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Il giallo Bettencourt

di Marcello Foa - 08/07/2010

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Bella, bellissima, spettacolare. Di più: la miglior campagna elettorale europea dai tempi di Tony Blair. Anzi, miracolosa, perché Sarkozy non aveva le doti di comunicatore dell’ex leader laburista, né la finta bonomia populista del cancelliere tedesco Gerhard Schroeder e tantomeno l’innata regalità, tanto cara ai francesi, di un Mitterrand. D’istinto, Sarkozy non piaceva. Quando era un semplice ministro, un gruppo di psicologi mostrò il suo video ad alcuni studenti stranieri, che non lo conoscevano, invitandoli a scrivere le impressioni a caldo. Il risultato fu disastroso: Sarkò risultò triste, aggressivo, antipatico, ad alcuni addirittura minaccioso.
In teoria, un perdente. Eppure quel perdente alla fine ha vinto e alla grande, grazie a una straordinaria operazione di marketing politico. Sarkozy, per soddisfare le sue ambizioni presidenziali, iniziò a costruire la sua ascesa addirittura nel 2001, sei anni prima delle presidenziali della primavera 2007, e ad elaborare una strategia elettorale già nel 2004. Non da solo, ovviamente, ma con l’ausilio di spin doctor e di esperti elettorali, che anziché limitarsi a scopiazzare le tecniche più note, studiarono, innanzitutto, il mercato. Commissionarono degli studi per capire quali fossero le esigenze profonde del pubblico francese, sia dichiarate che subliminali, usando con grande intelligenza gli strumenti messi a disposizione dalla comunicazione politica e dalla sociologia: sondaggi, focus group, tecniche di persuasione, analisi sociali.
Gli esperti di Sarkò traslarono dal marketing una tecnica «binaria», per recepire le esigenze del popolo e al contempo per verificare i progetti elaborati ad hoc in risposta a quelle esigenze. Ciò gli permise, già tre anni prima del voto, di essere sempre in sintonia con quel che pensava davvero la gente comune. Le sue gaffe, come quando disse «passerò al Ddt le banlieue», erano in realtà volute. E mirate. La stampa si scandalizzò, ma la maggior parte degli elettori, intimamente, approvò.
Quegli esperti lo convinsero a compiere scelte audaci. Ad esempio imitando la cantante rock Patricia Kaas, che preferì dare tanti piccoli concerti in provincia invece di puntare solo sui megaconcerti, fidelizzando il pubblico della Francia minore, che la ricompensò facendo esplodere le vendite dei suoi album. Sarkozy e i suoi più stretti collaboratori batterono la provincia, organizzando centinaia di eventi. E il giorno delle elezioni quella Francia minore fece la differenza.
Un capolavoro. Made in France, naturalmente, ma con qualche buon suggerimento dall’estero. Sarkò ingaggiò, nel 2006, il Boston Consulting Group, il quale gli insegnò a coniugare savoir-faire e faire-savoir ovvero saper fare e far sapere. Consigli raffinati, ma costosi. Molto costosi.
Solo nella fase finale Sarkozy spese 21 milioni di euro, che senz’altro non furono sufficienti a saldare il conto di una campagna avviata sul campo ben tre anni prima. Quanto costò davvero la conquista dell’Eliseo? Nessuno lo sa. Chi coprì i costi? Sarkò non lo ha mai detto.
Ora saltano fuori 150mila euro versati dalla Bettencourt. In nero, naturalmente. E verosimilmente tutt’altro che occasionali. Qualcuno ha aiutato Sarkò e il pensiero corre, inevitabilmente, ai nomi dei tanti industriali e dei molti finanzieri che vantano un’amicizia con il presidente. Un’amicizia d’oro e ora imbarazzante, come la sua strepitosa campagna elettorale.