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Usa, ritorna la truffa legale

di Carlo Musilli - 04/08/2010




Questa volta le vittime sono i familiari dei soldati morti in Iraq e in Afghanistan. I colpevoli, le compagnie di assicurazione che gestivano le polizze vita dei militari. La riforma finanziaria di Obama doveva colmare delle voragini legislative evidentemente troppo grandi. A neanche dieci giorni dalla firma del presidente sulla nuova legge, infatti, gli americani si sono accorti che delle truffe legalizzate ai loro danni sono ancora possibili, come dimostra un’inchiesta di David Evans pubblicata da Bloomberg.

Vere e proprie speculazioni sul dolore, sulla vulnerabilità di chi ha da poco seppellito una persona cara e non ha nessuna voglia di telefonare al commercialista. I meccanismi della truffa sono ben esemplificati dalla storia di Cindy Lohman, infermiera di Great Mills, Maryland. Due settimane dopo la morte del figlio, il sergente di 24 anni Ryan Baumann, Cindy riceve per posta un pacco. All’interno trova un libretto di assegni e una lettera della compagnia di assicurazioni Prudential. I 400 mila dollari della polizza sulla vita di Ryan sono stati versati su un convenientissimo retained-asset account, un conto soggetto a interessi. Cindy li può ritirare quando vuole.

Peccato che la donna abbia mancato di leggere la microscopica clausola in calce alla lettera. C’è da capirla: “Era come se mi pagassero perché mio figlio è stato ammazzato - ha detto - era un premio di consolazione che non volevo”. Straziante, ma prevedibile. Reagiscono quasi tutti così, le compagnie assicurative lo sanno. La povera Cindy fa passare sei mesi prima di cedere alla tentazione di staccare uno di quegli assegni. Voleva comprarsi un letto nuovo. Sorpresa: il commerciante rifiuta l’assegno.

Che fine ha fatto il premio di consolazione? In attesa che Cindy elaborasse il lutto, la Prudential non ha depositato i soldi alla J. P. Morgan (come pure aveva lasciato intendere, stampando a chiare lettere il nome della seconda banca commerciale americana sui famosi assegni): il gruzzolo è stato investito sul mercato. Per la precisione in titoli obbligazionari. Almeno stavolta non sono derivati, verrebbe da pensare. Sennonché la compagnia di assicurazioni guadagna dall’operazione il 4,8%, a fronte di un interesse pagato alla cliente pari a un misero 1%. Mica male come guadagno.

A fermarci qui saremmo già all’abiezione, ma c’è di peggio. Non essendo depositato presso una banca, il denaro di Cindy non è coperto dall’Fdic (Federal Deposit Insurance Corporation), l’ente federale che garantisce i depositi (bancari). Questo significa che se la Prudential disgraziatamente sbagliasse gli investimenti e perdesse i soldi, Cindy non vedrebbe più un dollaro. E questo, sul contratto di polizza, non c’era scritto. Ma non sono finiti qui i vantaggi che un’assicurazione può offrire: a luglio sia MetLife che Prudential, rispettivamente prima e seconda compagnia del Paese, hanno pagato ai loro clienti un interesse dello 0,5%. Meno della metà di quanto avrebbe pagato una normale banca commerciale con copertura Fdic. Un vero affare.

Non esistono dati ufficiali che rivelino a quanto ammonti il capitale gestito in questo modo dalle compagnie assicurative americane, ma stando all’American Council of Life Insurers le polizze sulla vita gestite sarebbero più di 300 milioni, per un totale di assets del valore di circa 4.600 miliardi di dollari. Secondo alcuni economisti, questo pseudo sistema bancario messo in piedi dalle assicurazioni violerebbe una legge del 1933 (è abbastanza significativo che si debba risalire a 77 anni fa) secondo cui solo banche e istituti di credito possono accettare depositi senza specifica autorizzazione statale o federale.

Sempre dall’ambiente accademico arriva il suggerimento a prevenire, almeno stavolta, il collasso: se infatti una sola compagnia non fosse in grado di rifondere  il denaro investito, i clienti potrebbero capire il trucco, perdere fiducia nel sistema e, presi dal panico, richiedere in massa il rientro del denaro. Scenario apocalittico.

Non dobbiamo quindi sentirci troppo al sicuro. Quello dei retained-asset accounts è un settore ancora deregolamentato. La riforma obamiana non ha migliorato la situazione: è stato creato un Ufficio Federale per le assicurazioni, ma non avrà funzioni regolative. Perfino le assicurazioni che il Governo federale stipula per i suoi impiegati (tramite MetLife, naturalmente) non sono esattamente cristalline: ai dipendenti non militari viene inviato un manuale di 217 pagine in cui non si dicono bugie, ma si omette candidamente che i soldi non saranno garantiti dall’Fdic e resteranno a MetLife finché a qualcuno non verrà in mente di staccare un assegno. Solo allora passeranno in una vera banca. Tutto questo con buona pace della Sec (Security and Exchange Commission, la Consob americana), che richiede a qualsiasi compagnia, ma non alle assicurazioni, di informare i clienti in caso di mancata copertura Fdic e di consegnare un prospetto che specifichi il modo in cui i soldi vengono impiegati.

L’inchiesta di Evans ha spinto Andrew Cuomo, procuratore generale di New York e probabile candidato democratico alla carica di governatore della città, a citare in giudizio otto società assicurative. “Non stiamo violando nessuna legge”, ha dichiarato Joseph Madden, portavoce di MetLife. E a meno di ricorrere all’ottuagenaria legge di cui abbiamo parlato, probabilmente ha ragione.

Certo è che i livelli di trasparenza dimostrati oggi dalle compagnie assicurative non sembrano così lontani da quelli delle banche prima della crisi, quando ancora si faceva credere agli americani di poter usare la propria casa come un bancomat inesauribile. “Mi rattrista, come americana, che una compagnia possa ridursi al punto di trarre profitto dalla morte di un soldato. Si può cadere più in basso?”, domanda Cindy.