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Iraq, Ancora nessun governo all’orizzonte

di Ornella Sangiovanni - 22/09/2010



Stallo – se non paralisi totale. E’ il termine più appropriato per definire la situazione politica dell’Iraq, a più di sei mesi dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento del 7 marzo scorso – che ancora non sono riuscite a produrre un governo.

Stallo perché i negoziati fra le principali coalizioni, che avrebbero dovuto riprendere dopo l’Aid el Fitr – la festività che conclude il Ramadan, il mese sacro dei musulmani, sembrano invece essersi bloccati.

Il motivo? La National Alliance – la coalizione che aveva apparentemente riunificato tutti gli sciiti (andati divisi al voto del 7 marzo) – penserebbe ancora di poter arrivare alla nomina di un suo candidato premier – uno solo. E dunque l’Iraqi National Alliance (INA), una delle sue due componenti, ormai dominata dal movimento di Muqtada al Sadr, ha sospeso tutti i negoziati con le altre forze politiche [in arabo] in attesa di vedere se l’operazione andrà in porto.

Perché, se così dovesse essere, gli sciiti – che hanno in totale 159 seggi in Parlamento (solo quattro in meno dei 163 che servono, come minimo, per votare la fiducia al governo) – potrebbero effettivamente nominare il Primo Ministro, in quanto blocco di maggioranza.

Sciiti ancora alla ricerca di un unico candidato premier

Gli ostacoli, a dire il vero, sembrano ancora parecchi.

Senza voler dar credito a tutte le notizie che escono sulla stampa araba, spesso smentite nel giro di 24 ore, o anche meno, il fatto è che INA e Alleanza per lo Stato di Diritto (la coalizione del premier uscente Nuri al Maliki, seconda componente della National Alliance) non solo non sono ancora d’accordo su un nome (a Maliki adesso è stato contrapposto Adel Abdel Mahdi, attuale vice presidente della Repubblica ed esponente di spicco dell’INA), ma neppure sul meccanismo per la sua scelta.

E i negoziati – per decidere il meccanismo – che sarebbero dovuti riprendere dopo l’Aid, non sono ancora ripartiti.

Tantomeno esiste un accordo sul nome del possibile candidato premier: lo smentisce una fonte dell’INA (anonima), citata oggi [in arabo] dal quotidiano arabo al Sharq al Awsat – definendo “prive di fondamento” informazioni circolate secondo le quali il candidato alla fine sarebbe Maliki.

E ribadendo che all’interno della coalizione dominata dai sadristi “non esiste un orientamento ad accettare Maliki”.

Fra le due componenti dell’alleanza sciita finora non c'è stata neppure una riunione - sottolinea la fonte – allorché avevano concordato di riprendere le trattative dopo l’Aid el Fitr.

Braccio di ferro

Insomma il braccio di ferro all’interno della National Alliance continua. La coalizione di Maliki insiste sul suo nome come unico candidato dalla guida del prossimo governo, mentre l’INA sta evidentemente utilizzando le sue trattative con altri blocchi politici – in particolare con Iraqiya, l’alleanza nazionalista dell’ex Primo Ministro Iyad Allawi, che ha vinto le elezioni del 7 marzo, sia pure per soli due seggi (91 contro gli 89 dell’Alleanza per lo Stato di Diritto di Maliki) – per alzare il prezzo di un suo eventuale appoggio.

Come è chiaro dalle parole di Jalaluddin al Saghir – uno dei leader dell’INA (che tuttavia appartiene al Consiglio Supremo islamico iracheno, che ormai al suo interno ha un peso ridotto), che sottolinea che la coalizione di Maliki non ha di fronte a sé “opzioni aperte”, a differenza del suo gruppo.

Parlamento paralizzato. Abdel Mahdi: tornare a votare idea “pericolosa”  

Il Parlamento è ancora paralizzato: non si è più riunito dalla seduta cerimoniale del 14 giugno, la prima, durata solo una ventina di minuti, quindi aggiornata e poi lasciata “aperta”.

A nulla sono valse finora le iniziative della società civile: l’azione legale contro il presidente a interim dell’Assemblea, Fuad Mas’um, la giornata nazionale di protesta “in difesa della Costituzione”.

Solo un gruppetto di deputati, appartenenti a diversi gruppi, guidati da Adel Abdel Mahdi (uno dei due attuali vice presidenti della Repubblica), si reca in Parlamento ogni giorno, da un po’ di tempo: un gesto simbolico, che vorrebbe far pressione sui leader politici. In modo che riprendano le sedute (ma l’Assemblea ancora non ha neppure eletto il suo presidente e i due vice).

Ed è lo stesso Abdel Mahdi a definire “pericolosa” l’idea di sciogliere il Parlamento e tornare a votare: una richiesta che ormai arriva da diverse parti, comprese molte organizzazioni della società civile, di fronte al fallimento delle forze politiche nel trovare un accordo per il governo.

Il vice presidente iracheno, in un comunicato diffuso dal suo ufficio, afferma [in arabo] che quello di sciogliere il Parlamento e ripetere le elezioni è “l’invito più pericoloso che si possa fare, e bisogna pensare alle conseguenze di qualsiasi proposta di questo genere”.

Iniziativa kurda per sbloccare l’impasse

Intanto, un’iniziativa volta a risolvere la crisi arriva da Mas’ud Barzani, presidente della regione del Kurdistan.

Che ha tirato fuori una formula di power sharing che vedrebbe ridotti i poteri del Primo Ministro in favore di quelli del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio Politico per la sicurezza nazionale.

Non si tratta in realtà di un’idea nuova – circola infatti, in versioni più o meno diverse, da un po’ di tempo.

Il ragionamento alla base: se il Primo Ministro non avrà più tutti i poteri che concentra attualmente, forse la carica diventerà (un po’) meno appetibile, e un compromesso fra le varie forze politiche sarà più semplice.

Forse.

L’iniziativa di Barzani (che si accinge a presentarla ai leader dei diversi politici) incassa l’appoggio totale di Iraqiya, mentre un comunicato dell’ufficio della presidenza del Kurdistan spiega che essa è incentrata “fondamentalmente sul programma del prossimo governo, a prescindere da chi ne assumerà la presidenza”.

E a rinunciare alla guida del governo sarebbe disposta la lista di Allawi - che finora ha continuato a insistere sul proprio “diritto elettorale e costituzionale”.

Almeno a sentire uno dei suoi leader, il vice presidente della Repubblica Tariq al Hashimi.

A detta di Hashimi [in arabo], Iraqiya potrebbe fare questa concessione, in cambio di garanzie: ovvero di un “programma di riforme”. Perché la sua priorità – sottolinea – è realizzare il suo progetto di cambiamento e di riforme nei prossimi quattro anni, non occupare questo o quell’altro posto.

Insomma, è tutto ancora in alto mare.

Con buona pace degli iracheni che sono andati a votare – e fra i quali ora frustrazione e cinismo si uniscono alla rabbia per aver creduto che questo potesse davvero cambiare le cose.

Fonti: al Sharq al Awsat