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Venezuela. Un voto per continuare la Rivoluzione

di Alessia Lai - 26/09/2010

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Questa domenica 17,5 milioni di venezuelani sono chiamati al voto per eleggere i 165 deputati dell’Assemblea Nazionale. Come ogni tornata elettorale da quando Hugo Chávez è salito al potere, anche questo voto costituisce un di fatto “un referendum” sull’operato del governo bolivariano. L’opposizione quest’anno si è mobilitata in massa dopo il boicottaggio delle precedenti elezioni, nel 2005. Il Mud, la Mesa de unidad democratica, è formato da partiti e movimenti, spesso e volentieri finanziati dalle agenzie statunitensi. Ma c’è anche Patria Para Todos (Ppt), una formazione politica che si è proposta come alternativa di centrosinistra a entrambi gli schieramenti. La maggioranza, formata da Psuv e Partito comunista venezuelano, punta ai due terzi del parlamento, cifra che le permetterebbe di governare con facilità.
Il risultato che raccoglieranno le opposizioni verrà in ogni caso rappresentato come un grosso traguardo, se si parte dal presupposto che nel 2005 non vennero presentate candidature. In realtà a scompaginare le carte in tavola potrebbe essere proprio il Ppt, che in caso di un buon risultato potrebbe diventare indispensabile allo schieramento di maggioranza per governare. I giornali più importanti e i media mainstream stanno descrivendo il clima pre-elettorale venezuelano come l’attesa del miracolo: l’azzoppamento della Rivoluzione bolivariana. In undici anni in Venezuela è stato sconfitto l’analfabetismo, è stata estesa a tutto il Paese la sanità di base, è stato dato inizio alla riforma agraria, sono tornati nelle mani dello Stato settori cruciali dello sviluppo e dell’industria, viene svolto un puntuale e costante monitoraggio dell’accessibilità dei beni di prima necessità. L’esito di questo ultimo voto potrebbe mettere i bastoni tra le ruote ad un processo che lentamente sta restituendo dignità al popolo venezuelano, e non solo. La Rivoluzione bolivariana è oggi un punto di riferimento per altri Paesi latinoamericani, un esempio della possibilità di affrancarsi dalla condizione di sottosviluppo alla quale un intero continente sembrava rassegnato dopo anni di governi corrotti, eterodiretti, collusi con settori economici rapaci. Ma quando si parla di Caracas tutti a citare inflazione, crisi, corruzione, calo degli investimenti pubblici e privati e la presunta incapacità del governo bolivariano di affrancare l’economia dalla dipendenza dal petrolio. Non potendo negare i traguardi raggiunti dai governi del Psuv si parla di un certo ritorno alla povertà dopo qualche anno di miglioramento.
“La maggior parte degli analisti politici latinoamericani prevede una svolta, un freno al proceso bolivariano che negli ultimi undici anni ha radicalizzato la politica venezuelana”, ha scritto nei giorni scorsi Il Sole 24ore. Se si tratta di commentare la disoccupazione negli Usa la si attribuisce alla più generale crisi planetaria. Quando si parla di Venezuela non si fa cenno alla caduta del prezzo del greggio ma ad una spesa pubblica incontrollata, che tradotta dalla lingua di certa stampa, e non solo latinoamericana, altro non è che lo sforzo fatto dal governo per la nazionalizzazione di importanti settori economici. L’amministrazione controllata di numerose banche private che avevano truffato la popolazione e la loro trasformazione in istituti pubblici non può piacere a certi analisti, gli stessi che hanno applaudito ai generosi salvataggi delle banche europee o statunitensi, quelli che invece di tutelare i consumatori hanno coperto le spalle ai grossi speculatori.
Così, tifare per l’opposizione venezuelana, per la destra filo statunitense alla quale tremano i polsi ad ogni nuovo annuncio statalizzatore, diventa per certi commentatori una specie di “obbligo democratico”. Sì, perché chiaramente il termine democrazia è largamente utilizzato nelle critiche a Chávez, che di questo diritto farebbe strame. Eletto, rieletto, confermato dal voto popolare, il presidente venezuelano è definito un “caudillo”. Porfirio Lobo, a capo dell’Honduras post-golpe, è un legittimo presidente democratico.