“E’ qui che noi cristiani dobbiamo stare molto attenti”, spiega Satish [un indiano convertito, parlando a un periodico battista]. “Non potete dire loro direttamente che stanno adorando degli dèi falsi, altrimenti la folla diventerà feroce. Bisogna farlo dentro un certo contesto”.
La distruzione della scuola cristiana, o meglio costruita da missionari cristiani, nel Kashmir ci riporta alla questione più generale dei cristiani in India.
L’India, si sa, è abitata da pittoreschi indù, la cui esistenza è del tutto irrilevante per il lettore medio del Giornale: gli ammiratori di Oriana Fallaci riescono a godersi una sola xenofobia alla volta.
Eppure, qualcuno la pensa come “Sibilla italica“ che scrive sul sito dei fan di Oriana Fallaci:
“Tuttavia anch’essa [la religione induista] è potenzialmente una religione pericolosa, che non essendo in grado di rinunciare a certi suoi dogmi fondamentali, incompatibili con la dignità umana che formano la sua struttura operativa tenta di mantenere la sua supremazia con metodi terroristici, praticati da indù estremisti.”
A volte – non molto spesso – i media italiani parlano della “persecuzione dei cristiani in India“.[1]
Lo scorso febbraio, ad esempio, due chiese protestanti sono state incendiate nel Punjab e i loro dirigenti aggrediti, da una folla di induisti. Ma le cose, come vedremo, non sono sempre così semplici come appaiono.
Proviamo a vedere le cose dall’altro punto di vista, che a tornare nei nostri comodi panni si fa sempre in tempo.
La prima considerazione è: a parte qualche marginale spacciatore di fuffa, non sono gli indù che vogliono cambiare i cristiani, ma i cristiani che vogliono cambiare gli indù.
I più preoccupati tra gli abitanti del subcontinente non sono gli induisti, bensì i buddhisti. S. Amarasekera, attivista buddhista dello Sri Lanka, scrive:
“mentre tutti si concentrano sul problema degli LTTE [gli indipendentisti tamil], noi buddhisti singalesi ci troviamo davanti a una forza ugualmente pericolosa: i pericoli che lo stile di vita singalese buddhista dovrà affrontare a causa delle conversioni nel prossimo futuro. Ciò che è successo nella Korea del Sud, dove l’80 percento buddhista della popolazione è sceso al 18% in cinque decenni, succederà anche da noi qui?”
Nel marzo del 2010, le folle buddhiste a Colombo avevano preso d’assalto la sede di una radio che stava organizzando il concerto di Akon, un furbo cantante americano che aveva diffuso un video in cui donnine seminude ballavano davanti a una statua del Buddha; e il governo ha deciso di non concedere il visto di ingresso ad Akon.
Per motivi mediatici,questo evento ha fatto molto più notizia della sistematica distruzione dei santuari induisti da parte dei buddhisti: come in quel tempio in cui hanno preso la statua di Ganesh e lo hanno lanciato nel mare, scrivendo poi sulle pareti del tempio, “Il dio Ganesh è andato a fare il bagno” – il cupo umorismo tra religioni non si limita certamente alle famose vignette su Muhammad, né sono solo i Taliban a distruggere presunti idoli.
Detto questo, i buddhisti hanno non poche ragioni ad avere paura per ciò che è successo in Korea, un tema di cui abbiamo già parlato in passato. Se avete tempo e voglia, rileggetelo.
L’impegno dei cristiani nella conversione dell’India è incredibile. Il convertito all’induismo, Stephen Knapp, sostiene che nell’India settentrionali, starebbero al lavoro 100.000 missionari professionisti e stipendiati solo della chiesa fondamentalista statunitense dei Southern Baptist.
La statistica sembra esagerata (fonti più sicure parlano di 5 milioni di missionari cristiani a tempo pieno in tutto il mondo), ma si resta comunque colpiti dalla varietà di mezzi che i cristiani dispiegano per “aprire” il subcontinente.
A volte esiste un rapporto diretto con la politica, come nel caso della potente agenzia World Vision, che muove milioni di dollari per “testimoniare il Regno di Dio“: il direttore di World Vision, il dott. Robert Seiple, è passato poi a dirigere l’ufficio del governo USA per la libertà religiosa, mentre il vicepresidente di World Vision, Andrew Natsios, oggi dirige USAID, la principale agenzia di stato che gestisce gli aiuti umanitari degli Stati Uniti nel mondo.
Ma sarebbe un grave errore vedere nel grande movimento missionario un semplice strumento della politica imperiale. I missionari si tengono davvero fuori dalla politica immediata e i loro discepoli raramente fanno gli interessi politici degli Stati Uniti.
Tutta la forza con cui il cristianesimo vorrebbe convertire il mondo non ha più dove sfogarsi: l’Occidente è indifferente, l’Africa è già convertita, la Cina e i paesi islamici sono sostanzialmente impenetrabili. Esiste solo l’India, vasta distesa pagana tutta da convertire, storicamente tollerante, e con un governo lieto di accogliere chi regala ospedali e scuole. Il divario economico e il complesso di inferiorità nei confronti dell’Occidente – che comprende, fallacianamente, la Madonna e la minigonna – fa il resto.
Leggere i siti delle organizzazioni missionarie – in particolare, di quelle evangeliche – è istruttivo: l’indubbia buona fede di tanti singoli missionari è sostenuta, non solo da masse di denaro, ma anche da metodi che sono una via di mezzo tra il pubblicitario e il militare. Come raggiungere gli unreached, i “non raggiunti”, attraverso il sistematico church planting?
“Ai credenti appena conquistati si insegnano principi tratti dalla Parola di Dio; devono essere trasformati in discepoli ed esortati a diventare testimoni dinamici nella loro vita quotidiana”.
Prendiamo il Joshua Project, che prende il nome dalla conquista genocida della Terra Promessa che la Bibbia attribuisce a Giosuè. Il Joshua Project è uno straordinario catalogo dei gruppi etnici “raggiunti” (sono 16,567) e “non raggiunti” (6,838), suddivisi per Affinity Blocs e People Clusters.
Il progetto si ispira a Matteo 24:14:
“Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.”
Il lettore cattolico sarà perdonato se non coglie subito il significato: si evangelizza, non per salvare anime, ma perché è la condizione necessaria per porre fine al mondo e far arrivare il regno terrestre di Gesù.
Ma anche l’Apocalisse segue la logica aziendale. Il Joshua Project, nel presentare il suo schedario planetario, chiarisce:
“Cerchiamo di massimizzare l’efficacia delle risorse del Regno aiutando a identificare e ridurre il raddoppiamento di sforzi tra ministeri tramite la data sharing.”
Già nel 1980, la Consultation on World Evangelization spiegava che “l’impegno della Chiesa nel sociale ammorbidisce le comunità” (the Church’s social concern softens the community), preparandole a ciò che chiamano la “falciatura” (reaping). L’esperienza dimostra – dice il documento – che i più suscettibili alla conversione sono
“Gli abitanti degli slum che appartengono per la maggior parte alla comunità Harijan.
I giovani nelle scuole e nelle università.
I giovani disoccupati alla ricerca disperata di un lavoro.”
Joyce Meyer, una casalinga americana che è stata salvata da Gesù Cristo a un semaforo mentre tornava dall’estetista, ha un jet privato e uno stipendio di 900 mila dollari l’anno (poi parzialmente ridotto in seguito a inchieste fiscali) come presidente della Joyce Meyer Ministries. Nel suo libro, Power Thoughts, la signora spiega come “godere della vita potente che Dio ha voluto per te”. E certamente Joyce Meyer la vita se la gode – ha persino una parrucchiera personale, solo per lei.
La sua organizzazione – che ha 510 dipendenti solo nella sede centrale a Saint Louis – “ammorbidisce le comunità” con 19 orfanotrofi e vari ospedali e scuole in India. Con un gusto tutto americano per le statistiche, il suo sito ci informa che nel gennaio del 2009, il loro “Festival della Vita” a Bangalore, con il gruppo rock The Delirious? (il punto interrogativo fa parte del nome), è stato visitato da quasi un milione di persone, e che “oltre 511.000 anime sono state salvate.“
Gli evangelizzatori adorano le grandi catastrofi. Sulla rivista evangelica Charisma, leggiamo:
“Il nostro ministero di aiuti, Mustard Seed International (MSI), è stato tra i primi a rispondere nella zona dello tsunami nel 2004. Di conseguenza abbiamo potuto essere le mani e i piedi di Cristo per molti. Abbiamo anche costruito e ora gestiamo una scuola cristiana, arrivando tra la gente indigena con amore e compassione simili a quelli di Cristo.
Prima di quel fatidico giorno nel dicembre 2004, i cristiani non erano i benvenuti e non veniva loro nemmeno permesso di entrare nella regione.
Oggi, bambini di varie fedi si siedono l’uno accanto all’altro nella Scuola Cristiana dell’MSI, che viene accettata nella comunità grazie ai suoi alti standard. Vengono istruiti usando un curriculum cristiano sviluppato dall’MSI specificamente per questo gruppo”.
C’è chi si converte, per fede o per ribellione al sistema castale. C’è chi approfitta del grande flusso di denaro, di ospedali e di scuole. E c’è chi si oppone, ovviamente con toni piuttosto rancorosi. Come il blog Christian Terror and Aggression in India, che nel sottotitolo ci racconta che
“I missionari cristiani sono un cancro pericoloso per la società indiana. Instillano l’odio, la violenza, creano divisioni, si dedicano alla sovversione, al terrorismo nel nordest, distruggono le credenze native… se non lo si ferma, questo cancro distruggerà la società indiana come ha distrutto tante altre antiche culture in tutto il mondo”.
Il blog ci regala molte chicche su questa Gente che Viene da Fuori e Vuole Imporci la Loro Religione.
Come l’arresto di padre Jose Putarika, di padre Thomas Kottor e di suora Seffi, accusati di aver fatto a pezzi con un’ascia una giovane suora, gettandone i resti in un pozzo.
E che dire dell’ottantaquattrenne Swami Laxmanananda Saraswati, ucciso a colpi di mitra a Kandhamal per essersi opposto alle “conversion truffaldine” dei missionari?
Il sacerdote pentito K P Shibu Kalamparambil rivela come i cristiani siano soliti invitare bambini a fare un giro in bicicletta con loro, per poi abusarne sessualmente.
Confondendo i secoli con la stessa tranquillità dei fallaciani nostrani, i nemici delle missioni citano volentieri l’Inquisizione di Goa e le parole si San Francesco Saverio:
“Quando finisco di battezzare la gente, ordino loro di distruggere le capanne in cui conservano i loro idoli; e li faccio fare a piccoli pezzi i loro idoli, ora che sono cristiani. Potrei parlarti senza mai finire della grande consolazione che riempie la mia anima quando vedo gli idoli che vengono distrutti per mano di coloro che sono stati idolatri”.
Né i nostri si lasciano sfuggire il principale dei peccati fallaciani: quello di confondere scontri politici con scontri di civiltà: la ribellione dei Naga cristiani, che occasionalmente distruggono templi induisti, viene trasformata in “violenza cristiana”, e così anche i maoisti cristiana fuoricasta dell’Orissa, i Panna, che si sono scontrati violentemente con i “tribali” induisti della stessa regione, i Kandha: questi ultimi hanno organizzato un’indiscriminata caccia ai cristiani, con il pretesto della lotta al maoismo, alcuni anni fa.
Al di là di questi eccessi pittoreschi, i critici del movimento missionario esprimono una preoccupazione reale: mentre i ceti poveri frequentano la scuola laica di stato, il ceto medio frequenta scuole cristiane, da cui la cultura induista è a maggior ragione esclusa: ecco, sostengono i nemici dei missionari, che si distrugge rapidamente la millennaria cultura indiana.
Da qui, nasce il sospetto di un’alleanza per minare le tradizioni indiane, un patto tra le autorità di Stato, i musulmani e i comunisti: una sindrome che ci dovrebbe risultare familiare. Posto in questi termini, fa sorridere; ma è vero che musulmani e cristiani – in particolare cattolici ed episcopaliani – collaborano in quanto minoranze; e in molte regioni, cristiani e comunisti hanno più o meno gli stessi ceti sociali di riferimento. Però questo su Il Giornale non lo leggerete. [2]
Il Panjab (o Punjab) è una vasta regione dell’India settentrionale, dove i cristiani sono assai attivi. Si tratta di una regione in cui i Sikh hanno una lunga storia: i Sikh si lamentano, non sappiamo quanto a ragione, che i cristiani monopolizzino i canali televisivi e comprino migliaia di conversioni tra i Sikh più svantaggiati economicamente, mentre proselitizzano usando un linguaggio religioso tipicamente Sikh per meglio mimetizzarsi.
Lo scorso febbraio, alcuni cristiani si sono accorti di qualcosa di anomalo in un testo per bambini, pubblicato dalla Skyline Publications e adottato nelle scuole del Punjab. Infatti, tra varie immagini raffiguranti le divinità delle diverse religioni, si trova un ritratto di Gesù con in una mano una sigaretta e nell’altra una bottiglia di birra.
I cristiani hanno chiesto e ottenuto il ritiro del testo. Ma nella cittadina di Jalandhar, l’immagine, trasformata in poster, è stata affissa su un locale induista. I giovani militanti del Punjab Christians Movement sono scesi in piazza, chiedendo la rimozione del manifesto e l’arresto di chi l’aveva affisso, minacciando un bandh, cioè uno sciopero generale accompagnato dalla chiusura di tutti i negozi. Il giorno dopo, le autorità arrestarono un medico ayurvedico, reo di aver affisso il manifesto e i cattolici hanno smesso di protestare.
Non così le altre denominazioni cristiane, i cui militanti sono entrati nel mercato, attaccando i negozi che non chiudevano.
Accorsa per difendere i negozianti, una folla di militanti induisti è passata all’attacco, radendo al suolo due chiese protestanti (appartenenti alla Chiesa dell’India del Nord e all’Esercito della Salvezza), picchiandone i pastori e saccheggiando le loro case.
A parte una dichiarazione rituale di Franco Frattini, che comunque sorvola su tutta la dinamica («profonda preoccupazione nei confronti della violazione dei diritti e della dignità della comunità cristiana») non ricordiamo un interesse in Italia paragonabile a quello che ha circondato l’incendio del Kashmir.
Ah, dimenticavo. Il sito della diocesi cattolica di Jalandhar riporta in alto le jihadiche parole:
“Go forth in the name of Jesus Christ and conquer”
Note:
[1] Cristiano vuol dire tutto e niente; comunque è il termine usato indiscriminatamente per definire se stessi, da cattolici, evangelici e altri in India, ed è il termine che gli induisti adoperano.
[2] Tutto questo non è un discorso sui movimenti militanti induisti. Che hanno inventato un’”unità indù” mai esistita e rappresentano spesso inconfessabili interessi di casta. E sono ovviamente ben più islamofobi di Calderoli.