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Turchia, un referendum costituzionale dai tanti risvolti

di Carlo M. Miele - 12/09/2010







Prova di democrazia, test elettorale, ma anche ennesima tappa dello scontro tra filo-islamici e kemalisti. Ha tante facce il referendum di riforma costituzionale che domenica 12 settembre chiamerà alle urne decine di milioni di persone in tutta la Turchia.

Per gli oppositori del governo, dietro al pacchetto di riforme volute dal premier Recep Tayyip Erdogan e dal suo Partito di giustizia e sviluppo (Akp) si nasconde il tentativo di rafforzare il controllo del governo sulla società turca, mediante l’assoggettamento di fatto di magistrati e militari, due bastioni della Turchia laica.

Con una vittoria del “si” – affermano i kemalisti del Partito repubblicano del Popolo (Chp) e gli ultranazionalisti del Movimento di azione nazionale (Mhp) – l’Akp potrà piazzare i propri uomini nei posti chiave della macchina statale e si impossesserà delle leve del potere, portando avanti cosi la sua “agenda islamica”.

Di parere opposto gli uomini di Erdogan, secondo cui la riforma servirà a mandare in soffitta l’attuale Costituzione del 1980 (elaborata sulla scia del golpe militare di due anni prima) e rafforzerà la democrazia nel Paese, anche in chiave europea.

Il testo sottoposto a referendum
                             
In caso di approvazione, la riforma costituzionale dell’Akp consentirà, tra l’altro, di sottoporre i militari alla giustizia civile e di processare gli autori del colpo di stato dell’80, di cui il 12 settembre ricorre proprio il 30esimo anniversario.

Al tempo stesso, il numero dei giudici della Corte costituzionale passerà da 11 a 17, di cui tre di nomina parlamentare, mentre il Consiglio supremo dei giudici e dei procuratori (Hsyk, equivalente del Consiglio superiore della magistratura) passerà da 7 a 22 membri, di cui 4 nominati dal presidente della Repubblica.

Alla Corte costituzionale e al Parlamento (e non più solo alla prima) spetterà poi la decisione sullo scioglimento dei partiti politici, che in passato ha condotto alla chiusura di diverse formazioni kurde o di ispirazione islamica, e che nel 2008 ha messo in pericolo l’esistenza dello stesso Akp.

Infine, con il nuovo testo la Turchia riconosce diversi diritti fondamentali (compresa l'uguaglianza di fronte alla legge, la libertà di movimento e il diritto alla privacy) e si conforma alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Un passo decisivo verso l’Europa

Per sostenere il “si”, l’Akp di Erdogan non sta esitando a fare leva anche sull’euro-entusiamo dei turchi, che - per quanto in drammatico calo rispetto a qualche anno fa - resta forte.

Il nuovo pacchetto di riforme, affermano, servirà ad “avvicinare la Turchia agli standard europei”, e a tal proposito viene tirato in ballo il caso di Grecia, Spagna e Portogallo, che proprio dopo aver riformato le proprie carte costituzionali “militari” hanno compiuto i passi decisivi per entrare nell’Unione.

“Il processo di adesione di Grecia, Spagna e Portogallo ha preso velocità dopo che questi paesi hanno adottato costituzioni civili”, ha ricordato il capo negoziatore turco Egemen Bagis.

Un parere quest’ultimo che pare condiviso dalla stessa Unione europea, che in più di un’occasione ha manifestato il proprio favore per la riforma, pur chiarendo che ciò non equivale a una manifestazione di sostegno nei confronti dell’Akp.

Per il “sì” si è schierato anche il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, così come diversi altri intellettuali ed esponenti della società civile, che auspicano il cambiamento della Costituzione, pur ribadendo che il pacchetto dell’Akp non basta a creare i presupposti per una vera società democratica. “Non è sufficiente, ma votiamo sì” è uno degli slogan ricorrenti della campagna.

Del resto, sembra che la divisione della società turca sul tema Costituzione sia trasversale ai partiti. I sondaggi più accreditati prevedono una vittoria del “si”, ma di strettissima misura (non più del 51 per cento), sebbene resti ancora consistente la percentuale di incerti (5 per cento).

Test in chiave elettorale

Nessuno nasconde il fatto che il voto di domenica rappresenta anche un test elettorale in vista del voto politico del prossimo anno. La vittoria del “sì” o del “no”, e l’ampiezza della stessa, serviranno soprattutto a valutare la popolarità del premier Erdogan e del suo partito.

In particolare il Chp, principale forza di opposizione, spera in una vittoria del “no”, che servirebbe sicuramente da volano per la campagna elettorale del 2011.

Ma Erdogan dovrà fare i conti anche con la probabile astensione della minoranza kurda (pari a un quinto della popolazione totale turca) e della sua principale formazione, il Partito della pace e della democrazia (Bdp).

Proprio il Bdp, disilluso dai mancati progressi del governo in termini di riconoscimento della questione kurda, ha infatti invitato i propri sostenitori al boicottaggio del referendum, anche se tra le sue fila non sono mancati i pareri contrari.

Erdogan, tuttavia, sta tentando in tutti i modi di riportare la consultazione fuori dall’agone politico.

“Il nostro grande popolo – ha detto – non si deve pronunciare sull’azione del governo o sui programmi politici dei partiti di opposizione ma sull’avvenire della Turchia”.