900 e che in passato ha toccato picchi di poco inferiori al 100%. Seguono le biomasse e i rifiuti solidi urbani bruciati nei termovalorizzatori (11,5%), l’eolico e il fotovoltaico (10,1%) e il geotermico (5,4%). Il rapporto evidenzia anche che «è stata predisposta la legislazione di base necessaria al riavvio di una produzione di elettricità da fonte nucleare, i cui effetti si vedranno a partire dal 2020».
Nonostante nel 2009 la domanda di energia elettrica sia diminuita del 6,4%, arrivando a 317,4 miliardi di kilowattora. Perché se da un lato cresce costantemente il consumo per usi civili (domestico, commerciale, servizi pubblici), aumentato nel 2008 del 4,8% e del 3,5% nel 2009, dall’altro diminuisce quello industriale (-19,6 nel 2009). Un calo iniziato già nel 2005, anche se con un’intensità più lieve. Discorso a parte per le emissioni di gas serra: dal 1996 al 2005 sono aumentate del 9,7%, mentre dal 2005 al 2007 si sono ridotte del 3,7% (dati Eurostat).
Il saldo resta quindi negativo anche perché i vincoli europei ci impongono di ridurle del 14% rispetto ai livelli del 2005 per quanto riguarda i settori industriali più energivori (siderurgico, chimico e petrolchimico, materiali da costruzione) e del 13% per tutti gli altri ambiti, tra i quali i più rilevanti in termini ambientali sono il trasporto stradale, aereo e marittimo, e l’agricoltura.